La constatazione più amara è che gli unici a non comprendere, non condividere e non volere alcuna restrizione su biglietti, trasferte e accesso agli stadi sono proprio quelli che le gradinate le frequentano: i tifosi. Una categoria ormai ostaggio di tutta l’infinita serie di cervellotici provvedimenti partoriti da virtuose Questure, ratificati dal famigerato GOS e “consigliati” (come gli piace scrivere ogni settimana) da quella macchina burocratica, anacronistica e incompetente chiamata Osservatorio Nazionale sulla Manifestazioni Sportive. Decisioni che ormai vengono prese in modo carbonaro, di nascosto. Con determinazioni pubblicate una settimana dopo la disputa delle partite prese in oggetto e vendite dei biglietti che iniziano senza comunicati ufficiali, forse nella speranza che nessuno se ne accorga e il numero di persone in trasferta si riduca ulteriormente. Quest’ultima è solo una delle tante assurdità di questo sistema in cui sono occorsi, nella fattispecie, i supporter pescaresi: match dichiarato a rischio dall’Osservatorio, che tuttavia nelle sue uniche prescrizioni obbligava i seguaci del Delfino ad acquistare solo tagliandi per il settore ospiti. Sapete molti pescaresi come hanno saputo che la vendita era attiva online a inizio settimana? Tramite uno scambio di commenti su Facebook. Qualcuno, giustamente, chiedeva lumi in merito, imbattendosi nella risposta risolutoria di un paio di tifosi che, casualmente, avevano “scoperto” il link dove poter acquistare i ticket.
Va ricordato che a fronte di una capienza totale di 24.000 spettatori, lo stadio Del Conero è attualmente omologato per molti meno posti e ai tifosi abruzzesi vengono destinati, pertanto, solo mille biglietti (per un settore che ne può contenere oltre quattromila). Solite situazioni all’italiana insomma, che assieme alle determinazioni di cui sopra concorrono a generare caos e a creare, potenzialmente, pericoli. Alcuni pescaresi – giustamente mi sento di dire – appresa l’impossibilità di acquistare un biglietto, hanno attinto ai settori casalinghi, fino a causare la sospensione delle vendite online. Del resto in questi casi di necessità occorre fare virtù e laddove il sistema si può aggirare non biasimo davvero chi lo fa con nonchalance. Rispettare le regole è un conto, sottostare a imposizioni tanto idiote quanto controproducenti è un altro. La differenza tra una mente pensante e una supina a prescindere è anche questo: senso critico, spirito di adattamento e ribellione. Per tutti quelli che “i ribelli fateli per cose serie”: intanto cominciate voi, poi chi allo stadio tenta di eludere determinate baggianate probabilmente anche nella vita di tutti i giorni non si limita a guardare in silenzio prevaricazioni di vario tipo.
Raggiungere il Del Conero non è mai impresa facile. Lo stadio edificato nel 1992 e situato a una manciata di chilometri dal centro cittadino, non è infatti dotato di un collegamento vero e proprio. O meglio: esattamente dodici anni fa venne aperta la stazione di Ancona Stadio. Sapete da allora quanti treni vi fermano ogni giorno (compresi quelli delle partite)? Ovviamente zero! L’alternativa è scendere, sempre col treno, a Varano e poi farsi una ventina di minuti a piedi, oppure – nel mio caso – salire su uno dei pullman che transita vicino all’impianto, scendere su una strada a scorrimento veloce e camminare per quasi due chilometri. In alternativa c’è sempre il taxi, che vi costerà più di un normale biglietto per assistere a una partita di Serie C. Comodo no? Il bello è che ormai da anni ci si riempie la bocca su quanto sia importante decentrare gli impianti sportivi, sia per una migliore gestione dell’ordine pubblico che per evitare caos a ridosso dei centri abitati. Peccato che poi, la maggior parte delle volte, il tutto si risolva con cattedrali nel deserto malservite, asettiche e fredde. Altra cartina al tornasole del nostro illogico Paese!
