In questa estate a dir poco tribolata per il nostro calcio, non c’è pace neanche in campo europeo. Alzino infatti la mano quelli che, a dieci giorni dall’esordio delle italiane in Europa, avevano una minima idea su chi dovesse disputare i preliminari.

Il caso Milan ha tenuto sulle spine ben tre società, con la Fiorentina che fino all’ultimo ha sperato di prender parte all’Europa League, vedendo sfumare il sogno proprio al fotofinish, quando il TAS ha riammesso i meneghini alla seconda competizione continentale, annullando – di fatto – gli iniziali due anni di esclusione.

È stato a questo punto che l’Atalanta ha materializzato il proprio futuro prossimo. Un nome e un cognome da tener ben presenti: FK Sarajevo. Una città che in noi occidentali nati alla fine del ‘900 evoca – purtroppo – le prime scene di guerra viste alla tv, con annessa distruzione e povertà. Una città che, invece, ha saputo riprendersi alla grande, tornando ad essere quel grande centro culturale e multietnico che da sempre l’ha contraddistinta.

Per chi vive di pane, pallone e curva, inoltre, Sarajevo non può essere una trasferta come un’altra. C’è tutto il fascino dei Balcani, delle loro tifoserie e della sicura difficoltà che aspetta chiunque valicherà le Alpi per raggiungere la capitale bosniaca.

Per gli atalantini l’Europa League continua a voler dire doppia trasferta. Quella bellezza vetusta e aspra che il Comunale saprebbe offrire, anche quest’anno resterà infatti celata dalla burocrazia Made in Uefa. La Brumana non è a norma e i nerazzurri dovranno ancora usufruire dello stadio Città del Tricolore, in quel di Reggio Emilia. Circa 400km tra andata e ritorno. Tutt’altro che agevole insomma. E se da un punto di vista emotivo, la voglia d’Europa è tanta su fronte orobico, dall’altro non può essere mai e poi mai accettabile dover traslocare – seppur temporaneamente – da casa propria per quelle che sono le gare più attese della stagione.

Tuttavia i supporter lombardi, manco a dirlo, rispondono presenti. I tagliandi venduti superano la soglia dei 7.000, un ottimo numero se si considera la distanza, il periodo vacanziero e soprattutto la tardività con cui è arrivata la decisione del TAS sulla posizione del Milan. Volendo fare una battuta gratuita: ha fatto più spettatori l’Atalanta in cinque partite di Europa League che il Sassuolo in tutte le gare di Serie A disputate sinora.

È una battuta che di gratuito non ha poi molto, a voler essere sinceri. Entrando al baretto di fianco ai botteghino non posso far a meno di osservare tutti i vessilli della Reggiana esposti. Un alone granata che in questo momento storico trasmette tanta tristezza e riporta bruscamente alla realtà dei fatti. Ai fallimenti, alle rovinose cadute di marchi blasonati e alle lacrime amare di migliaia di tifosi. Si può tranquillamente dire che il Giglio, il Città del Tricolore o il Mapei (chiamatelo come meglio credete) è il perfetto proscenio del calcio dei nostri tempi.

Per tornare sui consoni binari della sfida odierna, è necessario spostare l’attenzione sulla tifoseria ospite. Ho già avuto modo – qualche anno fa – di trovarmi di fronte alla Horde Zla (letteralmente Orda del Male), il gruppo organizzato che segue le gare del Sarajevo. Una bella realtà, che nel finale della scorsa stagione aveva dato vita a un fermo boicottaggio delle gare dei Bordo-Bijeli (bordeaux-bianchi) per alcuni dissidi con la dirigenza, accusata di corruzione. Uno scenario non atipico per chi conosce un minimo l’universo balcanico.

Il Sarajevo è inoltre il club più importante di Bosnia e vanta, nel suo palmares, due titoli vinti nel vecchio campionato jugoslavo. Un fatto non da sottovalutare se si pensa che i sarajevesi dovevano fronteggiare compagini del calibro di Dinamo Zagabria, Hajduk Spalato, Stella Rossa e Partizan Belgrado.

I tagliandi staccati in Bosnia sono 305. Una cifra di tutto rispetto, che fotografa alla perfezione i numeri dell’Horde Zla. Che del resto non discostano molto da quelli di tutte le altre squadre balcaniche, fatta eccezione per i quattro grandi sodalizi sopracitati.

Si tratta chiaramente di una delle partite più importanti della loro storia. Poter seguire il Sarajevo in Italia, in quel Paese così vicino ma per anni così lontano, laddove gli ultras sono nati e il calcio rappresenta un mantra vitale, dev’essere un orgoglio e un’adrenalina impareggiabile.

Un’eccitazione che li mostra subito battaglieri. Uno dei primi cori effettuati dopo l’ingresso nella Tribuna Nord è infatti proprio contro i bergamaschi. Gli ospiti mostrano di conoscere bene l’italiano da stadio e ne fanno sfoggio ripetute volte. Non so se la presenza dei gemellati di Dresda e la conoscenza del gemellaggio tra Bergamo e Francoforte abbia influito in questa scelta, di certo quello che si evince è la sfrenata voglia di andare a “pizzicare” uno dei mostri sacri del movimento ultras europeo e confrontarsi finalmente anche al di fuori di un campionato che – diciamocela tutta – offre tanta monotonia: poche squadre vantano un seguito organizzato e cospicuo e le stesse vengono affrontate più volte durante lo stesso campionato.

E gli atalantini? Chiaramente non la prendono bene, finendo per rispondere con la stessa “musica” nella ripresa.

È vero che la stessa gara giocata a Bergamo avrebbe avuto un fascino maggiore, ma è altrettanto vero che la “battaglia” del tifo merita comunque di essere evidenziata. Il settore nerazzurro sfodera un’ottima performance, che cala soltanto nella seconda parte della ripresa, quando agli ospiti riesce l’incredibile impresa di rimontare i due gol di svantaggio. I lombardi mostrano subito di esserci e come sempre ho apprezzato il loro modo di organizzare il tifo, con due lanciacori disposti nei punti nevralgici del settore e diversi ragazzi in balaustra a spronare i presenti.

Buono anche l’apporto della pirotecnica, che in più di un’occasione sarà stigmatizzata dallo speaker, ricevendo fischia da ambo i lati.

Quello che la Uefa vorrebbe uccidere è invece presentissimo a Reggio Emilia. Sì, perché non ci sono le tifoserie imbrillantinate della Champions League e non c’è nessun Messi da fotografare con gli smartphone. Se la rudezza bergamasca è celebre in Italia, non si può certo ignorare quella degli ospiti, che manco a dirlo rispondono appieno a tutti i canoni delle tifoserie d’oltre Adriatico: compattezza, manate perfette, diverse sciarpate, voce alta e parecchie torce usate “selvaggiamente” per festeggiare i gol.

In campo, come detto, finisce 2-2. Ci sarà da sudare per gli orobici al ritorno, quando l’Asim Ferhatović Hase si farà trovare pronto e ribollente. Ora a Sarajevo credono nell’impresa e sanno che davvero possono fare la differenza. Gli ultras dell’Atalanta hanno acquistato circa 400 biglietti, e già questo è sufficiente per dar lustro alla propria fama.

Senza scomodare la famosa trasferta di Zagabria nel 1990, la sfida che andrà in scena domani può comunque entrare di diritto nell’albo d’oro delle trasferte nerazzurre. In ogni caso una certezza c’è già: le partite più belle delle competizioni europee sono quelle disputate in estate. Senza alcun dubbio.

Simone Meloni