Una delle competizioni più avvincenti e in grado di dar vita a sfide inedite è senza dubbio quella che vede impegnate decine di squadre di Eccellenza nei Playoff Nazionali. Un’ultima spiaggia per centrare la Serie D che si trasforma sovente in confronti avvincenti, con piazze blasonate, finite da tempo nei bassifondi del calcio regionale. Per l’occasione, allo stadio Bisceglia, l’Aversa ospita la Rossanese per l’andata delle semifinali.
Il tempo che passa resta un cruccio delle nostre esistenze e pensare che sono trascorsi ben undici anni dall’ultima volta che ho messo piede sul manto verde dell’impianto aversano, mi fa un certo effetto. Peraltro ricordo molto bene quella giornata: i granata sfidavano il Benevento in Serie C e in mattinata avevo assistito a un movimentato Afragolese-Nola. Oltretutto il Bisceglia è uno di quei punti fermi dei miei viaggi in treno verso Sud, essendo ben visibile quando il treno entra ad Aversa, grazie al murale della Curva Nord, in passato settore degli ultras di casa. La curiosità è anche quella di vedere all’opera gli ultras aversani, che negli ultimi tempi sembrano aver trovato una loro quadratura, portando numeri e qualità in un posto dove, per svariate ragioni, non è sicuramente facile intessere e dar continuità a un discorso di militanza. Basti pensare che da qua lo stadio San Paolo dista solo trentacinque chilometri e che – come capita spesso nell’hinterland partenopeo, anche se va ricordato che qua siamo in provincia di Caserta – il centro abitato non conosce praticamente intervalli, unendosi a quello dei vari paesi che digradano verso il capoluogo. Aversa è collegata a Napoli dalla ferrovia, con la quale i tempi di percorrenza sono tra i sedici e i ventiquattro minuti, e da una vera e propria metropolitana, che funge da interscambio con la Linea 1 nella stazione di Piscinola/Scampia. Questo per dare l’idea di quanto il legame geo-culturale con Napoli sia forte. Anche le innumerevoli bandiere azzurre esposte sui balconi della case, per festeggiare il quarto scudetto dei partenopei, sono inequivocabili.
Eppure Aversa vanta un’importante storia: fondata dai Normanni nel 1030, ancora oggi porta i segni tangibili del suo status di Contea, basta passeggiare per il suo elegante e vivo centro storico per averne prova. Il suo ruolo di centralità nell’agro ha avuto chiaramente diversi risvolti nei secoli. Ad oggi, con cinquantamila abitanti, la posizione strategica occupata tra Caserta e Napoli, i numerosi locali rinomati per la movida e la relativa tranquillità che esula dal caos della metropoli, è spesso un luogo gettonato in cui trasferirsi, anche grazie – come detto – agli ottimi collegamenti con le aree circostanti. E il calcio in tutto ciò? I granata negli ultimi vent’anni si sono spesso resi protagonisti di campionati importanti, conquistando la Serie C e facendo la spola tra la D e l’Eccellenza. L’ultima apparizione nella massima categoria dilettantistica, infatti, risale ad appena due stagioni fa. Ecco perché la società quest’anno figura tra le favorite per la promozione, in virtù di importanti investimenti e un’ottima programmazione sportiva, che tuttavia non le sono valse il salto diretto, con l’Afragolese vincitrice del Girone A. Nei turni precedenti i normanni hanno fatto fuori Nola e Real Forio, arrivando ad affrontare i calabresi con i favori del pronostico.
Per non farmi mancare nulla, vivo una domenica mattina alla mia maniera: bicicletta fino alla stazione Termini, regionale fino a Cisterna di Latina, sgambata fino a Borgo Podgora per la partita di promozione tra Latina Borghi Riuniti e VJS Velletri, strappo “pantaniano” fino a Latina Scalo, bici lasciata alle rastrelliere con cero acceso a San Marco e Santa Maria Goretti per chiedere di ritrovarcela, e Regionale d’ordinanza fino ad Aversa. Alle 15:05 sono in stazione e con un’altra mezz’ora a piedi sono davanti ai cancelli del Bisceglia. Chiaramente soddisfatto per l’itinerario organizzato e andato in porto. Curioso di entrare e assaporare l’ambiente che si sta preparando al fischio d’inizio.
