Non è facile per me raccontare Vicenza-Brescia. Mi capita spesso, andando in giro per stadi, di incrociarmi con ultras dell’una o dell’altra sponda e dividere una birra o due chiacchiere. Raramente lo riporto, non per mancanza di rispetto verso quelle persone, ma perché non vorrei che episodi marginali diano ai miei articoli l’aura di lettura partigiana degli eventi. Questa volta è diverso, questa volta il coinvolgimento emotivo è tanto, come tanto è il tempo che passo da ospite di alcuni amici di Vicenza già dal sabato, ma cercherò ugualmente di restare equidistante e quanto più obiettivo possibile nei giudizi.

Saltando tutti i preliminari e venendo direttamente al giorno della partita, le strade in zona stadio cominciano a popolarsi quando mancano ancora parecchie ore al calcio d’inizio. Chiaro che non parliamo del derby con Verona, ma si intuisce una certa tensione che carica l’atmosfera di elettricità. Oltre i ragazzi dei vari gruppi, piano piano convogliano verso il bar-ritrovo tanti amici le cui pezze poi si intuiranno anche più tardi in Curva: Metz, Udine e Pescara. Proprio questi ultimi, allo stadio sventoleranno una bandiera che celebra i 40 anni del gemellaggio nato nel lontano 1977, alla pari del libro “Nessuna differenza” presentato proprio il venerdì antecedente la gara e che raccoglie tutti questi lunghi anni di fratellanza fra le città di Pescara e Vicenza. Percorso inverso invece per i tanti diffidati che, mentre le transenne cominciano a delimitare l’area al traffico, ufficializzando l’inizio del servizio di ordine pubblico in vista della gara, devono allontanarsi da ogni zona attigua o interessata al passaggio dei tifosi.

Mentre l’ora della contesa quindi si approssima, la gente comincia a dividersi e mettersi in movimento. Essenzialmente a presidio di zone cruciali o potenziali incroci, anche se poco o nulla di rilevante si registrerà. I Bresciani vengono fatti fermare al casello e poi condotti in blocco allo stadio con autobus urbani, sotto l’ovvia e attenta scorta della polizia. All’andata non ho modo di vederli, mi ritrovo invece sulla loro strada all’uscita: sfilano a porte aperte, evidentemente pronti a qualsiasi evenienza; scelgono l’approccio sfrontato e aggressivo, ma oggettivamente mi è sembrato difficile che qualcosa potesse avvenire in quella situazione. All’arrivo dei bresciani allo stadio, ci sono stati invece alcuni momenti di tensione che, nelle cronache dei giorni successivi, verranno fatti passare come scontri sanguinosi e di portata epocale, anche se le due fazioni non verranno mai a contatto. Qualche provocazione a distanza, calca bresciana che spinge, una porta carraia automatica che fuoriesce dal proprio binario e cade: tanto è bastato  per ferire 2 o 5 poliziotti, a seconda delle versioni, e a vietare la successiva trasferta bresciana a Cesena. A puro scopo punitivo e non preventivo della violenza, visto che tra Brescia e Cesena c’è una vecchia amicizia.

Quando guadagno l’ingresso, manca ormai pochissimo all’inizio e anche all’interno le due tifoserie si dimostrano da subito tutta la reciproca antipatia. I bresciani in verità, dopo le iniziali schermaglie, resteranno in silenzio per il primo quarto d’ora con gli striscioni al contrario: la protesta va avanti già da tempo per sensibilizzare sul gran numero di Daspo subiti, alcuni dei quali ritenuti del tutto illegittimi perché – secondo un loro stesso comunicato – maturati in contesti che con lo stadio non c’entrano niente. Caso vuole che proprio al 15′ la Leonessa trovi la via della rete grazie a Blanchard, per cui il loro impatto è fin da subito di notevole spessore ed anche di una certa “cattiveria agonistica”, con un paio di bombe carta che squassano l’aria e cori secchi di provocazione verso i loro dirimpettai. Per quanto la distanza fra Brescia e Vicenza non sia proibitiva, la loro presenza sugli spalti mi è sembrata buona dal punto di vista numerico, ancor più da quello qualitativo, specie nella prima frazione in cui, complice una Curva di casa un po’ sottotono, si rendono autori di un tifo davvero molto buono.