Eppure, pensate, considerato il vento proibizionista che spira sul nostro pallone e sulle sue tifoserie, bisogna pure ritenersi fortunati nell’assistere alla partita di oggi con ambo le fazioni in uno stadio parzialmente agibile. Se uno mi chiedesse qual è la prima ragione che mi ha spinto in riva all’Adriatico, ancor prima che la sentita e storica rivalità tra le tifoserie, direi che è la paura di non poter mai più vedere, nel futuro prossimo, questa partita. Ormai il giochetto si è capito: se mi va ti apro la trasferta, se per sbaglio tiri un fumogeno in campo o tossisci troppo forte e ti voglio punire, tu con quello stadio X hai chiuso. Quindi meglio non farsi sfuggire l’occasione! E comunque è innegabile che per un appassionato di questo mondo, sebbene non siano i livelli di coinvolgimento e passione degli anni ottanta o novanta, i derby che si dipanano sulla costa adriatica restino sempre un qualcosa dal sapore tanto ruvido quanto antico. La Nord anconetana ha annunciato che saluterà l’ingresso delle squadre con una coreografia ed effettivamente quando manca poco meno di un’ora al fischio d’inizio il settore è già ben popolato.
Riavvolgendo il nastro: arrivo nelle Marche dopo aver passato il sabato sera a Bari, contestualmente al bel dibattito organizzato dai ragazzi dell’Ideale. Un viaggio che inizia alle sei di mattina, praticamente senza aver chiuso occhio, e che grazie al sempiterno Intercity mi conduce fino a Jesi, dove prima della partita di questa sera mi concedo un ottimo e gradito antipasto: Jesina-Civitanovese, derby di cui ovviamente avrete modo di leggere a breve la meritata cronaca. Colgo l’occasione per dire che la realtà ultras marchigiana è forse sottovalutata a livello nazionale, ma da anni si contraddistingue per belle e durature realtà, al seguito di sodalizi che spesso hanno anche una storia importante e ben radicata sul territorio. Uno dei problemi fondamentali dei club di questa regione è la stabilità sportiva ed economica. Basti pensare agli innumerevoli fallimenti in cui svariate società sono incappate nell’ultimo decennio, non ultimi quelli che hanno visto coinvolto proprio l’Ancona. Dall’esclusione dal campionato cadetto del 2010/2011 per i dorici il cammino è stato a dir poco travagliato. Dodici anni in cui, al cospetto di tre campionati di Serie C raggiunti risalendo la china dall’Eccellenza, è arrivato un altro fallimento (2017) che ha costretto un nuovo club a ripartire addirittura dalla Prima Categoria, raggiungendo l’Eccellenza ma non riuscendo, fino alla stagione 2020/2021, a conquistare neanche la promozione in D. Al termine di quell’annata è arrivata la fusione col Matelica, neopromosso in C, e per i tifosi biancorossi si sono riaperte le porte della terza divisione professionistica.
Ora, assodato che acquisire il titolo di un’altra società, cambiarne nome e colori e giocare – de facto – al suo posto in una categoria non conquistata sul campo non è mai il massimo, mi trovo anche in difficoltà a essere oltranzista fino in fondo con gli ultras marchigiani, che hanno deciso di sposare appieno il progetto (con la promessa, mantenuta, del ritorno a nome e marchio originali l’anno successivo, vale a dire quello corrente). Il dato di fatto è che per la piazza tutta quella sequela di campionati anonimi in categorie regionali stava fungendo da vera e propria tabula rasa per il seguito cittadino. Cosa che ancora oggi si tasta con mano e che per essere invertita richiederà anni di stabilità e qualche buon risultato. Del resto, al netto di un’ottima presenza in curva e delle limitazioni nella capienza, i 5.332 spettatori (1.000 ospiti) odierni sono comunque una cartina al tornasole. È vero che lo stadio disincentiva incredibilmente (pensate voi a passare dal centralissimo Dorico a questo impianto, roba da paragonare al trasloco obbligato per i padovani dal bellissimo Appiani all’ecomostro Euganeo) e che l’Ancona non sta propriamente disputando un campionato di vertice, ma è pur vero che parliamo di un capoluogo di regione che conta circa centomila abitanti. Insomma, ripeto: giocare in una categoria non acquisita sul campo non è bello, ma se l’alternativa è radere quasi totalmente al suolo il legame tra squadra e città, i ragionamenti da fare forse sono anche altri. Ovviamente tappandosi il naso.
