Quello che l’inizio di un campionato di calcio si porta dietro è sempre un qualcosa difficile da spiegare. Dico la verità, quest’anno più che mai ho fatto fatica a realizzare che il pallone cominciasse a rotolare già al 20 di agosto. Una data che personalmente ritengo prematura, benché sia dettata dai mondiali in programmazione il prossimo anno in Russia. Quando si dice che si gioca troppo, prima di tener in considerazione le esigenze di chi scendono in campo, si dovrebbero pensare al tifoso, anima di questo sport ma sempre più ritenuto un fastidioso orpello per la realizzazione dei propri interessi.

Se vi sto tediando con il mio inizio tutt’altro che entusiastico aggiungo anche che l’unico motivo a farmi muovere le terga dalla Capitale in direzione Bergamo è una delle poche sfide per cui tengo veramente a presenziare. A chi è capitato di leggere qualche mia considerazione passata sulla Bergamo ultras avrà intuito quanto essa eserciti su di me un certo fascino. E questo non può che aumentare esponenzialmente se di fronte ci sono la Roma e i romanisti a dar vita a quella che resta tra le sfide più sentite, storiche e accese del nostro calcio.

Ben lontana dai baracconi televisivi che ormai rappresentano i vari Juventus-Milan. Sebbene anche questa sfida abbia perso tanto del suo originario appeal. Si marcia di pari passo con il decadimento del nostro pallone e non si può pretendere il contrario. Però – e la cosa mi rallegra – passare al fianco dell’Atleti Azzurri d’Italia, costeggiarlo dalla Curva Nord al botteghino degli accrediti e imbattermi in tutti quei ragazzi intenti a bere, mangiare e prepararsi all’esordio in campionato già due ore e mezza prima della partita, mi lascia sempre un certo alone di emozione.

Così come non vedere nessuno abbigliato tutto in tiro (cd. casualismo), per un valore di mercato pari a 4-500 Euro (salvo poi non potersi comprare un litro di latte), è pur sempre una boccata d’ossigeno.

L’aria è calcisticamente frizzante ai piedi delle Alpi Orobiche. La qualificazione in Europa League, preceduta da un’insolita stabilizzazione pluriennale in Serie A dell’Atalanta ha caricato un ambiente che già di suo vive per la sua squadra di calcio. Così sono in tanti a indossare t-shirt con l’Europa colorata di nerazzurro o recanti frasi di sprono a invadere il Vecchio Continente. È lapalissiano che l’astinenza da trasferte del popolo bergamasco crei un’attesa para sessuale per i match internazionali. I numeri portati nelle amichevoli pre campionato ne sono un fulgido esempio, così come i circa 15.000 abbonamenti sottoscritti. Il che vorrà dire quasi sempre sold out in questa annata.

Complessivamente una delle poche note positive del nostro calcio, sempre più preda di presidenti anti-storici e club più attenti alle plusvalenze o agli stadi di proprietà rispetto al tesoretto rappresentato dalla passione e dal calore dei propri aficionados. Ora, Percassi non sarà certo un benefattore o il “presidente degli ultras”, ma venire a queste latitudini e vedere sempre una certa unità d’intenti tra tutte le componenti e anche il tifoso normale con la bava alla bocca è sempre un piacere.

Anche perché di fronte c’è il “nemico comune”. Ci sono i romani. E da queste parti ciò equivale sempre allo scorrere bollente del sangue nelle vene. “Se son tifosi della Roma li appendiamo a testa in giù, Roma merda brot terù…” recita uno dei cori più celebri inerenti a questa sfida. Dei solfeggi profondamente retrò, probabilmente avulsi a un contesto sociale che oggi vorrebbe solo canzoni griffate “The Voice” e infarcite di questa finta “educazione” che tanto piace all’Italia pronta a scandalizzarsi per un coro da stadio e a rimanere impassibile di fronte a una palese dispersione della cultura media in favore di un’informazione massivamente ignorante ormai pompata di giorno in giorno dalla maggior parte dei media.