I Vicentini cominciano bene, affilano le ugole già nel pre-partita con qualche coro anti-Brescia ben partecipato, realizzeranno poi una coreografia ad inizio gara che, per quanto semplice nella sua realizzazione (una serie di nastri rossi di plastica che scendono dall’alto, mentre tanti palloncini bianchi colorano le “bande” tra una fascia e l’altra), è comunque ben riuscita e anche dal colpo d’occhio gradevole. Quantitativamente la presenza nella Sud è importante e sicuramente al di sopra delle medie spesso ridicole di questa categoria, con pochissimi vuoti. Il tifo canoro invece, all’inizio vede la partecipazione di una “piramide” di persone che, dal basso del settore arriva a coinvolgere anche la parte più in alto, ma ai lati la gente è insensibile agli sforzi di chi a centro settore cerca di spingere tutti al supporto dei biancorossi. Poi piano piano la carica si esaurisce, forse anche a causa della tensione per l’altissima posta in palio, acuita dall’inaspettato vantaggio degli ospiti. Ad ogni modo e nonostante il buon inizio, il loro primo tempo è deludente. Molto, molto meglio nel secondo tempo, dove fanno quadrato e riescono a produrre una serie di bei cori e battimani sicuramente più proporzionati alle loro potenzialità numeriche e qualitative.

Si registrano, nel corso della gara, anche diverse sciarpate, forse il vero fiore all’occhiello di questa gara, tutte molto belle a vedersi, tanto di parte bresciana che vicentina. Si fa vedere, in questo senso, anche il gruppo nei Distinti, riconducibili all’ex “Fabio Group”, che ne sfoggia una sua, ovviamente limitata al loro ristretto numero, eppure ugualmente bella. In un periodo storico in cui la sciarpa sembra inflazionata a reperto da collezionisti, mero oggetto da mercato nero a cifre assurde, è bello vedere che c’è ancora chi la indossa e la mostra con orgoglio.

Nella seconda frazione, inversamente o forse per i ritorno avversario, scende un po’ il rendimento dei bresciani: se fossero riusciti a confermarsi con continuità sugli stessi livelli della prima, sarebbero stati praticamente perfetti, ma in definitiva il loro tifo lo giudico senza dubbio positivo, in tutto e per tutto. C’è colore, c’è potenza, c’è la giusta costanza, c’è una bella alternanza fra cori secchi, cantati e battimani, c’è anche una certa dose di “cattiveria” nel porsi verso gli avversari a cui avevo già fatto cenno. Sono ovviamente aiutati dalla selezione naturale che una trasferta offre, riuscendo per questo a risultare compatti e motivati. Onestamente e complessivamente, mi sono piaciuti molto.

Qualche riserva in più sui vicentini: con un secondo tempo di gran lunga migliore si riabilitano da un primo a singhiozzo. Davvero buoni dal punto di vista del colore, per coreografia, sciarpate, qualche fumogeno accesso di nascosto ed un paio di striscioni, per salutare nuovi vicentini che arrivano e qualcuno che purtroppo parte troppo in fretta. Un tifo da sufficienza, se vogliamo metterla ai voti scolastici, ma hanno potenziali, numeri, tradizione e qualità per fare molto di più. A parziale attenuante va detto che metà partita se la fanno sotto una pioggia battente e fastidiosa, ma paradossalmente è quella metà di gara in cui cantano di più.

In campo finisce con un pareggio che non fa male a nessuno, ma che allo stesso tempo non serve a nessuno per uscire da questo terreno viscido della zona play-out. Mi auguro che alla fine della stagione sia un punto guadagnato per entrambe e di poterle rivedere quindi ai nastri di partenza della prossima cadetteria: Vicenza e Brescia sono parte di quella provincia che ha scritto la storia del nostro pallone ed è già uno spreco non vederle in massima serie, da troppo tempo svilita da piazze senza alcuna tradizione e senza il minimo radicamento popolare al loro seguito.

Prendo un bel po’ di pioggia anche io, uscendo, ma mi rifaccio parzialmente incrociando l’uscita dei bresciani dalla città. Lascio il Veneto di fretta, mi aspetta un viaggio lunghissimo fino alla natia Puglia per alcuni giorni di ferie ed un treno che non aspetta e non rispetta sentimentalismi. Lascio tante bevute alle spalle, inenarrabile goliardia, due abbracci veloci che non bastano a corrispondere la riconoscenza e la stima per la gente che ho incrociato.

Testo di Matteo Falcone.
Foto di Marcello Casarotti.