Sono le sette del mattino di una tiepida e soleggiata domenica di febbraio e ho appena superato le ultime colline dell’Irpinia. Viaggio in direzione della Puglia, nello specifico di Altamura, dove tra poche ore si disputerà la sfida tra la squadra locale, capolista del girone H della Serie D, e la Fidelis Andria. Essendo partito dal basso Lazio, sono in macchina già da molto tempo. La stanchezza un po’ si fa sentire, ma l’immagine del sole che si alza dal Tavoliere, oltre gli ultimi rilievi appenninici, vale essa stessa la fatica del viaggio.

Sto per raggiungere Altamura per la prima volta nella mia vita, per cui sono eccitato anche all’idea di percorrere la Bradanica, un’importante arteria che collega Foggia con Matera e che segue il corso del Bradano, l’Acheronte dei Greci, il terzo fiume più lungo della Basilicata dopo il Basento e l’Agri. Lascio l’autostrada a Candela e supero l’area industriale di Melfi. Da qui in avanti il paesaggio diventa selvaggio e incontaminato, dall’aspetto quasi irlandese. La strada è vuota, quindi posso guidare pianissimo, per godermi ogni centimetro di questo territorio, dominato dalla mole del Vulture, al confine tra la Lucania, la Puglia e l’Irpinia. Supero Lavello e Venusia (Venosa), la città natale del grande poeta latino Orazio, la cui fondazione era attribuita dagli antichi a Diomede, il compagno inseparabile di Ulisse nei poemi omerici. Secondo i geografi classici l’eroe di Argo, dopo la guerra di Troia, avrebbe fondato numerose città sulla sponda pugliese dell’Adriatico, tra le quali Canosa, Brindisi, Sipontum e Arpi, nella Daunia, dove avrebbe infine stabilito la propria reggia. Devo però andare oltre e, giunto allo svincolo per Gravina, lascio la Bradanica e mi inoltro nel cuore dell’Alta Murgia, un altopiano carsico protetto, a partire dal 2004, da un importante Parco nazionale, istituito per mantenere intatte le sue caratteristiche steppe a graminacee, i suoi estesi pascoli e le sue doline.

Percorsi pochissimi chilometri giungo finalmente ad Altamura, un popoloso centro di quasi 70.000 abitanti dell’entroterra della provincia di Bari. Mi reco subito allo stadio per fotografare i bellissimi murales visibili all’esterno. Qui noto uno striscione affisso dalla tifoseria locale, che invita tutta la città a recarsi allo stadio nel pomeriggio. Dall’altro lato vedo la splendida cerchia delle mura megalitiche, che testimoniano il passato peucezio di Altamura. Gli scrittori greci indicavano con l’etnonimo di Iapigi tutte le popolazioni della Puglia preromana, dal Gargano al Salento. All’interno di questa famiglia erano individuati tre raggruppamenti etnici, da cui derivano i nomi delle principali regioni storiche pugliesi: i Dauni nella parte settentrionale, i Peucezi in quella centrale, i Messapi nella fascia più meridionale.

Mancano ancora diverse ore alla partita, per cui decido di visitare il magnifico centro storico di Altamura, legato invece al Medioevo: la città murgiana, dopo le distruzioni saracene, fu rifondata da Federico II (1194-1250), il sovrano svevo noto come puer Apuliae. Lo jesino diede grande splendore ad Altamura, facendovi costruire la splendida cattedrale dell’Assunta, che è l’unica chiesa imperiale della Puglia, in quanto voluta dallo stesso imperatore. Allo Svevo è ovviamente dedicata la principale strada della città, che collega porta Bari con porta Matera, purtroppo scomparsa. Passo davanti alla chiesa di San Nicola dei Greci, dove fino al 1601 fu praticato il rito cattolico greco-bizantino, e mi inoltro nei caratteristici claustri, delle piazzette anguste cui si accede tramite vicoli strettissimi, utilizzati come luoghi di ritrovo e di difesa dalle comunità arabe, ebree, latine e greche stabilitesi ad Altamura a partire dal basso Medioevo.

Il tempo, tra una foto e l’altra, scorre troppo velocemente, per cui decido di effettuare un’ultima tappa: mi reco al vecchio stadio, collocato nel cuore della città e intitolato a Luca de Samuele Cagnazzi, uno studioso altamurano vissuto tra il Settecento e l’Ottocento. Qui si sta giocando una partita del girone A della Seconda categoria pugliese tra una squadra locale e una di Cerignola. Il campo in terra battuta è affiancato da una bella gradinata in cemento, ma non sono più visibili, purtroppo, i gradoni che costituivano il settore ospiti. Ho l’opportunità di entrare nella segreteria, dove posso ammirare, tra i vari gagliardetti, alcune vecchie foto. Una di queste, in cui si vedono gli spalti stracolmi di spettatori, attira naturalmente la mia attenzione, e provo a immaginare l’atmosfera che si poteva respirare in questo stadio quando vi giocava la prima squadra della città.

Il calcio d’inizio, tuttavia, si avvicina; così, scattata un’ultima foto al vecchio botteghino, inizio a camminare in direzione di Via della Mura Megalitiche, dove arrivo poco dopo. Ormai il desiderio di vedere il “D’Angelo” anche all’interno prende il sopravvento, per cui ritiro l’accredito e metto piede, per la prima volta, sul manto verde dell’impianto altamurano. Costruito negli anni Ottanta, lo stadio dell’Altamura ha un terreno in erba naturale, una tribuna coperta e un lungo settore ospiti scoperto. Antonio D’Angelo, cui è intitolato, è stato un centrocampista altamurano, che negli anni Settanta ha giocato in B con il Bari e con il Taranto. Prima che inizi la partita, effettuo naturalmente un giro lungo la pista d’atletica per fotografare ogni dettaglio, mentre il pubblico, a poco a poco, inizia a riempire i due settori.

