Pubblicare il resoconto di questa partita, ignorando totalmente quanto successo nelle ultime ore, sarebbe errato e forse anacronistico. La notizia infatti è che la gara di ritorno (in programma questa domenica) si giocherà a porte chiuse. L’ennesimo schiaffo alla credibilità di un sistema calcistico che da ormai tanti anni ci regala teatrini talmente patetici da non fare più notizia. Nonché la punta dell’iceberg sui problemi ormai annosi a cui l’impiantistica del nostro Paese è sottoposta. Tra stadi fatiscenti, non a norma per le categorie da disputare e società (anche di Serie A) che preferiscono depauperare l’erba del vicino, perché sempre più verde.

E sì che i presupposti per una simile scelta c’erano tutti. Da tempo immemore. Il problema di fondo nasce dall’attuale indisponibilità dello stadio di San Marzano, con i rossoblu che si sono spostati nella vicina Angri con la paradossale situazione di essere i primi gestori del campo (grazie all’accordo raggiunto con la Polisportiva United, conduttrice prima del campo in virtù di un accordo decennale stipulato con il comune angrese), occupandolo dunque assieme alla prima compagine cittadina: l’US Angri. Con tutti i problemi che ne possono conseguire, ovviamente, nella gestione settimanale degli allenamenti. Tanto è vero che i grigiorossi sono attualmente costretti ad allenarsi a San Giuseppe Vesuviano.

Sia chiaro, nulla contro società e tifosi marzanesi, ma il tutto è grottesco ed evidenzia ancora una volta come istituzioni e comuni si girino troppo spesso dall’altra parte, di fronte alle sorti delle rispettive squadre cittadine. Resta davvero intollerabile la girandola di “invasioni di campo” che avviene in Italia. Per quanti mi si possa contestare che “pecunia non olet”, andrebbe sempre ricordato che il football non è sport asettico, senza pubblico e in cui sono soltanto i soldi a determinare prestazioni, risultati e seguito. Soprattutto in queste categorie. Ecco dove comuni e istituzioni peccano: nel non fungere da schermo protettivo. Nel non difendere il proprio gonfalone che si erge anche nel calcio. Realtà come Angri – che quest’anno hanno registrato spesso e volentieri più di mille spettatori a partita – non possono subire l’umiliazione di non sentirsi “padroni” in casa propria e dover comunque sottostare a decisioni prive di qualsiasi logica.

Già in campionato la sfida aveva creato polemiche e grattacapi, con la gara di andata disputata a porte chiuse e quella di ritorno sul neutro di Pomigliano d’Arco. Motivi d’ordine pubblico. Per un match in cui non sussiste nessuna rivalità tra le tifoserie. La ciliegina sulla torta è quindi arrivata in queste ore – dopo una serie di rifiuti da parte dei comuni limitrofi – con il ritorno del match (finito 1-0 al Novi domenica scorsa) che si disputerà a Sarno in assenza di pubblico. Sempre per i non decifrabili problemi relativi alla sicurezza degli spettatori.

A proposito, ma lo vogliamo dire che Prefetture e Questure fanno puntualmente la figura dei fessi nel mettere nero su bianco la loro non capacità (non volontà?) di gestire qualche migliaio di spettatori? Del resto penso che ormai abbiano talmente terreno facile nell’emanare e proporre divieti e restrizioni che nessuno ci faccia più caso. Salvo le società e le tifoserie interessate di volta in volta.

L’ennesima farsa è quindi in procinto di andare in scena. Con una delle sfide più importanti per ambo le società che risulterà giocoforza falsata. Perché – parliamoci chiaro – un conto è giocare con il pubblico sulle gradinate e un altro nel silenzio delle porte chiuse. Se a qualcuno giova così, forse sarebbe meglio cominciare a non chiamarlo più giuoco del calcio, perché in questo sport da oltre cento anni i tifosi hanno un ruolo fondamentale, tanto da ritagliarsi storicamente l’appellativo di “dodicesimo”.

L’unico auspicio è che questo Paese – provinciale e piccolo nei suoi intenti – riesca a far propria una cultura sportiva di base, capace di far passare l’idea che ogni club deve giocare nella propria città, nella propria struttura e davanti ai propri tifosi. Un modus operandi che deve arrivare anche e soprattutto alle Leghe e alle Federazioni, che sempre più sembrano voler scoraggiare qualsiasi tipo di legame identitario tra squadre e territorio.

Se non se ne ha la possibilità si facciano delle riforme e si spendano (senza buttarli) soldi per fare questo passo avanti. La misura è colma ed è davvero patetico star a contare ogni anno le società che devono chiedere ospitalità a comuni e stadi vicini, innescando diatribe inutili e arrivando ad intaccare la regolarità dei tornei disputati.

Regolarità che è già discutibile nel caso dell’Eccellenza, dove allo stato dei fatti non basta vincere il proprio girone. Ma bisogna poi sperare di avere ancora forza e lucidità per primeggiare negli spareggi. Uno si vuol impegnare nel non fare demagogia e nel non perdersi in frasi fatte, ma è davvero difficile non immaginare l’Italia come quel posto dove – ancora – il bulletto del paesello si alza la mattina con la luna storta e impone a tutta la comunità le sue assurde pretese.

A buon intenditor…

Simone Meloni