C’è un aspetto che a tutti noi quotidianamente sfugge e che, tendenzialmente, ci frega. Distruggendo le nostre idee e annacquando il nostro più intimo credo. È l’abitudine. Questa non è per forza un qualcosa di sbagliato o nocivo, ma lo diventa quanto intacca e affossa battaglie e malcontenti. Credo che il sopire situazioni grige con delle soffici martellate, che lentamente modellano l’essere umano, sia stata la trovata dei nostri anni. O meglio, si è sempre fatto, ma la contemporaneità ne permette un esercizio massivo e molto più invadente rispetto al passato. Tra social network, messaggi ormai scambiati in diretta e una comunicazione che si è fatta incredibilmente suadente e accessibile anche a chi difficilmente riesce a mettere di fila due parole in un mediocre italiano, si è data da una parte l’illusione di una libertà conquistata tout court come una terra promessa, e dall’altra si è cominciato a limare la mente della gente.

Senza andare troppo lontani con i discorsi, evitando di trascinarci in campi che non ci competono, restiamo in quelli verdi circondati da spalti. Che un tempo per tutti noi rappresentavano nient’altro che luoghi sinonimo di svago, gioia e aggregazione. Almeno a Roma non è più così, e non sto qua a rimestare la zuppa composta dalle motivazioni che hanno creato questa situazione, dato che tutti ne siamo a conoscenza. Il fatto su cui rifletto, fondamentalmente, è il totale silenzio e la quasi solitudine che mi accompagna fino a pochi metri dal vialone che conduce ai primi prefiltraggi. È una sensazione strana, probabilmente quest’anno è stato sempre così, ma oggi ci ho fatto caso con più inquietudine. Perché è un silenzio che vuol dire “ormai è così”. Come quelle vecchie che sentendo alla televisione la notizia di un omicidio efferato e, invece di scandalizzarsi, esclamano: “Vabbè, ormai sono tutti pazzi”. Qua entra in gioco l’assuefazione.

Lo stadio Olimpico sembra, infatti, quasi assuefatto dalla condizione cui è piombato in questa stagione. Ovvio, le cose in città non vanno meglio. La stretta repressiva legata allo stato d’urgenza post attentati di Parigi ha fatto leva su molte menti non pensanti, oltre che su cervelli facilmente malleabili, che il terribile mostro mangia tutto del sistema statale-poliziesco ha facilmente fagocitato. Purtroppo, se facciamo solo riferimento al mondo dei tifosi, l’assuefazione, a pensarci bene, è un qualcosa che dovremmo conoscere bene. È la stessa che da una parte ci faceva contestare i biglietti nominativi, ma dall’altra ce li faceva accettare. Come con i tornelli, con la tessera e con tutte le porcherie che ci sono transitate davanti agli occhi in questi anni. E quindi, va da sé, che l’ingurgitare silenziosamente quest’ulteriore piatto di feci, sarebbe soltanto l’ultima e logica conseguenza. Seppure, è chiaro che anche questa tendenza a fare uso di piatti fetidi, ha conosciuto un più che parziale capolinea nella Capitale, dove attualmente la stragrande maggioranza dei tifosi ha detto “no” al passare una serata in un Lager autorizzato per vedere una partita di calcio.

Guai a pensare che ci siano i risultati di mezzo. Mi urta ripetermi, ma proprio in quest’era della comunicazione asfissiante, è sufficiente cercare su Google una foto dello stadio Olimpico durante una gara di Roma e Lazio anni addietro per ravvedersi della realtà dei fatti. Pure se ci vogliono raccontare il contrario. Ma del resto ci hanno anche detto che nessuno va allo stadio perché ci sono 4.000 scavalcamenti a partita e il costante rischio di incidenti. Non si fa cenno, mai e poi mai, al prezzo esorbitante e ingiustificato dei biglietti. In settimana, in tanti a Frosinone hanno avuto modo (e ragione, sia chiaro) di lamentarsi per i 35 € richiesti dalla società giallorossa per il settore ospiti; in molti non sanno che è ormai la routine da qualche anno e che queste cifre fuori luogo sono prontamente sparate anche ai tifosi di casa. Nonostante, non solo l’Olimpico non abbia certo migliorato la propria offerta, ma sia addirittura diventato peggio. “Almeno una volta andavi in curva e ti divertivi”. Ora ti multano se cambi posto e ti daspano se lo rifai un’altra volta. Di cosa vogliamo parlare?