Volgendo lo sguardo a quello casalingo noto che i ragazzi di Altamura sono all’opera per preparare qualcosa, con ogni probabilità una coreografia. Nella città pugliese si respira grande entusiasmo: dopo diversi anni i biancorossi sono al vertice della classifica, in piena lotta, dunque, per la promozione in C, una categoria che da queste parti manca dalla stagione calcistica 1996-97, l’ultima disputata dal sodalizio biancorosso nella vecchia C2.

Ormai gli atleti stanno per uscire dal tunnel e per gli altamurani arriva il momento più atteso, quello, appunto, della coreografia: il settore viene colorato da tantissime bandierine bianche e rosse, poi viene fatta scendere una riproduzione del Monumento ai Caduti di piazza Duomo. Questo gruppo scultoreo fu realizzato dall’artista fiorentino Arnaldo Zocchi ed eretto nel 1899, in occasione del primo centenario della Rivoluzione di Altamura. Nel 1799, in piena età napoleonica, gli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza, teorizzati dai pensatori illuministi e attuati dalla Rivoluzione francese, erano ormai radicati anche nella città murgiana. Prendendo ispirazione dall’istituzione della Repubblica Partenopea, la popolazione altamurana insorse contro l’assolutismo borbonico, piantando l’albero della libertà. La successiva reazione dell’esercito sanfedista, guidato dal cardinal Ruffo, fu particolarmente dura, ma gli altamurani resistettero eroicamente, tanto che la città si guadagnò l’appellativo di “Leonessa di Puglia”. La memoria del sacrificio dei martiri del 1799, caduti per la libertà di Altamura, è orgogliosamente scolpita nei nomi di tantissime strade della città. Lo striscione “Nobile, fiera, ribelle!” completa una coreografia splendida, che dimostra quanto gli ultras, accostati troppe volte a falsi luoghi comuni da un’opinione pubblica superficiale e prevenuta, siano invece appassionati custodi e fieri testimoni delle tradizioni delle comunità cui appartengono, di quelle storie spesso trascurate, invece, da chi non si lascia mai sfuggire l’occasione per definirli rozzi o ignoranti in modo del tutto ingiustificato, senza alcuna conoscenza del fenomeno.

Nel settore ospiti gli andriesi colorano il settore con le loro pezze di ottima fattura, con i loro stupendi bandieroni e con una magnifica sciarpata. L’atmosfera che si respira è meravigliosa: la tribuna di casa è piena e il settore ospiti presenta un colpo d’occhio notevole. Penso di aver scelto la partita migliore per scoprire questa nuova realtà: cos’altro desiderare quando si possono vedere all’opera, contemporaneamente, due tifoserie di assoluto valore?

Insieme a quella sugli spalti inizia, dunque, anche la gara in campo. Le due squadre giocano, fortunatamente, con le divise tradizionali: bianca con risvolti rossi per l’Altamura, a strisce verticali biancazzurre per la Fidelis Andria. Nei due settori i bandieroni sono sempre in movimento. Gli altamurani, accompagnati dai loro fratelli di Potenza, cominciano a tifare con cori prolungati, per poi passare a quelli secchi e a ripetere. Dall’altro lato gli andriesi scelgono cori accompagnati dal tamburo, suonato in modo perfetto. In campo si assiste a un incontro equilibrato, in cui nessuna delle due squadre riesce a prevalere sull’altra, così il primo tempo si conclude in perfetta parità.

Inizia la ripresa e i ragazzi di Altamura realizzano una sciarpata fittissima. Gli ultras altamurani e andriesi aumentano l’intensità del proprio supporto, tifando senza pause. Decido di fare un giro lungo la pista d’atletica, passando prima sotto la tribuna di casa, poi sotto il settore ospiti. Provo un’emozione speciale nel vedere così da vicino i bandieroni, gli striscioni e le pezze di queste due bellissime tifoserie. Proprio quando sono vicino al settore ospiti, gli andriesi intonano un “Andria, solo per te la mia canzone vola” che mi mette letteralmente i brividi. Sono attimi magici, che solo chi condivide la mia stessa passione può capire. Ripenso alla mia adolescenza, a quando osservavo con occhi incantati le immagini dei derby del Sud: per me essere qui è la realizzazione di un sogno.

Vorrei rimanere al “D’Angelo” ancora per tanto tempo, ma la fine della partita, tra un coro e l’altro, giunge, purtroppo, inesorabile. Poco prima del triplice fischio gli andriesi effettuano un’altra, bellissima sciarpata. La gara termina con il risultato di 0-0, ma le dirette concorrenti dell’Altamura non ne hanno approfittato, per cui nei piani alti della classifica i giochi sono ancora apertissimi. Gli altamurani intonano il coro “Dai ragazzi, noi ci crediamo!” per caricare la squadra in vista dello scontro diretto di Nardò.

Il sole sta per calare, ormai, sui campi carsici dell’Alta Murgia e devo affrontare altri 400 chilometri prima di rimettere piede a casa. Ripongo l’attrezzattura nello zaino e con una brevissima passeggiata raggiungo l’auto. In pochissimo tempo sono di nuovo sulla Bradanica, che mi porterà fino all’A16. Guardo i cartelli stradali e programmo altre partite da vedere in questa o in quell’altra città. Il viaggio scorre veloce: penso ai sogni ancora da realizzare e ripercorro ogni singolo momento di una giornata intensa e indimenticabile, vissuta all’insegna della mia passione più grande.

Andrea Calabrese