Superati un paio di filtraggi sono all’interno del manto verde. I pescaresi si stanno lentamente radunando davanti ai tornelli del settore ospiti, mentre la Nord sistema meticolosamente i cartoncini che andranno a comporre la coreografia. Lo spiegamento di forze dell’ordine è ingente e davvero non lascia spazio a nessuna velleità turbolenta. Quando parliamo di rivalità tra città adriatiche, dobbiamo sempre mettere in conto la particolare tempra che contraddistingue questa parte di costa italiana. È una mia idea, ma ho sempre avuto l’impressione che rispetto al lato tirrenico, gli adriatici preservino quel fascino “malandrino” e poco avvezzo ai convenevoli di chi non ha visto le proprie zone in mano a boom frenetici e fagocitanti del turismo. E comunque parliamo di gente che storicamente è abituata ad avere rapporti con l’Oriente, in primis con i Balcani. E che, dunque, per intesservi relazioni ha bisogno, forse, di mantenere parimenti un aspetto rude. Se guardiamo il mondo del tifo organizzato e pensiamo a sfide come quelle tra Ancona, Pescara e Sambenedettese, le nostre menti e i nostri ricordi non possono che andare a domeniche a dir poco calde ed esagitate. Tempo fa osservavo con la bava alla bocca un vecchio documentario realizzato prima di un Ancona-Sambenedettese disputato al Dorico nel 1989. Uno spaccato davvero profondo e significativo sia di ciò che queste rivalità sono state, sia di quello che l’Italia di quegli anni potesse essere. Oggi, è chiaro, forse neanche le briciole di quel mondo e di quella società sono rimaste. Ma solo il tanto clamore mediatico creato dai noti timorati da Dio di cui sopra.
Tornando alla nostra serata: la sfida comincia ad accendersi quando il contingente biancazzurro fa il proprio ingresso. Una sorta di corteo che scende in modo compatto le scalette del settore, facendo ampio utilizzo di torce e bombe carta. Chiare provocazioni nei confronti dei dirimpettai, che subito rispondono per le rime, dando finalmente inizio a questo derby. Quando le due squadre fanno capolino dagli spogliatoi, la Nord si colora con una coreografia tutto sommato semplice e ben riuscita: uno stuolo di cartoncini blu – probabilmente a simboleggiare il mare – fa da contorno allo scudo centrale, dove la scritta Curva Nord adorna il cavaliere con la spada, simbolo della città. Si tratta, per la precisione, di un riferimento all’Imperatore Traiano (che favorì l’ampliamento del porto anconetano facendolo diventare una delle principali porte d’Oriente) e allo spirito guerriero del capoluogo dorico. In balaustra lo striscione “Noi siamo il simbolo della città”. Insomma, nulla di troppo elaborato, ma dalla buona riuscita. Sicuramente una spanna sopra coreografie in 3D o messaggi che spesso per essere compresi hanno bisogno della consultazione di almeno tre volumi dell’enciclopedia Treccani. Anche i pescaresi puntano sul classico: sciarpata, pirotecnica e voce. Tornando al discorso sulle genti adriatiche, eccone un altro tratto distintivo: essenziali, senza fronzoli. Dritti al punto.
