I riflettori sul match tra Bergamaschi e Partenopei si erano accesi ben prima di lunedì 3 dicembre, giorno del posticipo della 14ma giornata di Serie A. Il tema, gira e rigira, è sempre quello dei cori razzisti o presunti tali.
Già lo scorso campionato, il pubblico atalantino fu accusato di avere ululato nei confronti dell’azzurro Koulibaly e si rischiò la chiusura della Nord, anche se in tutta franchezza l’episodio, comunque deprecabile, fu opera di un numero ristrettissimo di persone e durò, abbondando, 5 (cinque!) secondi.
Quest’anno sono le dichiarazioni della vigilia ad alzare il livello, visto che la squadra di Ancelotti, per voce dello stesso mister, annuncia che avrebbe abbandonato il campo in caso di insulti. Un’affermazione in parte inattesa e, a parere di chi scrive, che rivela una scarsissima conoscenza dei trascorsi storici: la rivalità tra le due tifoserie è senz’altro asprissima ma si fonda su vicende esclusivamente calcistiche e, più in generale, certi beceri comportamenti non hanno mai trovato casa al “Brumana”.
Al cospetto del can-can mediatico, come se fossero questi i problemi veri del Paese e dello stesso “sistema calcio”, gli ultras bergamaschi scelgono ancora una volta la via della coerenza e lo fanno in modo due volte plateale. Prima annunciano con chiarezza, sui social e sulla fanzine “Sostieni la curva”, che non avrebbero modificato in nulla il loro approccio campanilistico al match e dunque il loro modo di tifare (insulti agli avversari compresi) e poi mantengono la parola data. Sin dai primi cori della serata, infatti, vengono proposti gli evergreen del caso, a voce alta e con la schiena dritta, senza farsi intimidire da minacce e da possibili ritorsioni.
E i perbenisti a senso unico che fanno? Nonostante un’intera curva più e più volte interrompa l’incitamento ai propri colori per stuzzicare gli avversari, a fine partita sarà lo stesso Ancelotti a complimentarsi con il pubblico atalantino per la sua correttezza. La grande stampa, nemmeno a dirlo, lo segue a ruota, il che vuol può significare solo due cose: o gli inviati delle rispettive testate hanno problemi di udito, oppure soffrono di una sorta di sudditanza. Potremmo dire che tutto è bene quel che finisce bene, ed invece resta l’amaro in bocca perché un tema importante come quello del razzismo (che o è vero o non è) sia stato utilizzato in modo così smaccatamente strumentale: che sia per precostituirsi un alibi in caso di risultato negativo in campo oppure per vendere qualche giornale in più, è comunque deprimente.
Ora è tempo di tornare al match, atteso appunto più per le tradizioni tifose che per ragioni di classifica.
Cielo terso ma temperatura mite considerata la stagione, con le due curve orobiche che si presentano tirate a lucido. La Nord ripropone il grande classico dei fogli argentati ed apre striscioni in saluto di Flemming Nielsen, scomparso pochi giorni prima. Al giocatore danese, che indossò la maglia neroazzurra negli anni sessanta e fu tra gli artefici della vittoriosa Coppa Italia del 1963, viene dedicato un pensiero semplice e affettuoso: “CHI HA SCRITTO LA STORIA NON SARA’ MAI DIMENTICATO”. In curva Morosini, i Forever coinvolgono quelli di “Gite Agitate” – e più in generale l’intero settore – in una giungla di stendardi ai quali si aggiunge lo striscione “IN QUESTA NOTTE STELLATA LA MIA SERENATA IO CANTO PER TE”.
Oltre all’immancabile “SIAMO TUTTI CON CLAUDIO”, in Pisani si segnalano anche gli striscioni “Ciao Magico Ciuby” (in ricordo di uno storico tifoso orobico) ed un saluto a Christian, tifoso granata da tempo radicato a Bergamo, scomparso prematuramente in settimana.
In avvio di partita il palcoscenico del tifo è un monologo dei padroni di casa, visto che nel settore ospiti la presenza, pur numericamente corposa, sconta ancora il mancato arrivo del contingente ultras. La “CURVA A”, infatti, prende posto dopo dieci minuti abbondanti, perdendosi così il gol del vantaggio arrivato dopo solo due minuti di gioco. Ignoro se il ritardo sia frutto di casualità oppure pianificato dai tutori dell’ordine, curioso casomai notare che questa prassi è frequentemente riservata ai tifosi ospiti al San Paolo.
Anche i partenopei attaccano innanzitutto con cori offensivi nei confronti degli avversari, solo dopo si pensa ad incitare gli undici in campo. Di più: propongono un ripetuto “O Vesuvio lavaci col fuoco” che avrà mandato in tilt i pochi neuroni di chi, ai piani alti, ancora non ha capito la differenza tra campanilismo e discriminazione (territoriale, razziale, ecc. ecc.).
La scelta stilistica dei Naples segna l’ennesima rottura con i vecchi stereotipi: sventolano i loro vessilli con lunghe aste di plastica flessibile (e non con i classici bastoni verdi) e propongono principalmente cori a ripetere. Non solo non c’è spazio per il folklore più spinto e carnevalesco, ma nemmeno l’arcinoto “Un giorno all’improvviso” verrà mai proposto, segno forse di un volersi differenziare dagli ultras della Curva B, oggi assenti in quanto la trasferta richiedeva la Tessera del tifoso.
Il match è piacevole e vede l’Atalanta a rincorrere il pareggio, con gli azzurri che si limitano ad un gioco di attesa e ripartono in veloci contropiedi, sfiorando il raddoppio in un paio di occasioni.
Decibel alti su entrambi i fronti per tutto il primo tempo, che si chiude sempre sullo 0-1, e per la metà della ripresa. Gli uomini di Mister Gasperini, accolti al ritorno in campo da una piccola Fuorigrotta di fuochi artificiali sparati dal retro della Nord, acciuffano il pari grazie ad un tiro sottoporta di Zapata. Il pubblico orobico non si fa pregare a regalare dieci minuti di altissimo livello, mentre dal settore ospiti parte la seconda torcia della serata verso la curva Morosini.
A riportare avanti i partenopei ci pensa Milik, da poco entrato in campo, ad una manciata di minuti dal triplice fischio: Mario Rui suggerisce con un cross dalla fascia, il polacco batte sul tempo il difensore avversario ed infila un incolpevole Berisha. Al di là del risultato, che premia gli ospiti, applausi anche per un’Atalanta che ha giocato alla pari della seconda in classifica
Lele Viganò