Ma oggi cosa è rimasto di quell’Atalanta-Roma che tanto ha segnato l’immaginario collettivo dei curvaioli? Sicuramente è rimasta l’antipatia reciproca, condita comunque da una sotterranea forma di rispetto per quello che queste due entità ultras sono state e sono tutt’ora nel nostro Paese. Sono rimasti gli insulti all’arrivo del pullman della squadra e i cori indirizzati ai tifosi bergamaschi “normali” dei supporter capitolini appena scesi nel parcheggio ospiti. Le scaramucce verbali e quelle “folkloristiche”. Poi sono rimaste le polemiche, fortunatamente evitate quest’anno, ma vive e possenti nella passata stagione, quando in fase di deflusso ci furono alcune tensioni tra ospiti e forze dell’ordine.

Infine – grazie a Dio – è ancora minimamente vivo quel bel clima dentro lo stadio. Il calore delle curve e l’attaccamento alla causa da parte del restante pubblico. Insomma, una delle poche sfide di Serie A per cui vale la pena spendere del tempo, dei soldi e della fatica. Scusate questa mia vena pessimistica, ma negli ultimi tempi quando penso alle partite nei nostri stadi mi viene in mente una pellicola che, di tanto in tanto, recita sempre lo stesso film. Ma con attori diversi.

Il sole bacia la Brumana senza troppi complimenti e il caldo si fa inizialmente sentire. Quando manca una mezz’ora al fischio d’inizio il contingente ospite è praticamente al completo. Ufficialmente sono oltre mille i biglietti venduti. Una presenza buona, considerato il pieno periodo vacanziero, la distanza e una trasferta comunque considerata da sempre “ostica”. Durante la fase di riscaldamento cominciano le prime schermaglie tra le opposte fazioni, mentre lentamente si avvicinano le 18. Orario in cui è stato prefissato il calcio d’inizio.

La Nord prepara una coreografia che prontamente verrà mostrata alla discesa in campo delle squadre. Un grosso telone raffigurante la Dea è contornato da cartoncini nerazzurri. Semplice e sempre d’impatto. Gli atalantini non sono tifoseria da cose elaborate e questo – a mio avviso – resta un pregio. Se non altro perché esalta quello stile italiano da tanti ricusato. 

Nel settore ospiti in avvio non si segnala nulla di eclatante al di fuori della buona dose di colore offerta da bandiere e stendardi. Può ufficialmente iniziare la stagione del tifo di Atalanta e Roma. Due ambienti che vivono momenti particolari. Oserei dire che se da una parte (quella lombarda) c’è esaltazione, dall’altra vige un po’ di scetticismo attorno alla squadra condotta da Di Francesco. Ma se Roma è sempre stata una città catastrofista e umorale, nelle situazioni di maggiore depressione è sempre stato il suo tifo a ricordare che la fede deve venire prima di qualsiasi polemica e di qualsiasi progetto tecnico.

Quello che mi spaventa, e questo parlando in generale, è un rapporto sempre più morboso con internet e social network per vivere la propria passione o portare avanti battaglie che come sede naturale dovrebbero avere solo e soltanto gli spalti. E invece il mondo virtuale acuisce ancor più quelle divisioni e quelle antipatie che una volta si appianavano col semplice concetto di esser tutti tifosi della propria squadra. Ecco, questo è uno dei motivi che sinceramente mi fa passare la voglia di girare ancora per i nostri stadi e raccontare emozioni e sensazioni spesso archiviate dietro a un pc e sfumate al momento della massima rappresentazione settimanale: la domenica (che tanto non è neanche più il giorno del calcio).

Dovendo parlare prettamente di tifo mi preme esser franco: la prestazione odierna degli ultras bergamaschi è un pochino sottotono, soprattutto nella ripresa. Forse complice il caldo e il risultato negativo. Tuttavia la Nord riesce raramente a coinvolgere tutti i presenti, evidenziando una certa fatica nel far decollare il tifo. Una giornataccia è consentita a tutti, e mi sento di dire che si tratti di un caso isolato avendo visto in un paio di occasioni gli orobici all’opera in questi ultimi mesi ed essendo uscito dallo stadio sempre più che soddisfatto.

