Potevano esserci diverse chiavi di lettura per raccontare Atalanta-Genoa. L’antica e ruvida rivalità tra le due tifoserie, acuita – un tempo – dai legami di amicizia tra bergamaschi e sampdoriani e tra grifoni e granata. Il testa-coda di classifica, con timori (o speranze, a seconda dei punti di vista) di rivedere il film già visto quindici giorni prima per Atalanta-Spal. Il ritorno in campo da avversario di Andrea Masiello dopo nove anni con la maglia neroazzurra, uno dei protagonisti del “rinascimento orobico” che, con lavoro ed abnegazione, è riuscito, se non a riscattarsi, almeno a far dimenticare quell’odiosa vicenda del calcioscommesse che gli costò oltre due anni di squalifica.

Tutte cose giuste, tutte cose vere, tuttavia il ricordo di questo match che porterò con me sarà per quanto avvenuto a metà secondo tempo. Mentre i padroni di casa provano ad organizzare il forcing per riportarsi in vantaggio, in verità con minore convinzione ed efficacia di altre volte, si alza un coro non tra i più frequenti, riservato in genere, almeno per quanto ho potuto vedere nel tempo, a occasioni speciali. Prima quasi timidamente, poi con la giusta intensità, sulla melodia del noto cavallo di battaglia dei Nomadi, prende quota il remake degli ultras neroazzurri: “Io bergamasco che son io, Atalantino che non sono altro, lame in tasca non ne ho, ma go oia de fa casòt” (ho voglia di far casino, ndt), mentre un piccolo striscione con la scritta “SPAGNA VIVE” fa capolino nella parte bassa della Nord. 

Sembra ieri, infatti, ma è passato esattamente un quarto di secolo dal quel maledetto  29 gennaio 1995, quando Vincenzo Spagnolo (semplicemente “Spagna” o “Claudio” per gli amici e i compagni di lotta) veniva accoltellato a morte da un giovanissimo ultrà milanista, facente parte di un gruppetto (le cosiddette “Brigate 2”) che aveva effettuato la trasferta separato dal grosso della tifoseria rossonera, proprio nell’intento di arrivare senza controlli e scorte fino al cuore del tifo rossoblù, ovvero la Gradinata Nord.

25 anni fa eravamo tutti più giovani e senz’altro più folli, ma non al punto di non capire che la morte di quel ragazzo, oltre che un dramma per la sua famiglia e per chi gli voleva bene, poteva essere la fine dello stesso mondo ultrà: non solo e non tanto per la repressione, che comunque è arrivata ad ampie mani, ma perché andare in curva voleva dire principalmente voglia di aggregazione, di divertimento, di condivisione di valori ed esperienze. Certo, più di una volta border-line rispetto a Leggi e Codici, ma morire per una partita di pallone, ecco quello no.

Ricordare Spagna non significa quindi solo omaggiare un tifoso avversario ma anche ribadire quello slogan “Basta lame basta infami” che uscì dal raduno ultras della domenica successiva, visto che, da quel gennaio 1995 ad oggi, tanto negli stadi quanto nelle strade, episodi altrettanto folli non sono mancati, prescindendo o meno dall’uso del coltello. Ricordare Spagna, insomma, forse è un esercizio retorico, ma se anche lo fosse si tratta di una retorica giusta e soprattutto necessaria, anzi un dovere per chi si reputa un Ultras, un Uomo, con la “U” maiuscola.

Il gesto dei bergamaschi, che anche sul loro giornalino avevano dedicato due pagine alla vicenda di Spagnolo, viene naturalmente apprezzato dai genoani, che interrompono il loro coro con un applauso e, a ruota, si sfogano con un rabbioso “Milan-Milan vaffanculo”. Gli stessi rossoblù, peraltro, avevano scelto di consacrare la trasferta al ricordo di Spagna, esponendo sulla ringhiera il solo striscione “CLAUDIO” e, sul finire di un primo tempo ricco di emozioni sul campo, attaccandone alla vetrata un altro molto più grande.

