Quando mi immetto sulla Salaria la mia macchina viene letteralmente inglobata tra i torpedoni avellinesi in viaggio alla volta di Rieti. Una rigida e numerosa scorta accompagna i pullman rallentandone senza senso l’andatura e creando, di fatto, un folto traffico per chiunque si ritrovi a percorrere quel lembo di strada.

Se qualcuno venisse da un altro mondo penserebbe chissà quale evento pericoloso e turbolento si stia per svolgere. La realtà? Circa cinquemila tifosi dell’Avellino marciano pacificamente verso il Centro d’Italia, senza una tifoseria organizzata di fronte e senza nessun reale allarme per l’ordine pubblico.

Il modus operandi che mi ritrovo di fronte ai miei occhi, in fondo, è solo la sintesi visiva di quanto accaduto prima, durante e dopo questo spareggio. Praticamente un’ode all’organizzazione italiana.

Basti pensare alle lungaggini burocratiche per decidere una sede in cui disputare l’incontro e, successivamente, per mettere in vendita i tagliandi della sfida. Biglietti acquistabili solo in poche ricevitorie di Avellino e provincia, inviati a scaglioni con la conseguenza di grossi disagi e file nei punti vendita.

Sebbene l’impianto reatino sia tra i più belli, funzionali e accoglienti del Centro Italia, va poi tenuta in considerazione tutta la querelle sulla totale agibilità che lo ha riguardato a inizio stagione, cosa che ha messo a serio rischio la vendita di tutti i tagliandi.

Ancor peggio sono le scene cui mi ritrovo di fronte una volta ritirato l’accredito. Un’incredibile calca si ammassa davanti ai cancelli della tribuna centrale – destinata assieme alla Curva Sud ai supporter irpini -, spingendo per entrare a pochi minuti dal fischio d’inizio. Le forze dell’ordine, baldanzose e severe nel rallentare i pullman sulla strada e, di conseguenza creare poi fretta e scompiglio ai tifosi in arrivo, non riescono a contenere al meglio foraggiando una situazione di mischia assolutamente pericolosa.

Come ripeto sempre: anni di divieti, restrizioni e limitazioni hanno fatto totalmente perdere la bussola ad alcuni funzionari p.s., ormai disabituati a un flusso medio-alto di tifosi in arrivo nelle proprie città.

Sta di fatto che l’intero contingente campano (gruppi compresi) riuscirà a fare il proprio ingresso solo alla mezz’ora. Un qualcosa che personalmente ritengo davvero inaudito, soprattutto se si considera il rischio incidenti o tensioni pari a zero di questa partita.

La spettacolarizzazione scenica è un qualcosa che dovrebbe – almeno nel 2019 – venir meno alle nostre Questure in luogo di una razionalità e un modo di fare degno di una società civile e sviluppata quale ci fregiamo apparentemente di appartenere.

Il pazzo clima di questo maggio trasformerà nel giro di due ore il manto verde del Manlio Scopigno da una spiaggia tropicale a una insidiosa pozzanghera. Con Avellino e Lanusei a recitare l’ultimo atto di questo avvincente girone.

La rincorsa dei Lupi nella seconda parte del campionato è riuscita prima ad accorciare le distanze e poi a riacciuffare il sorprendente Lanusei, posticipando allo spareggio l’esito del campionato.

Nel settore riservato ai tifosi sardi prendono posto circa 200/250 persone. Non si può parlare di ultras, ma tutto sommato si faranno sentire per tutta la durata della gara, onorando quello che per loro rappresenta senza dubbio il più alto punto calcistico della propria storia.

Cosa dire del pubblico biancoverde quest’oggi? Senza cadere nella più stucchevole retorica, e tenendo conto della poca distanza e dell’importanza del match, penso che nel 2019 portare quasi 5.000 persone in trasferta sia un qualcosa meritevole di attenzione.

Ciò che ho sempre riconosciuto alla tifoseria irpina è il forte attaccamento alla causa e il grande senso di identità. Valori che evidentemente non sono stati scalfiti neanche dal doppio salto all’indietro di quest’anno. Gli avellinesi si portano dietro un grande bacino (provincia compresa) dovuto agli anni della Serie A, ma il fatto che a più di due decenni dall’ultima apparizione in massima categoria il Lupo sia ancora il punto di riferimento calcistico per molti significa che la tifoseria ha ben lavorato nel tessuto sociale di quell’area geografica.

Per quanto riguarda il tifo, gli irpini partono con il freno a mano a causa dei problemi d’afflusso di cui sopra. Una volta sistemati ingranano, mettendo in scena una gran bella prova. Quest’oggi la differenza tra ultras e tifosi “normali” è molto più sottile di altre volte e così tutti i presenti seguono spesso e con dovizia le direttive imposte dal megafono.

Coordinare una tribuna divisa a metà dallo spazio “vip” non è facile, ma l’entusiasmo e i due gol con cui i campani suggellano la promozione lanciano sulle ali dell’entusiasmo i tifosi avellinesi, producendo una gran bella prestazione con la ciliegina sulla torta della sciarpata, eseguita nel secondo tempo.

Ho incontrato diverse volte gli irpini sulla mia strada quest’anno e quando ho dovuto fargli un appunto mi sono sempre riferito alla mancanza della sciarpata, da sempre loro punto forte.

Quella eseguita quest’oggi penso valga tutte quelle non fatte. Un vero e proprio tappeto di sciarpe biancoverdi che rientra di diritto tra le top 5 viste in Italia nella mia vita. Emblematico è l’applauso che persino i supporter sardi tributano ai dirimpettai.

Al triplice fischio del direttore di gara l’Avellino torna ufficialmente in Serie C, per la gioia dei suoi tifosi e dei suoi giocatori, che si uniscono in un bell’abbraccio bagnato dalla pioggia copiosa.

Prima di calare il sipario su questa giornata c’è anche spazio per l’applauso dei giocatori avellinesi al pubblico del Lanusei.

Lo stadio Centro d’Italia va man mano svuotandosi, con la folla biancoverde che festante raggiunge i propri pullman per far ritorno a casa e festeggiare per le vie del capoluogo irpino. L’anno prossimo si preannuncia una Serie C calda e coinvolgente, con piazze storiche che saranno le indiscusse protagoniste.

Simone Meloni