Doveva essere la partita del dentro o fuori la Champions, per la quale più che mai serviva il sostegno del dodicesimo uomo.

Doveva essere la calata dei “barbari” croati all’ombra della Madonnina.

Doveva essere la riedizione di quegli “incontri ravvicinati” che avevano animato il prepartita del match in quel lontano 18 settembre 1990, quando le due formazioni si affrontarono nel primo turno di Coppa Uefa.

Tutto quello che doveva essere non è stato, o lo è stato in termini molto lontani dalle aspettative.

Nell’immediata vigilia della partita, infatti, iniziano a trapelare le voci di una trentina di Daspo diretti ai tifosi atalantini e, udite udite, riferiti a fatti accaduti a Firenze lo scorso 27 febbraio. Si badi: dalle prime indiscrezioni non sembrano esserci collegamenti con la mattanza del dopo partita, ma piuttosto a qualche episodio avvenuto in zona stadio.

Poco cambia, tuttavia, anzi forse è anche peggio, perché è l’ennesima occasione in cui emerge in modo chiaro come la Legge (scusate, non riesco proprio a chiamarla “giustizia”) applichi pesi e misure diverse, quando di mezzo ci sono gli ultras: da un lato 28 diffide, si vocifera, per un cancello sfondato e dall’altro l’impunità per chi ha abusato del manganello infierendo sulle teste dei tifosi.

È superfluo dire che per una curva che ha fatto dell’unione e della solidarietà interna la propria vera forza, un fatto del genere travolge i programmi e non può che guastare anche la festa di una serata Champions League.

E allora, visto che il rumore mediatico sui fatti di Firenze non è riuscito a fermare, ma forse solo a differire nel tempo la solita repressione all’italiana, non resta che il silenzio per fare sentire la propria voce. Poco importa se così facendo la tua squadra disputerà una partita decisiva in un clima surreale (“farebbero tutti silenzio”, cit. Claudio Galimberti) e poco importa se in molti, e comunque troppi, tifosi della Dea criticheranno la linea scelta dalla Curva.

Ognuno naturalmente è libero di pensarla come vuole e di dare lezioni di vita o di mentalità, ma quel “Lunga vita agli ultras” era l’unico striscione che poteva avere senso in un giorno simile.

La prima vittoria in Champions degli uomini di Gasperini arriverà quindi senza il consueto colore ed incitamento organizzato; solo qualche coro sporadico si è alzato dal primo anello verde, trovando buon seguito dagli spettatori del settore arancio e scarsa adesione da chi stava nella curva opposta.

Pur in un contesto così difficile, con la Digos di Bergamo e di Milano in marcatura strettissima, un bel gruppo di Berghem si era dato appuntamento in zona stadio sin dal primissimo pomeriggio, che è più o meno come se ti trovi alle 8.00 del mattino quando la partita comincia alle 15.00.

Si gioca in un giorno lavorativo, si gioca in un’altra città ma lo zoccolo duro è presente, consapevole che si onora la propria storia anche quando ci si prendono certi rischi, visto che da Zagabria si attendono migliaia di tifosi, per buona parte ultras.
Nondimeno, altri ragazzi hanno avuto la consegna di sorvegliare la situazione a Bergamo: sia mai che a qualche croato venisse in mente di anticipare di 50 km l’uscita dalla A4 e provare a “passeggiare” sotto le mura di Città Alta.

Arriviamo quindi al capitolo ospiti, sparsi per il centro di Milano a piccoli gruppi. Un po’ di folclore, qualche coro ma nonostante l’elevato tasso alcolico ho visto un comportamento composto, senza inutili atti di vandalismo. La platea è composita: ragazzi in perfetta uniforme casual mescolati a over 40 molto meno attenti all’estetica ma parimenti belli carichi.

Nel tardo pomeriggio si concentrano a Palestro e si muovono in corteo verso San Siro, compatti ed in gran numero. Le forze dell’ordine non li perdono di vista ma si tengono a debita distanza, lasciando loro un’agibilità negata da molti anni alle tifoserie italiane… sempre a proposito di doppiopesismo. Forse anche per le maglie un po’ larghe concesse, intorno alle 19.30 si registrerà qualche scontro tra le opposte fazioni a ridosso degli ingressi dello stadio.

Il terzo anello blu presenta sostanzialmente il tutto esaurito, fatta eccezione per i posti a centro curva che, da questo campionato, sono off-limits per ragioni di sicurezza. I tifosi più rumorosi si posizionano in alto a destra ed impressionano per la loro compattezza: dal primo all’ultimo minuto, nonostante il risultato sfavorevole del campo, i loro cori fanno vibrare San Siro con picchi davvero notevoli. Bastano il megafono di un solo lanciacori e tre tamburi d’ordinanza per guidare quello che sembra essere un disciplinatissimo esercito.

Quanto a qualità, invece, nulla di eclatante: gira e rigira, soprattutto nella prima frazione di gioco, i cori proposti sono sempre i soliti due o tre, certo sostenuti per molti minuti ma alla fine un po’ noiosi. Maggiore varietà nel secondo tempo, anche se per la maggior parte si tratta di cori che negli stadi italiani non si cantano più da almeno 5 anni.

Coreograficamente, seppur vero che quando la massa di persone ondeggia fa spettacolo a sé, offrono poco: qualche bandiera nazionale si alza qui e là, nessuna sciarpata e soprattutto poche torce rispetto alla loro tradizione.
Meritatissimo comunque l’applauso finale che viene loro tributato dalla squadra croata, che si trattiene a lungo sotto la curva.

Lele Vigano’