Lo stadio aversano è uno di quegli impianti carichi di fascino, dotati di due belle tribune coperte, all’inglese e di una curva, dove – come detto – da qualche tempo vengono sistemati gli ospiti in virtù dell’inversione dei settori. Dopo il valzer delle pettorine, con un direttore di gara sin troppo fiscale su colori e posizioni da rispettare durante il match, posso finalmente entrare nel recinto di gioco. Il contingente rossanese è già al suo posto, sistemato dietro allo striscione dei Boys (mentre al lato campeggia quello Ultras, appartenente ai ragazzi che in casa si ritrovano dietro all’insegna Curva Sud Rossano) e in numero davvero buono. Mi trovo per la prima volta al cospetto della realtà jonica e ne resto inizialmente sorpreso dal seguito, sebbene lasci spazio ai novanta minuti per capirne il reale valore e i reali contenuti. Nel frattempo gli spalti si vanno riempiendo e dietro le pezze del tifo organizzato campano prende posto il contingente granata, senza dubbi molto più numeroso rispetto al passato. Spiccano tante facce giovani e questo è sempre un bene per un movimento aggregativo come quello ultras.
Quando le formazioni scendono in campo, il settore granata si copre con una discreta coltre di fumo, resa più suggestiva dai cori che l’accompagnano in sottofondo. Lo zoccolo centrale si mette in mostra con un buon tifo per tutti i novanta minuti, rimarcando chiaramente uno stile che attinge dalle due curve partenopee e facendo un buon utilizzo della pirotecnica. Tanti cori secchi e alcuni che coinvolgono l’intera tribuna. Complessivamente il pubblico di casa regala soddisfazioni, ma questo a prescindere dal discorso di casa: l’atteggiamento è quello “paesano”, con persone attaccate alle reti, pronte a inveire, lanciare oggetti in campo e fare frastuono a ogni occasione buona. La conformazione dello stadio lo permette e di sicuro non dev’essere un piacere per le delicate “zampette” di arbitri e calciatori contemporanei, troppo convinti di essere star da passerella anziché atleti di uno sport che richiama visceralmente al contatto fisico e allo scontro.
Sui rossanesi cosa dire? Se all’inizio potevo avere qualche dubbio su come effettivamente avrebbero coinvolto tutti i presenti, devo ammettere che a fine gara dovrò nettamente ricredermi. La prima osservazione che mi viene da fare è sul mix di giovani e vecchi. Sicuramente l’occasione ha riportato sugli spalti molta gente e sicuramente durante l’anno i numeri non sono questi, ma si percepisce che alla base ci sia tradizione e che in città siano state, da tempo immemore, affondate le radici di un qualcosa che va oltre il semplice spontaneismo del tifo di provincia. Del resto l’aver partecipato quasi continuamente a campionati di Serie D per vent’anni, dal 1990 in poi, deve aver forgiato gruppi e generazioni dell’epoca, in un momento storico dove gli stadi erano una bomba a orologeria nel nostro Paese, con gruppi, gruppuscoli, sigle, striscioni ed entusiasmo all’apice storico.
In campo l’Aversa si impone per 2-1, lasciando aperto il discorso qualificazione (che tuttavia centrerà al ritorno, pareggiando 0-0) e facendo gioire il proprio pubblico. Applausi e cori di incoraggiamento anche per una Rossanese stoica, che non ha affatto subito i dirimpettai e si è dimostrata all’altezza della situazione. Le due squadre si portano sotto ai rispettivi settori per abbracciare il pubblico che li ha sostenuti per novanta minuti, per poi rientrare negli spogliatoi. Gli ultras continuano a cantare, seguendo il ritmo dei propri tamburi e onorando le proprie presenze e i propri colori. Prima di percorrere a ritroso i 330km che li separano da casa, i supporter jonici si producono in diversi cori contro le avversarie storiche e in favore degli ultras. I ragazzi col megafono in mano – giovani e motivati – ricordano quanto queste occasioni siano importanti per cementare il senso di appartenenza e avvicinare persone allo stadio, anche nei momenti più bui e difficili. Ripensando alla bellezza di questi playoff, viene ancora da sottolineare quanto la stessa sia figlia proprio del pubblico, della partecipazione popolare, degli stadi riempiti, caldi e partecipativi, malgrado si parli di partite di quinta divisione. Eppure l’ambiente che si respira è lontano anni luce da quello intossicato e artefatto del professionismo, malgrado pure qua ormai gli strali della repressione e alcune decisioni limitative e trancianti siano piombate senza pietà sulle teste dei tifosi. Per la strada intrapresa non c’è da sorprendersi se tra qualche anno pure in queste partite troveremo il Deserto dei Tartari, con la discriminante che non sarà affatto bello a affascinante come quello descritto da Dino Buzzati, ma lo specchio fedele di una Nazione lasciata in mano a burocrati, maniaci del controllo sociale, volenterosi di azzerare qualsiasi forma di aggregazione e spontaneità trasversale e proveniente dal basso. Quindi meglio godersi queste briciole e non darle mai per scontate!
Testo di Simone Meloni
Foto di Simone Meloni e Imma Borrelli
Galleria Meloni






























































Galleria Borrelli




















