C’è un momento, fondamentale, nella vita di molti calciofili italiani nati a cavallo tra gli anni ’80 ed i ’90. Quelli che hanno vissuto parte di ciò che è stato e tutto quello che è tristemente diventato ed ancor più mestamente diverrà. Mi riferisco alla presa di coscienza rispetto a quanto non sia più una cosa appagante e semplicemente divertente andare appresso alla Serie A ed a tutte le sue stranezze. Mi duole cadere spesso in racconti, esempi o aneddoti caserecci e circoscritti alla realtà dalla quale provengo: Roma. Oltre cinque milioni di abitanti, due squadre e tanta, ma davvero tanta, passione per il calcio. Prendiamo uno stadio. L’Olimpico. Inadatto per il calcio. Siamo d’accordo. Scomodo da raggiungere. Siamo d’accordo, anche se fino ad un certo punto, visto e considerato che il progetto dell’AS Roma prevede la costruzione di un impianto di proprietà nella zona di Tor di Valle. Non proprio il massimo per quanto concerne i collegamenti, soprattutto quelli effettuati con i mezzi pubblici. Prendiamo infine, ma solo in ordine casuale, il pubblico di Roma. Indistintamente tra Roma e Lazio. Gente che con i suoi pochi trofei e le sue poche soddisfazioni c’è sempre stata. Al di là di tutto.
Da circa tre anni a questa parte, su una sponda del Tevere, ha preso forma un progetto nuovo. Una società americana ha rilevato il pacchetto azionario dalla vecchia gestione Sensi e, dopo un avvio stentato, sembra aver intrapreso la strada giusta, quella che nel calcio di oggi, prima che a trofei e scudetti, conduce alla massima monetizzazione, oltre che allo splendore nell’apparire davanti alle prestigiose e stilose vetrine europee. Così, dopo i primi due anni sofferti, colmi di errori e culminati con la disfatta della sconfitta in finale contro i rivali di sempre della Lazio, Pallotta & Co. decidono di dare una svolta ai propri investimenti, indirizzando il proprio danaro verso lidi certi ed assoldando uomini e collaboratori di livello. Tutto bello e tutto perfetto, diremmo. Almeno ad essere nei panni del tifoso giallorosso. Eppure tutto ciò ha un prezzo. Che alla lunga potrebbe essere salatissimo da pagare. E non solo in senso eufemistico. Va da sé che per molti, in Italia, il modello da seguire in fatto di gestione societaria è la Juventus. Cominciando dallo stadio di proprietà. E’ stato questo il biglietto da visita della nuova società, e subito l’entusiasmo dei tifosi è salito alle stelle. Ma si è mai pensato a quanto un nuovo impianto potrebbe stravolgere, uccidere e cancellare tutte le tradizioni del tifo romanista e del tifo italiano in generale? Ciò non perché costruire un qualcosa di nuovo, in linea generale, voglia dire necessariamente distruggere tutto ciò che c’era prima. Ma siamo in Italia, sappiamo come vanno le cose. Il voler dare al popolino ed all’Unione Europea l’impressione di essere in grado di realizzare un qualcosa di decente, funzionale e sicuro scavalca a piè pari qualsiasi logica di gestione e di lungimiranza. Cose che al nostro calcio servirebbero come il pane.
Intanto la Roma ha pensato bene di mettere subito in chiaro la propria politica di avvicinamento a quello che, per una città travolta dalla burocrazia e dal lassismo come la Capitale, sarebbe un evento a dir poco straordinario e avveniristico. In quale modo? Innanzitutto usando il pugno duro e le orecchie da mercante verso determinati aspetti. In primo luogo lo stemma. Modificato senza chiedere parere ai veri legittimi proprietari, i tifosi. Un’operazione, peraltro, che non ha molto senso. Neanche a livello commerciale. Si è parlato di mettere in risalto il nome della città di Roma. Come se una delle mete più ambite da turisti di tutto il mondo ne avesse bisogno. O come se nel calcio davvero per vendere bastasse il nome della città, o mettere quest’ultimo bene in vista sullo stemma. Se così fosse allora Firenze, Napoli, Palermo e Trieste (solo per qualche centro sublime della nostra stupenda penisola) dovrebbero avere in bacheca centinaia di trofei. E la stessa Roma ne conterebbe e bizzeffe. Si fa finta di non sapere che squadre come il Real Madrid sullo stemma mantengono il loro acronimo, eppure a livello di merchandising sono a dir poco all’avanguardia.
La quasi totalità dei tifosi non ha mandato giù questa despotica presa di posizione, rendendolo subito noto, ma venendo ignorata sin dal primo momento dalla società di Piazzale Dino Viola. Proprio in barba alle sue sbandierate dichiarazioni della prima ora, nelle quali si affermava di voler creare un connubio indissolubile tra squadra e tifosi. Fulcro di questa politica fatta di prepotenze, assolutismi ed imposizioni coatte, la troviamo però nella vendita dei biglietti. Una voce che, va ricordato, nei guadagni societari ormai non rappresenta più un punto importante da diverso tempo e che quindi è facilmente manipolabile dalla volontà societaria. Per farla breve, “volere è potere”. Quindi se voglio i tifosi allo stadio, metto le curve a 10 Euro e buona notte ai suonatori. Peraltro, con il maggior afflusso, forse incasso la stessa cifra di quando una curva costa 25 Euro.
