alfanoSe l’avessero ipotizzato cinque anni fa, si sarebbero azzuffati nelle loro stanze, tra scrivanie a mezza aria e plichi di documentazione stracciati. Se fossero arrivati a realizzare che dopo un quinquennio giungessero risultati scialbi o addirittura disdicevoli, probabilmente avrebbero ponderato con estrema cautela la vena legislativa che li ha guidati sino a qualche settimana fa. Al contrario, gli infimi burocrati romani hanno però delegittimato i lavori dei propri predecessori, consegnando alla torbida opinione pubblica l’ennesima dimostrazione di buoncostume da mercato delle pulci e cucendosi su misura una veste singolare, ma tremendamente in voga nei Palazzi della cogenza istituzionale. Quella della menzogna legalizzata, della decretazione acchiappa consensi facili e privi di sensatezza razionale.

La denuncia è sacrosanta, per la sua urgenza e per la sua potenziale efficacia. Di modo che le coscienze inizino a comprendere quanto i vili ed impertinenti governanti, dall’alto di fittizie docenze, ci vogliano al guinzaglio: incapaci, impotenti, impreparati, magari anche mansueti e morigerati. Inutile e poco costruttivo celarsi dietro una malsana passività. Non si tratta della consueta “litania pro-ultras” – come innumerevoli e sedicenti organi di stampa millantano -, bensì di una battaglia comune per la quale ognuno dovrebbe spendersi ed armarsi. Ciò che è stato amministrativamente avallato a metà ottobre dai tecnocrati capitolini ha le tonalità dell’assurdo, in quanto evidenzia per l’ennesima volta le voragini di competenza che assediano le aule parlamentari contro ogni contezza logistica. Si è stabilito che la libertà debba essere prima anestetizzata e dopo tramortita, transitando per uno stadio e qualora si fossero già saldati dei conti con la “giustizia”.

I fantocci corpulenti dell’Emiciclo italiano pretendono che le strutture sportive diventino dei palcoscenici dell’angoscia emotiva, ove l’alienato individuo sopprima le emozioni e plauda la spettacolarizzazione del profitto. Bistrattando la maestosità sentimentale e nostalgica di un rettangolo verde e convalidando inconsciamente l’ordine precostituito dei signorotti del Calcio Finanziario, a cui i cortigiani di Montecitorio e Palazzo Madama si asservono e grazie ai quali gli stessi si assicurano scranni e poltrone. Non è dietrologia o bieco complottismo: vorremmo tanto che lo fosse. È la trasparenza di un’amara quotidianità, che rischia seriamente di ossidarsi in un’abitudine di lungo periodo. Il piano è chiaro e i progetti pare stiano cautamente prendendo forma: disertare in modo coercitivamente lecito le aggregazioni di passione, a vantaggio delle televisioni e dei tycoon americani ed orientali, affinché il modello del mercantilismo dell’emotività spadroneggi sovrano.

Altrimenti, non sarebbe normale che le varie dirigenze debbano accollarsi le spese supplettive per una speciale remunerazione delle forze armate. Altrimenti, non si capirebbe la ragione del DASPO di gruppo e delle restrizioni ad esso conseguenti. Altrimenti, non avrebbe cognizione di causa la sorveglianza speciale di tifosi con precedenti. Altrimenti, non si riuscirebbero a qualificare il taser e i neofiti marchingegni da torture, escogitati a puntino per incentivare gli abusi di potere – a proposito: Chucci è morto di fame, vero? -. Altrimenti, non coglieremmo il ripugnante istinto che, vietando alcune trasferte, ha sussidiato Alfano nell’operare peggio di Maroni, per giunta sconfessandolo. Altrimenti, non si spiegherebbe l’anomala rapidità nell’approvazione del decreto legge fra le due Camere, quando da vent’anni attendiamo trepidanti che si inizi a dibattere concretamente, ad esempio, di una regolamentazione definitiva del conflitto di interessi.

Possibile che nessuno si accorga, che alcuno si impunti, che i borghesi da salotto e la stragrande maggioranza dei loro adepti tacciano e zittiscano anche i dissidenti? Forse la situazione non muterà, ma noi, che brandiamo settimanalmente un’idea popolare di sostengo e abbiamo una visione del Mondo affine ad una certa mentalità, a questo giono non vogliamo più partecipare.

Alex Angelo D’Addio.