Inoltre non va mai dimenticato come un settore grande e dispersivo qual è la Curva Nord necessiti assolutamente di tamburi e megafoni per esser governato al meglio. Sì perché signori miei, checché se ne dica, attualmente possiamo parlare quanto vogliamo di protocolli firmati da Figc e Ministero dell’Interno, ma la verità è che innanzitutto per introdurre simili strumenti resta sempre l’obbligo di passare attraverso i tentacoli istituzionali, ma soprattutto non è detto che questi ultimi siano disposti a dar parere positivo. E in una realtà come quella bergamasca, dove la Questura alla prima occasione offre un salasso gratuito ai tifosi, dubito che si possa mai tornare indietro su tali, idiote, posizioni. Almeno in tempi brevi.

Cambiando versante dello stadio l’attenzione si concentra sui tifosi romanisti. Come sempre spiccano i loro battimani e alcuni cori tenuti con parecchia intensità. Complessivamente mi sento di dire che è stata una prestazione buona, anche se – scusate la meticolosità nel giudizio – penso che la Sud abbia quasi sempre un potenziale maggiore rispetto a quello espresso. Del resto questo è il cruccio storico della tifoseria giallorossa. Così alcuni momenti che potrebbero sancire il vero e proprio decollo vocale non vengono sfruttati e – soprattutto – il voler accelerare troppo il ritmo dei cori contribuisce a far fiaccare presto molti degli stessi.

Al contempo però l’esultanza al gol decisivo realizzato da Kolarov su punizione è davvero bella da vedere. Una cascata umana seguita dall’accensione di torce e fumogeni, alcuni dei quali finiscono dall’altra parte della barricata, dove sono presenti i Forever. Classiche scaramucce che ancora consente uno stadio vecchio stampo come quello di Bergamo.

Due righe le vorrei dedicare anche alle tipiche polemiche inutili foraggiate da nullafacenti travestiti da giornalisti: i cori contro Kolarov (per il suo passato laziale e qualche frase poco elegante nei confronti della Roma) nel finale. Premesso che già a classificare questa come una notizia mi viene voglia di dedicare il resto della mia vita a un ambiente frequentato da meno idioti. La ritengo semplicemente una “non notizia”. Anche in virtù del fatto che non è stato nemmeno tutto il settore ad eseguirli. Ma anche se così fosse stato, a prescindere dall’essere o meno d’accordo, davvero non ne comprendo l’inutile spettacolarizzazione. Andrebbe in fondo ricordato che ognuno è libero di esprimere la propria idea. Anzi, aggiungo, in un calcio dove il tifoso è cliente per antonomasia lo stesso ha il diritto di manifestare il proprio dissenso su questo o quell’altro argomento. Soprattutto quando in una giornata si è macinato circa 1.500 chilometri a proprie spese.

Fatevene una ragione: il pallone è una fatto “di pancia” e non un ambiente per “educande”.

Termina così la prima giornata di questo campionato. Finisce tra gli applausi delle due tifoserie e De Rossi a lanciar maglia e pantaloncini ai propri tifosi. Una delle poche volte – negli ultimi anni – che la Roma si porta in maniera alquanto numerosa sotto ai propri tifosi. Un avvenimento così raro da meritare menzione. Forse si è capito che in un momento di difficoltà, dove parte dell’ambiente è pronto a remarti contro per partito preso, gli unici che ti abbracceranno a prescindere sono quelli che hanno rinunciato a un giorno di vacanza o con la famiglia per venire sin qui.

Non è mai troppo tardi. Anche se sarebbe bello accettare con la stessa serenità anche le contestazioni. Ma umiltà, riconoscenza e ammissione delle proprie colpe non fanno parte di questa era geologica. Figuriamoci se possono essere parte integrante del calcio.

Simone Meloni