Che dire di tutto il resto: dopo il settebello calato dagli uomini di Gasperini al Comunale di Torino, l’Atalanta non riesce a fare un sol boccone di una squadra che viaggia  a ben 23 punti di distanza.

La rete gonfiata al 12° da Toloi, che si avventa su un calcio d’angolo prolungato di testa da Zapata, illude i padroni casa, che però non riescono a mettere in sicurezza il risultato e subiscono il doppio ritorno dei liguri. Il pareggio arriva dopo appena cinque minuti: fallo tanto plateale quanto ingenuo da parte di Hateboer, dal dischetto calcia Criscito che non sbaglia, salvo poi esultare platealmente sotto la Nord, surriscaldando senza motivo l’ambiente. Alla mezz’ora il risultato è ribaltato, grazie all’incornata in tuffo di Sanabria su un cross teso di Sturaro, bravo a capitalizzare alcune incertezze difensive degli avversari.

Si esalta il contingente ospite, stimabile in circa 400 presenze, che avevano preso possesso degli spalti a partita cominciata da un paio di minuti. Il loro sostegno è fatto principalmente da cori lunghi e ritmati, ma sono in quelli a ripetere (ad esempio il classico Forza-Vecchio-Cuore-Rossoblù) che danno il meglio di sé. Non mancano cori offensivi, ed anche sul fronte opposto non ci si tira indietro, attingendo direttamente all’archivio storico degli anni Ottanta: ho visto per la strada una puttana, ecc. ecc.

La Nord orobica aveva aperto la giornata esponendo un lungo striscione in ricordo di Giorgio, ultras morto qualche giorno prima e ricordato anche dai genoani, e, con le squadre già in campo, alzandone un altro dedicato a Masiello: “MAI UN CORO A TUO FAVORE MA LA MAGLIA L’HAI SEMPRE SUDATA CON ONORE. GRAZIE ANDREA”. Anche i Forever si erano spesi nel saluto all’ex difensore, srotolando all’ingresso delle squadre “SUL CAMPO TI SEI RISCATTATO, LA NOSTRA MAGLIA SEMPRE SUDATA, GRAZIE ANDREA”.

L’incitamento è su discreti livelli ma siamo piuttosto lontani dalle giornate migliori: insomma sugli spalti si segna un po’ il passo come avviene in campo per l’undici di Gasp. Per sostenere la Dea nel momento più critico della giornata, si stravolge anche il copione più collaudato, anticipando al primo tempo quel “Forza Atalanta Vinci per Noi” che è abitudine quasi sacra lanciare nel mezzo della ripresa. Ilicic risponde  alla chiamata e sigla il goal del pari, nuovamente su suggerimento di uno Zapata che, invece, nella fase realizzativa ha ancora le polveri bagnate.

Detto del ricordo di Spagna e annotata la bella sciarpata degli ospiti, nel secondo tempo la Dea mette le tende nella metà campo avversaria, ma al Genoa va il merito di riuscire a chiudere bene le fasce laterali, così limitando soprattutto le incursioni di quell’iradiddio di Gosens.  Il match si fa ruvido e, anche con un po’ di mestiere, i grifoni riescono nell’intento di rompere il ritmo degli orobici, che quindi hanno qualche buona occasione ma nulla più. Sempre pronto nel momento del bisogno l’estremo rossoblù Perin, che mostra grande sicurezza e senso della posizione tra i pali.

Gli ultimi minuti vedono l’Atalanta in superiorità numerica dopo il secondo giallo rimediato da Behrami, ma non bastano nemmeno i sette minuti di recupero e gli innesti di Muriel e Malinovskyi a mutare l’equilibrio. Le ultime emozioni non arrivano quindi dal risultato ma dal giro di campo che, dopo il triplice fischio, Masiello effettua insieme alle figlie per salutare il pubblico bergamasco.

Lele Viganò