Passare dalla calda domenica di Testaccio, alla fredda serata dell’Olimpico non è solo un fattore di escursione termica. Vuol dire, anzitutto, travasarsi dall’amore di un popolo in esilio, alla triste staticità di una zona che ormai assomiglia più a un campo incolto dove, con il passare del tempo, va sempre più crescendo erbaccia, dando la perfetta idea di quanto un luogo di aggregazione, una volta magico e passionale, stia conoscendo il periodo più grigio della propria esistenza. Basta buttare un’occhio ai chioschetti, semivuoti, del Lungotevere, o ai venditori di Caffè Borghetti che vagano alla disperata ricerca di clienti. Dove un tempo c’erano sorrisi, tensione e la religiosa preparazione di novanta minuti attesi da una settimana, ora c’è semplicemente il nulla.

E sì che le istituzioni, secondo alcuni, avevano teso una mano qualche settimana fa. Ai margini di una nota conferenza svoltasi in Prefettura, sembravano esserci stati dei passi per una pacificazione che, possono anche raccontarci il contrario, è necessaria soprattutto per chi si è fatto carico di rendere l’Olimpico un deserto silente e ora subisce una pressione mediatica inimmaginabile qualche mese fa.

Nelle fasi di accesso allo stadio, effettivamente, i controlli sono stati leggermente allentati, ma le barriere rimangono ancora là e, soprattutto, la giornata di Testaccio ci lascia un messaggio importante: l’accanimento nei confronti delle tifoserie capitoline è tutt’altro che sopito e a queste condizioni resta difficile pensare che i folli padri di una politica degna della migliore Inquisizione quattrocentesca, desistano dal loro modus operandi.

I 2.500 Euro di multa comminati a una dozzina di manifestanti, su un totale di 3.000 partecipanti, per omesso preavviso e per aver ostacolato la libera circolazione, esplicano meglio di ogni subdola dichiarazione come da parte delle istituzioni non ci sia assolutamente voglia, almeno attualmente, di ripristinare una situazione di normalità. Altrimenti non si spiegherebbero eventi nefasti e grotteschi, vedasi famoso funerale di un membro dei Casamonica in una popolare zona della Capitale, in cui si configurano reati simili o ben più grandi di questi e che sono comunque riusciti a godere, tutto sommato, di una certa immunità.

Va ricordato che il corteo di Testaccio si è svolto in un clima di pura festa. Senza eccessi e senza violenze. Se è vero che per lo stesso non è stata chiesta l’autorizzazione, è altrettanto vero che una Questura e una Prefettura competenti, dovrebbero porsi il serio interrogativo sul perchè così tante persone decidano di trascorrere per strada uno degli eventi sportivi più importanti della città, anzichè usufruire di quella safety che loro stessi si vantano di aver creato all’Olimpico. Inoltre com’è possibile che, se a compiere reato sono, de facto, circa 3.000 persone, i colpevoli vengono individuati soltanto in poche unità? C’è un’ovvia idiosincrasia, per usare un termine caro al Questore D’Angelo, nell’applicazione delle norme. Oppure, cosa che appare più probabile, c’è soltanto la voglia di colpire esponenti più in vista per indebolire ancor più un movimento che in questi mesi ha resistito fieramente all’abuso e all’ingiustizia più grande perpetrati ai danni di tifosi del calcio in Italia.

Del resto costoro sono gli autori di comunicati in cui si auto incensano per lo svolgimento regolare e corretto di un derby con poco più di 20.000 spettatori. Come bloccare la circolazione per una settimana e sottolineare quanto, in quel lasso di tempo, non ci siano stati incidenti e morti sulle strade. Il tutto avviene sempre e comunque nel silenzio bulgaro dei principali organi d’informazione, bravi di tanto in tanto a sottolineare l’assenza del pubblico più per tutelare i loro ammanchi di cassa che per amor del vero. Davvero in rare occasioni, e grazie a firme coraggiose, qualcuno si è premurato di evidenziare le negligenze istituzionali.

Senza trascendere nel vittimismo, ma lo scenario attuale dello stadio Olimpico non può essere quello che si respirerà in futuro. La situazione capitolina, in una direzione o nell’altra, è destinata a implodere su sé stessa. Le prossime elezioni comunali saranno sicuramente un banco di prova importante, e non perché qualcuno si aspetti favori o aiuti dalla politica: tutti sanno che le frasi dette dai candidati in campagna elettorale sulla situazione stadio, altro non sono che mere strumentalizzazioni per raccogliere una manciata di voti in più; lo snodo fondamentale starà nella ripartizione dei poteri, attualmente accentrati solo ed esclusivamente nel trio Gabrielli/D’Angelo/Tronca, a cui il Governo ha messo in mano le chiavi della città con la concessione di farne cosa meglio credono. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Diventa, infine, inutile e stucchevole parlare di cosa rappresenti un Roma-Bologna qualsiasi. Sarebbe stupido parlare del tifo della manciata di felsinei presenti, oppure dell’orribile ambiente che si respira ormai sulle gradinate. È cosa talmente lapalissiana che è persino irritante star qui a evidenziare l’ovvio.

Chiudo il pezzo con un’immagine che rappresenta tutta la tristezza e lo squallore della serata. Le centinaia di smartphone che si accendono pochi secondi prima che Totti batta un calcio di punizione dalla corta distanza. Momento di pathos terminato non appena la traiettoria s’infrange contro il Dio Eolo, facendo tornare seduti e silenti i presenti. Ovviamente incapaci, non per loro colpe, di comprendere il momento e spingere sull’acceleratore. Del resto manca il motore per lo sprint finale.

Ecco, se quello è ciò che volete propinarci, se l’importanza di mostrare uno stupido video agli amici il giorno dopo deve superare quella di sostenere la propria squadra, tenetevi questo pallone e non ci disturbate l’anima. Grazie.

Simone Meloni