Comincia anche il confronto vocale, che tra cori e offese si porterà piacevolmente avanti per tutta la sfida. I padroni di casa, che oggi ovviamente contano su un maggior numero di presenze, sfoderano una buona performance, con il blocco centrale sempre in movimento e i tifosi posti ai lati che sovente vengono spronati a partecipare dagli indomiti lanciacori. Belli i cori a rispondere e i battimani, di ottima fattura alcuni stendardi. Sicuramente iconico quello che richiama al Caffè Borghetti, liquore che da Nord a Sud unisce generazioni di tifosi e che proprio di Ancona è originario. Nel finale bella sciarpata sul classico coro che richiama ai moscioli (le cozze) e al vino. Elementi che quando vengono inseriti in canzoni da stadio mi fanno davvero impazzire, perché sinergici con l’identità cittadina. Anche con quella basilare. Quella che rende orgogliose, sovente, anche persone che magari per diverse ragioni non hanno più contatti con il proprio luogo natio. Ultima riflessione sui dorici: non me ne voglia chi dagli albori ha scritto le prime pagine della storia del tifo locale, gruppi e generazioni comunque meritevoli di rispetto e fondamentali per la continuità storica della curva marchigiana (tra i pochi tra l’altro, sul finire degli anni ottanta e l’inizio dei novanta, a presenziare con una certa costanza al Sud), ma da un punto di vista prettamente canoro e visivo, trovo che gli ultimi dieci anni di movimento ultras anconetano siano riusciti a effettuare una notevole crescita. Il piglio è sempre di quelli rabbiosi, malgrado ci sia da fare costantemente i conti con una delle Questure più pesanti e invasive d’Italia, nonché con il tracollo sportivo della propria squadra.
Buona anche la prestazione abruzzese, con alcuni momenti di stanca ben ripagati da cori eseguiti in maniera granitica e potente, tanto da udirsi perfettamente dall’altra parte del campo rispetto a dove i biancazzurri sono sistemati. Per loro, inoltre, serata contraddistinta dal massiccio uso di pirotecnica, cosa che non guasta mai e che regala a questo genere di partite quel pizzico di sale in più. Dispiace solo che per il mero utilizzo folkloristico di questi strumenti ci saranno ragazzi privati della propria libertà e a volte, come successo ultimamente proprio ai pescaresi, squalifiche del settore (altra moda ormai ben radicata in mano ai nostri censori, alla faccia di quella responsabilità individuale che dovrebbe essere alla base di ogni posto democratico). Constatazione: la tifoseria ospite, pur mantenendo alla propria guida i Rangers, negli anni ha visto avvicendarsi e nascere diverse sigle. Eppure di base lo spirito del pescarese rimane sempre quello ed in queste occasioni torna prepotentemente a galla: una curva che non le manda a dire e che senza mezzi termini cerca “rogne” nel rispetto della propria storia e del proprio percorso da stadio. Da segnalare la presenza dei gemellati vicentini.
Dopo il fischio finale – con il match terminato 1-1 – spazio al “terzo tempo” delle curve. Offese a go-go, in cui vengono chiamati in causa anche i gemellati. Tanto per non farsi mancare nulla. Si tratta dell’ultima appendice di questa giornata, che mi godo prima di riporre la camera e prepararmi a lasciare lo stadio per raggiungere la fermata del pullman per Roma. La stanchezza comincia a farsi sentire e il mix tra freddo e vento mi ha letteralmente sfiancato (penso abbia tagliato in due le facce di tutti i presenti), tanto che il tepore ritrovato dentro al verde torpedone della Flixbus lo annovero tra le più belle sensazioni odierne. Mi aspettano cinque ore di viaggio, perché – malgrado non sembri – passare da una parte all’altra dell’Appennino significa sempre “tribolare”, tanto che a un certo punto quasi mi convinco che il due aste biancorosso Felli Tribolà sia rivolto a me (sic!).
Mi addormento, rimandando all’indomani ogni considerazione. Il testa a testa andato in scena al Del Conero mi ha comunque lasciato tanti begli spunti, cominciando da uno dei contrasti cromatici che più mi garbano: biancazzurri contro biancorossi. Elemento fondamentale per godersi appieno una sfida, perché i colori che si scontrano stimolano la fantasia e, giocoforza, vanno a richiamare anfratti storici delle due contendenti. Considerazioni da malato di mente, che il mio vicino – intento a rivedere avidamente le sintesi della Serie A – davvero non potrebbe mai capire!
Simone Meloni





























































































