Tenendo presente del cambio di guardia alla presidenza, facciamo un breve analisi della voce “biglietteria” in seno all’AS Roma, prendendo in considerazione solo ed esclusivamente la vendita libera dei settori popolari non legati ad alcuna tessera del tifoso (in tal caso, per i possessori della Privilege Card ci sono sconti dai 2 ai 5 Euro in base al settore acquistato):

  • Nella stagione 2010/2011 (la prima della tessera del tifoso), sotto la presidenza Sensi, i biglietti per Roma-Cesena, partita di seconda fascia, le Curve costavano 17 Euro mentre per Roma-Milan, considerata di prima fascia, il costo era di 19 Euro;
  • Nella stagione 2011/2012, sempre per Roma-Cesena, il prezzo di un tagliando di Curva era addirittura sceso a 13 Euro, mentre per Roma-Milan, di prima fascia, il costo era di 22 Euro. Cinque Euro in più della stagione precedente;
  • Nella stagione 2012/2013 , la prima sotto la presidenza americana ed anche quella in cui la maggior parte dei tifosi si è tornata ad abbonare con la creazione della Club Home, il prezzo di un tagliando di curva per una partita di seconda fascia come Roma-Chievo era 17 Euro, 4 Euro in più della stagione precedente, mentre per Roma-Inter, gara considerata di prima fascia, una curva costava 20 Euro, due Euro in meno dell’anno prima;
  • Nella stagione 2013/2014, il prezzo di un tagliando per un gara di seconda fascia come Roma-Catania era di 20 Euro mentre per una di prima fascia, come Roma-Napoli 30 Euro. Rispettivamente 3 e 10 euro più della stagione precedente;
  • Si arriva infine alla stagione in procinto di partire, con il comunicato emanato dall’AS Roma in data 18 luglio 2014. Per una gara di seconda fascia acquistare una Curva costerà 25 Euro, mentre per una di prima fascia 35 Euro. Un ulteriore incremento di quattro euro rispetto all’annata precedente.

A margine di questi dati, prima di ogni considerazione, vanno fatte alcune importanti specifiche: per la stagione che verrà la società ha deciso di eliminare qualsiasi agevolazione per donna, under 14 ed over 65 per quanto riguarda i settori popolari. Una delle giustificazioni addotte dall’AS Roma circa questo incremento dei prezzi è il voler maggior tifosi fidelizzati che sottoscrivano annualmente l’abbonamento. Sta di fatto però che, se con questo sicuramente si risparmia, anche qui ci sono stati rincari. Se nella stagione 2010/2011 abbonarsi alle Curve costava 235 Euro (con forti riduzioni per donne, under 14 ed over 65), quest’anno costerà 285 Euro. Con le riduzioni di cui sopra che si sono largamente assottigliate. Il risparmio c’è, indubbiamente. Ma penso si possa esser tutti d’accordo che, più di essere una politica contro il tifoso cosiddetto “occasionale”, è un modo per scremare il tifoso e rendere inaccessibile lo stadio alla maggior parte dei romani, il cui reddito mediamente non supera gli 800 euro. Sempre inserendo tutto ciò nel famoso motto “se le famiglie non vanno allo stadio è colpa degli ultras”, facciamo presente che un nucleo familiare di quattro persone quest’anno, per un Roma-Sassuolo qualunque, spenderebbe la bellezza di 100 euro. E questo perché ci fermiamo a ragionare sulle curve. Altrimenti dovremmo aprire un capitolo a parte sui Distinti (praticamente stessa visibilità delle curve, forse addirittura peggiore) arrivati a costare 35 Euro per le gare meno importanti ed addirittura 50 Euro per i big match, e sulle tribune.
Lo Stadio Olimpico diviene così, almeno su sponda romanista, un vero e proprio fortino inaccessibile regolarmente per la maggior parte dei frequentatori che ancora oggi decidono di acquistare il biglietto a seconda della partita e del proprio umore. Ma il viatico, più che quello della fidelizzazione, è sempre più quello di una sostituzione del pubblico. In pieno stile inglese con un tocco di italianità, che in questi casi non guasta mai, vale a dire quello della burocrazia nell’acquisto dei tagliandi e nelle continue, e sempre in evoluzione, regole restrittive per seguire la propria squadra in trasferta. La nuova gestione dell’AS Roma, a fare un calcolo sommario, sarà forse piena di successi in campo sportivo, ma avara di gioie per chi ha deciso di vivere la propria passione in una determinata maniera. L’AS Roma è il nuovo che avanza, ed in questo nuovo, sulla scia di quanto già successo oltralpe, se si fa eccezione per la Germania( dove, magicamente, si concilia decentemente calcio moderno ed una minima libertà per la passione popolare), non c’è più spazio per chi il calcio ha contribuito a renderlo uno dei principali indotti del paese. E questo perché non ci sono regolamentazioni che impediscano alle società di agire in determinati modi (si parla sempre di Inghilterra, ma nessuno nomina, ad esempio, l’Everton e l’Hull City che hanno provato a cambiare rispettivamente simbolo e nome vedendosi costretti a fare marcia indietro dietro le rimostranze dei tifosi).
In futuro, nel breve futuro, saremo solo ed esclusivamente spettatori. E se non si riuscirà ad entrare, neanche in modo defilato, nella stanza dei bottoni, come diceva Pietro Nenni, forse sarà meglio passare i nostri fine settimana in altri luoghi. Certamente meno tristi, grigi e privi di senso degli spalti che ci aspettano. Il nuovo stadio a Roma, se queste sono le premesse, non potrà che sancire la definitiva morte di un certo pubblico. E purtroppo sarà solo una delle prime piazze a cadere sotto un effetto domino che, volente o nolente, non lascerà scampo a nessuno. Non è tempo per noi, cantava un Ligabue d’annata. Chi ha ancora il coraggio di contrastare questo genere di tendenza meriterebbe solamente una statua. Per tutto il resto c’è Mastercard. E ricaricatela corposamente. Altrimenti neanche il primo turno di Coppa Italia riuscirete a vedere.
Simone Meloni