“Sostieni la curva” li ha contati uno ad uno: sono 160 i giorni di lontananza del popolo orobico dal proprio stadio, a partire da quel lunedì 29 aprile quando, già al termine di Atalanta-Udinese, le ruspe entrarono in azione. Mesi di sacrifici e sudore soprattutto per decine di maestranze, chiamate peraltro a lavorare in una delle estati più torride della storia, e, almeno in parte, per la stessa tifoseria bergamasca, costretta all’esilio per le ultime due partite casalinghe della stagione 2018-19 e per le prime due di quella 2019-20.

Disagi e costi supplementari sopportati in virtù della passione e, a parere di chi scrive, indubbiamente ripagati dal risultato finale. La nuova curva Nord manca ancora di qualche finitura estetica ma si presenta già ben inserita nel contesto residenziale della città e senza confliggere troppo con lo stile delle due tribune più datate di quel “Brumana” costruito nei tardi anni venti su progetto dell’ingegner Luigi De Beni.

Sarà forse per via del cielo coperto, ma c’è un vago profumo di calcio britannico: le nuove scalinate di accesso, ad esempio, richiamano il vecchio “Villa Park” di Birmingham ed anche la copertura rimanda allo stile di vari stadi anni ’70 e ’80 della Perfida Albione. Certo che fa strano non vedere quell’orgia di cancellate e recinzioni e notare che l’esterno della Nord più che un antistadio sembra un parchetto, ma ci faremo l’abitudine. Si accede ai tornelli di ingresso dopo essere sottoposti a tre filtraggi per mano degli steward che, suppongo, anticiperanno la perquisizione finale ad opera delle forze dell’ordine.

A guastare parzialmente la festa allo zoccolo duro degli ultras è la comunicazione di avvio procedimento amministrativo dalla Questura di Ferrara per i lanciacori, colpevoli –  nientemeno! –  di essersi messi a cavalcioni della vetrata… ogni commento appare superfluo…

Il battesimo della nuova Curva è atteso con eccitazione e con un filo di timore anche dagli ultras, che dovranno misurare gli spazi, trovare le postazioni migliori per guidare il tifo vocale e, soprattutto, superare l’incognita dei seggiolini (o, per meglio dire, della loro numerazione) che poco si conciliano con il modus operandi del tifo organizzato, caratterizzato da striscioni da appendere, bandiere da sventolare e, soprattutto, da un “fare gruppo” in cui la spontaneità ha un valore non negoziabile, in barba a settori, file, numeri, posti. Il patto tacito all’interno della tifoseria è in un certo modo già scritto:  una volta deciso dove si collocherà la parte più attiva e rumorosa della curva, che ovviamente assisterà al match in piedi, non venga in mente a qualcuno di andare a reclamare in quella zona il proprio seggiolino riservato… La speranza naturalmente è che il buon senso delle persone non sia smentito dalla rigidità di altri soggetti e, in tal senso l’esperienza delle multe all’Olimpico, costituisce un precedente vergognoso.

Non ultimo, sarà curioso vedere come la tifoseria si prenderà cura della propria nuova casa, anche per quei piccoli-grandi rituali che hanno accompagnato intere generazioni ultras: dalle scritte con bomboletta spray agli adesivi attaccati a profusione, l’elenco sarebbe numerosissimo… quasi quanto le telecamere che incombono…

Ecco quello che si legge sul giornalino, a conferma di un’impostazione che predilige la sostanza all’apparenza:

“A noi il compito di trasferire nella nuova casa i valori, la storia, le tradizioni e le emozioni che abbiamo vissuto nella  vecchia e far sì che questa nuova Curva Nord non sia da invidiare solo a livello strutturale, ma anche per la passione che la anima con quel cuore pulsante che sa trascinare i ragazzi in campo ed un intero popolo sugli spalti. (…) Non devono essere un tetto sopra la testa ed un seggiolino posto sotto al culo a farci perdere la nostra indole ed i nostri valori, non possono essere le comodità ed i risultati a farci adagiare ed a far calare la tensione… oltre ogni risultato, oltre ogni avversario, oltre ogni difficoltà il nostro compito resta quello di sostenere quei ragazzi che scendono in campo indossando i nostri colori.”

Una volta entrati, l’impatto offerto non tradisce le attese. Una curva molto più grande (9.000 spettatori, contro i 6.000 precedenti) ma non al punto di rischiare di essere dispersiva. L’atmosfera di Oltremanica trova conferma: rivolgendo lo sguardo qua e là trovi dettagli che ricordano Maine Road, Victoria Ground, White Hart Lane, insomma quegli stadi che tanto ci affascinavano nella nostra giovinezza, prima che l’ultratecnologia prendesse il completo sopravvento sui “freddi gradini”.

Addio anche alle vetrate blindate ed ai pesanti cancelli, dopo che le reti anti-oggetti ed il filo spinato erano già un ricordo da questi parti: gli spalti ed il campo sono divisi da una semplice barriera in vetro alta più o meno 170 cm, sulla quale già campeggia il lungo “ATALANTA FOLLE AMORE NOSTRO”. Certo lo spazio per collocare altri striscioni è diminuito, e quelli eventualmente appesi in alto saranno poco visibili.

Si avvicina l’ora del fischio iniziale, la curva si riempie ed anche i lanciacori prendono posizione, collocandosi in tre diversi punti della balconata, mettendoni in piedi sui 5 cm di spessore del parapetto: in modo funambolico con una mano si attaccano ad un’asta di bandiera che funge da appiglio, con l’altra impugnano il vecchio e caro megafono.

