La solita informazione prezzolata italiana non permette mai di avere un quadro vero della situazione, specie in ambiti che sono strumentali ai vertici politici o calcistici. Nella fattispecie, per quel che riguarda la violenza (reale e presunta) all’interno degli stadi, da sempre ci fanno un gran parlare del “modello inglese” e della leggendaria sconfitta inflitta da sua maestà Margaret Thatcher agli hooligans, eliminati dalla faccia della terra britannica grazie all’impavida “Lady di ferro”. Che è poi un falso storico sia per la Thatcher che per l’eliminazione vera e propria dell’hooliganismo, ma guai a dirlo troppo forte in giro.

La dimostrazione tangibile è data dalle preoccupazioni della stampa, sia inglese che irlandese, per l’amichevole che le due nazionali giocheranno all’Aviva Stadium di Dublino il 7 giugno prossimo. Preoccupazioni di cui, ovviamente, i nostri pennivendoli non si curano che in minima parte: sia mai che, nonostante la lobotomia, qualche cervello italiano medio riprenda a dare segnali di vita.

Dopo 20 anni, dunque, Irlanda ed Inghilterra tornano ad affrontarsi in terra irlandese, dopo che nel 2013 si erano già sfidate in quel di Wembley. L’incontro si carica di retorica simbolistica, soprattutto perché ricade a 20 anni esatti dalla partita di Lansdowne Road del 1995. Duri scontri funestarono quella giornata, con i dati delle cronache ufficiali che riportarono oltre una ventina di feriti e 40 arresti. Solito corollario di speculazioni giornalistiche sulla presenza di organizzazioni dell’estrema destra inglese, Combat-18 su tutti, che non riescono mai a fare la giusta tara tra la politica propriamente detta e le provocazioni gratuite, forse anche becere, ma semplicemente dettate dall’odio reciproco. Stessi motivi che portarono il pubblico irlandese a coprire di fischi ed ululati il “God save the queen” suonato prima della gara o ad acquistare biglietti del settore ospiti per mischiarsi agli odiati inglesi ed innescare la miccia dello scontro. D’altronde il calcio e lo stadio, più precisamente, hanno tutto uno spettro di sfumature sociali, politiche e storiche che son davvero dure da far comprendere a chi al massimo può parlare di fuorigioco o ali che si incrociano, e nemmeno con troppa competenza.

Le autorità dei due paesi sono in apprensione, vorrebbero evitare con ogni mezzo un’altra partita sospesa o scene di guerriglia tra tifosi, dentro e fuori dal campo. Ognuno con i suoi buoni motivi: l’Irlanda per dimostrare di essere all’altezza dell’elite calcistica europea, se non a livello tecnico almeno a livello organizzativo, e l’Inghilterra per dimostrare che l’incubo hooligan è ormai passato remoto, seppur questo stesso incubo ancora non permetta loro di dormire sonni del tutto tranquilli.

Si ripetono come mantra gli appelli al rispetto, da ambo le parti. Soprattutto le due federazioni, FAI irlandese e FA inglese, vorrebbero scongiurare la deriva “settaria” e lo scontro interreligioso, fosse anche solo verbale. Coinvolta anche la rete anti-razzista FARE per una serie di iniziative sul tema.

Visto che l’ultima famosa gara del 1995 aveva denotato gravi falle nel sistema di vendita dei biglietti, in virtù del quale alcuni tifosi irlandesi riuscirono ad infiltrarsi nel settore ospiti, in questo caso sono state poste diverse restrizioni all’acquisto dei tagliandi, onde evitare una nuova mescolanza di tifosi, non ultima quella del ritiro del biglietto previa presentazione di un documento di identità.

In stato d’allerta anche porti ed aeroporti per scongiurare che tifosi inglesi sottoposti a “football banning order”, l’anglo-versione del nostro “daspo”, si mettano ugualmente in viaggio con l’intenzione di rinverdire gli eventi del 1995. Sui giornali parlano nientepopodimeno che di una quindicina di “bannati”, anche se tanto allarmismo per così poche persone suona alquanto esagerato e forse nasconde tra le righe numeri più importanti, da non sbandierare per non instillare nell’opinione pubblica il dubbio che la situazione non sia pienamente sotto controllo.

Vedremo da qui al 7 giugno, anche se la sensazione evidente è che il 1995, in termini di repressione e di stato di insubordinazione dei tifosi alla stessa repressione, siamo lontani molto più che vent’anni.

Matteo Falcone, Sport People.