Analizziamo i dati. Quelli di cui parlano alla televisione, ad esempio. Dicono, questi signori, che alle partite della Roma partecipino in media 30.000 spettatori (beninteso: un numero che sarebbe comunque scandaloso, visto i trascorsi di una tifoseria che portava 60.000 spettatori anche in un anonimo match di bassa classifica, e lo stesso discorso vale per i tifosi laziali). Stampa e televisioni a diffusione nazionale ricalcano molto spesso su questi dati. Eppure quelli ufficiali direbbero ben altro: nella partita contro i ciociari erano presenti poco più di 29.000 tifosi tra abbonati e biglietti acquistati. A questo dato va ovviamente sottratta tutta quella fetta che, per protesta, ha deciso di boicottare (e a occhio nudo direi che siamo almeno oltre i 5.000), oltre che i 1.500 supporter giunti da Frosinone. Arriviamo a un numero di circa 22-23.000 presenze. Ognuno tragga le proprie conclusioni, ma è lapalissiano che una Capitale europea, che inoltre ha velleità di ospitare le prossime Olimpiadi, non possa avere due squadre in Serie A che, al momento, assieme non riescono a riempire il proprio stadio. Fossimo in un Paese normale qualcuno si porrebbe degli interrogativi, ma siccome siamo in uno Stato che vive comodamente con perenni decreti d’urgenza, per lavarsi le mani e giustificare parecchie delle proprie malefatte, siamo pur sicuri che gli autori di questo scempio non solo non verranno mai messi di fronte alle proprie magagne, ma saranno insigniti con onorevoli scatti di carriera. È così che funziona, ancora non l’abbiamo capito?

Ecco che l’assuefazione permette tutto ciò. Ed è un qualcosa di pericolosissimo, perché se oggi perdiamo le piccole libertà di cui disponeva il tifoso di calcio, domani le perderemo da cittadini. Cosa che sta già avvenendo, non parliamo di situazioni astruse alla realtà dei fatti e che riguardano soltanto chi segue questo sport. Si vuole far passare in cavalleria la gravità della situazione romana, provando in tutti i modi ad additare gli autori di questa protesta civile come persone che agiscono per propri tornaconti e contro le proprie società, quando la realtà è ben diversa. Sarebbe sufficiente volerla vedere e prenderla in analisi. Ma quanto costerebbe a queste istituzioni menzognere e truffaldine? Così si sta spingendo affinché il tutto passi in cavalleria, magari nella speranza che il prossimo anno gli abbonati della Sud non rinnovino lasciando spazio a questi fantomatici nuovi tifosi 2.0. È grave e ci dà l’immagine di quanto l’Italia sia in continuo arretramento rispetto ai Paesi che la circondano.

Ma di cosa vogliamo ancora sorprenderci? Siamo sudditi di un reame che obbliga cittadini alla schedatura di massa per percorrere 90 km ed entrare in un settore ospiti, solo perché residenti in un’altra provincia. La realtà è che ci siamo abituati a tutto ciò e ci sembra persino strano possa esistere un qualcosa di alternativo. La realtà è che centinaia di passi indietro, a livello mentale, li abbiamo fatti noi per primi. E sta a noi, come tifosi, ma innanzitutto come italiani, capirlo e svegliarci dal torpore in cui costantemente viviamo.

Scusate, ma anche oggi non ce l’ho fatta a parlare di tifo, manate e sciarpate. E mi dispiace, anni fa una sfida del genere sarebbe stata un interessante inedito da raccontare in tutte le sue sfumature. Ma oggi, oltre alla presenza ospite, dovrei parlare di un pubblico che, nella sua maggiore composizione, riesce a fischiare la squadra quando è in difficoltà, insultare i giocatori anche se sono alla prima apparizione e offendere il settore ospiti in virtù di una rivalità che non sussiste? No, grazie. A queste latitudini torneremo a raccontare dei tifosi solo, e soltanto se, una parvenza di normalità verrà ripristinata.

Testo di Simone Meloni.
Foto di Cinzia Lmr e Pablo Oronzoni.