Lo speaker insiste sul “Bentornati a casa” e chiama i presenti, che rispondono fragorosamente, ad un applauso nei confronti di tutti quei lavoratori che hanno passato l’estate in cantiere. Si alzano i primi cori quando le squadre svolgono il riscaldamento, compreso un “Lecce-Lecce vaffan…” che, pur non tornandomi in mente episodi di particolare rivalità, era già scritto sul borderò.

Rivolgiamo appunto l’attenzione ai Salentini, che riempiono il settore ospiti con ben 1.200 presenze e che, se fossero stati concessi più biglietti, probabilmente avrebbero polverizzato anche quelli. La voce che gira è che la Questura, vista l’incognita per la gestione della nuova curva, abbia imposto un tetto ai ticket ospiti, restringendo per l’occasione in modo consistente la capienza di quella parte di Curva Morosini che potrebbe accogliere ben oltre 2.000 persone.

È netta la divisione tra il contingente ultras ed i tifosi che, con tutta probabilità, risiedono nel nord Italia. Questi ultimi prendono posto principalmente nella parte in cemento del settore, mentre coloro che hanno attraversato lo Stivale (molti dei quali a mezzo di furgoni) si collocano nella tribuna in ferro e fanno quadrato con la prima fila che tiene in mano le pezze d’ordinanza, tra le quali “ULTRÀ LECCE”. È passato del tempo dall’ultima volta che li vidi, sempre qui al Comunale, ed il cambiamento appare piuttosto evidente, almeno dal lato estetico. Detto in modo molto schematico, se in quel periodo nell’abbigliamento predominava il rosso ed il giallo, ora dilaga un outfit “total black”: non mi spingo ovviamente ad ipotizzare correlazioni di natura politica, non avendo elementi per farlo, ma certo l’impressione è di essere al cospetto di una tifoseria meno festaiola e più accigliata di quella vista 15 anni fa, secondo un trend che peraltro è comune ad altre piazze. Nulla è cambiato, invece, quanto a voglia di sgolarsi e di sostenere la maglia: nonostante il risultato avverso ed il ruggito di una Nord in delirio, riuscirò a sentirli a più riprese anche se il mio posto è lontanissimo da loro.

Le squadre entrano in campo, accolte da piccoli copricurva in entrambe le curve bergamasche e da bandiere sparse su sponda leccese, con corollario di una torcia. Minuto di raccoglimento in ricordo di Giorgio Squinzi, patron del Sassuolo e nativo della provincia bergamasca, e poi si gioca.

Due giri di lancette e Zapata, liberissimo a centro area, non finalizza di testa l’ottimo cross di Gomez dalla fascia destra. Nella prima mezz’ora si conteranno altre tre nitide occasioni per gli uomini di mister Gasperini e, nel mezzo, anche una pericola incursione ospite con tiro fuori di Majer. Sfruttando una delle poche pause della Nord, si alza un buon “Forza Lecce Vinci per Noi” intervallato da battimani.

Di lì a poco un momento a suo modo storico: il primo fumogeno acceso nella nuova curva (di colore blu per i maniaci del genere) all’altezza di uno dei boccaporti per l’uscita. Non sfugge un particolare molto interessante e, per come piace a noi vivere lo stadio, importante: nonostante i comodi seggiolini, sono proprio pochi, anche nei settori più defilati, coloro che scelgono di seguire il match comodamente seduti, la stragrande maggioranza resta in piedi e partecipa attivamente al tifo.

Il risultato si sblocca a 10 minuti dal duplice fischio: il pressing feroce di Gosens ruba palla agli avversari e serve Zapata, che questa volta non perdona. Parte un Despacito così bello che prosegue incurante del pareggio sfiorato pochi minuti dopo da La Mantia, al quale si oppone d’istinto il gigante Gollini. A dare la tranquillità, scacciando ogni possibile richiamo a quanto avvenuto pochi giorni prima contro lo Shakhtar, ci pensa Papu Gomez, che si infila nella difesa avversaria e porta i compagni negli spogliatoi con un solido 2-0 in tasca. La Nord, alla prodezza dell’argentino, esplode, grida, salta e poi… riprende il Despacito da dove lo aveva lasciato.

Onore al merito ai leccesi sugli spalti che, nonostante il doppio KO, restano compatti e continuano con cori e battimani.

Il secondo tempo riprende sui livelli di tifo dei primi 45 minuti: ottimo il “dai ragazzi non mollate” di matrice giallorossa e l’urlo “Forza Atalanta Vinci per Noi” degli orobici, “disturbato” dalla terza marcatura per opera di Gosens.

Ormai la partita non ha molto più da dire sul campo ed anche Gasperini opera varie sostituzioni per sperimentare nuove formule tattiche. Continua invece lo spettacolo sugli spalti, che tocca i livelli migliori nel “La gente vuol sapere” a ripetere dei giallorossi e nel coro “…senza permessi e senza tessere…” dei bergamaschi, ad altissimo livello di decibel quanto quella canzone che comincia con “… butta in aria le mani…” e finisce con una dedica ai cugini bresciani.

Anche se ci sarebbe ancora da raccontare il classico “Bergamo-Bergamo” con manata a tutta curva ed il goal della bandiera dei salentini, non posso che chiudere la cronaca con l’immagine della sciarpata leccese mentre sul tabellone compare il pesante passivo della loro squadra.

Prescindendo dai colori e dalle appartenenze, credo che possa essere considerata l’emblema della passione e dei valori di chi si considera ultras: ieri, oggi, domani, senza differenza di categorie, di chilometri da macinare, di stadi nuovi o fatiscenti l’obiettivo è sempre quello di essere il Dodicesimo in campo.

Lele Viganò