Hanno il sapore amaro. Come uno sciroppo chiamato a lenire una febbre alta e pericolosa. Le 88 candeline per festeggiare la Roma, hanno un odore intenso e bruciante. Sanno di incenso ma anche di cenere. Perché hanno quella purezza di chi il tifo ce l’ha nel sangue e per amore della propria squadra valicherebbe montagne e difficoltà, ma anche quell’aspetto funereo di una cosa che sta cambiando per sempre. Morendo per molti e lasciandosi dietro una scia di rimpianti e ricordi.

Ci sono tante emozioni concentrate in Via Uffici del Vicario. Nel cuore di Roma, tra Piazza di Spagna e il Pantheon. Con Piazza Navona che sta là dietro a vegliare i turisti che la scrutano inebetiti, con le loro macchinette fotografiche ed il caldo afoso di un luglio che ricalca vecchie estati romane dimenticate nel tempo. L’appuntamento è sempre quello, con il verde della storica gelateria Giolitti pronto a far da cornice alla festa. Lo sanno lì dentro che come ogni 22 luglio, per due ore, verranno intossicati da torce e fumogeni, vero, ma l’incasso non piangerà di certo tra birre e gelati.

I primi “pischelletti” sono già pronti con i classici strumenti che, in tutta probabilità, dal prossimo anno saranno vietati nella loro casa: lo stadio Olimpico. Non parliamo di coltelli e bombe, come piacerebbe alle solerti ed ineffabili redazioni di Repubblica e Libero, ma di qualche fumone, delle bandiere e degli stendardi. Quelle cose che i loro padri sfoggiavao tranquillamente nel vecchio stadio, quello senza copertura, perché a fare da scudo a pioggia, neve e vento c’erano i cori, i sentimenti e il tifo. Quegli strumenti sono diventati, nella stragrande maggioranza dei casi, passibili di denuncia o causa di diffide. Un po’ come le ronde preventive, quelle che già in Piazza Venezia sono pronte a perqusirti e chiederti documenti se hanno anche un solo dubbio che tu possa andare in Via Uffici del Vicario. Insomma, un piccolo flashback di cose già viste nella storia. Un monito a chi dice che il mondo del tifo è impunito, che le curve sono zona franca e che gli ultras sono i padroni del pallone.

Padroni di cosa? Gli ultras, oggi come oggi, non comandano più neanche a casa propria. Perché nelle loro case, come a Roma, vengono costruiti divisori per depotenziarne il potere aggregativo. Resta ciò che è rimasto, rimane quel che è stato fatto da una sottocultura controversa ma unica come quella del tifo. Solo ciò rende possibile che in tanti si radunino su una stradina del centro storico. E nonostante a posteriori i soliti oratori della menzogna e del populismo becero (“Roma fa schifo” docet) tentino in tutti i modi di sminuire e oltraggiare anche una delle ultime cose spontanee che questa città offre, le immagini emblematiche restano i turisti immobili ed incantati a filmare questo scintillio di colori e luci, così come i passanti e persino i camerieri della gelateria.

“Ma non vorrei che tu a mezzanotte e tre, stai già pensando a un altro uomo”, diceva il Molleggiato tanti anni fa. Ed allora ecco le lancette sovrapporsi sul numero 12 dell’orologio, e il popolo giallorosso alzare al cielo la voce per onorare la propria squadra e non solo. È impensabile credere che oggi non ci possano essere invettive verso chi questo universo lo guarda con schifo e lo vuole distruggere con tutta la sua arroganza e il suo potere. Per farsi vedere duro e forte, di fronte al più debole. Mentre parallelamente abbassa supinamente i pantaloni nei confronti di una gestione politica e sociale della città che va sempre più alla malora.

La Curva Sud, per una serata, si è spostata all’aperto. “Questa curva non si divide”, è uno degli slogan più gettonati dai presenti. Non mancano ovviamente i riferimenti al presidente Pallotta, uno che il suo pensiero lo ha palesato sin da subito. “Nel nuovo stadio stiamo pensando di istallare degli scanner facciali”. Sbagliò chi prese a cuor leggero queste dichiarazioni. Perché se esiste un cervello in grado di partorirle, vuol dire che e esiste anche uno per pensarle ed attuarle. Come quando ci si sbronza e si parla in libertà. Non può valere l’assunto della poca lucidità. Sono dell’idea che dalla propria bocca, al novanta percento, esca quasi sempre ciò che si pensa. Seppur becero e sbagliato. Ma in questo caso, i fatti purtroppo mi danno ragione.

È troppo tardi e troppo caldo per ragionare su tutto ciò. L’angusto vicoletto sprigiona afa bollente e neanche il manto di stelle che copre la Capitale riesce ad alleviare il fuoco che avvolge la pelle dei presenti. Ma stasera più delle condizioni atmosferiche è stato un qualcos’altro a bruciare addosso ai tifosi presenti. È stata la convizione, foraggiata da un velo di rassegnazione pessimista, che un’era sia terminata e che veramente in quell’anfratto di città era presente chi la Roma e il calcio li vive e li ha vissuti con l’intento di anteporre il sentimento e mantenere quella sensazione di magia che da piccoli ci ha fatto appassionare al pallone rotolonate ed ai suoi contorni. Ciao Roma calcistica, per me sei stato il passatempo più serioso della mia vita!

“Annamo daje Roma chi se fa pecorone, er lupo se lo magna abbasta uno scossone”

Testo e video Simone Meloni.
Foto Fabiano Casedonte.