Il tradizionale turno di Serie D del giovedì di Pasqua propone lo storico derby tra l’Avezzano e L’Aquila. Quest’anno sto cercando di collezionare le sfide più belle del nostro calcio di provincia, così ho deciso di mettere in archivio pure questa partita, che mi ha sempre affascinato.
È la tarda mattinata di una giornata nuvolosa di inizio primavera quando metto in moto l’auto per raggiungere la Marsica dal basso Lazio. Passo per Frosinone e per Sora, quindi entro nella bucolica Valle Roveto, un corridoio naturale che collega il territorio laziale con l’Abruzzo centrale. Le cime del Viglio, del Pizzo Deta, del Fragara e del Passeggio, tra le più scenografiche dell’Italia centrale, sono coperte dalle nuvole, per cui i miei occhi non possono godere della bellezza di questo angolo di Appennino.
Intorno alle 14:00 giungo ad Avezzano, la città principale della Marsica, una regione storica delimitata dai passi di Forca Caruso e di Forca d’Acero, dall’alta valle del Liri, dalla Bocca di Teve e dal Vado di Pezza. Questo territorio prende il nome dal popolo italico dei Marsi, anticamente stanziato sulle sponde del Fucino, che a quel tempo era un lago. Le principali città dei Marsi erano Marruvium (San Benedetto dei Marsi) e Antinum (Civita d’Antino), mentre il principale luogo di culto tribale era il santuario di Angitia, una divinità venerata a Luco dei Marsi.
Il personaggio più importante nella storia dei Marsi è stato Quinto Poppedio Silone, un generale che nel 91 a.C. divenne capo della confederazione italica, l’alleanza militare che prese le armi contro Roma nella guerra sociale (91-88 a.C.), ricordata anche come bellum Marsicum. I poli della rivolta antiromana furono Asculum (Ascoli Piceno) e Corfinium, nell’area peligna. Silone fu ucciso in battaglia, nell’89 a.C., da Cecilio Metello. La fierezza e la forza dei Marsi erano tali da far affermare allo storico Appiano di Alessandria che “Nec sine Marsis nec contra Marsos triumphari posse”, espressione che si traduce: “Non si può vincere né senza i Marsi né contro di essi”. Il sacrificio di Silone e dei suoi uomini non fu inutile, perché alla fine del conflitto i Romani, vincitori, dapprima concessero la piena cittadinanza agli Italici fedeli (90), poi anche a quelli che si sottomettevano (89).
La Marsica era attraversata dalla via Valeria, che collegava Roma con Corfinium (Corfinio) e con Ostia Aterni (Pescara). Nel Medioevo e nell’Età moderna questa regione seguì le vicende dell’Italia meridionale, facendo parte del Regno di Napoli. Dopo secoli di economia pastorale e di isolamento, nell’Ottocento la storia della Marsica conobbe una svolta con il prosciugamento del Fucino da parte dei Torlonia, che mise a disposizione circa 165 kmq di ottimo terreno agricolo, destinato alla coltura del grano, della patata e della barbabietola. Con l’apertura, poi, tra la fine del secolo e l’inizio del successivo, dei collegamenti rotabili con Roma e con Sulmona e delle ferrovie Roma-Sulmona e Avezzano-Sora, iniziò un periodo di grande sviluppo per quest’area.
Avezzano fu fondata nel Medioevo. Secondo qualche studioso il suo nome potrebbe derivare da Ad Vettianum, stazione di posta sulla via Valeria nel territorio della gens Vettia. Gli Orsini, che la ebbero in feudo, nel 1490 vi costruirono un bellissimo castello. Successivamente Avezzano passò ai Colonna. Marcantonio Colonna, vincitore a Lepanto (7 ottobre 1591), nel 1593 fece abbellire il castello per celebrare il trionfo della Lega Santa sugli Ottomani. Nell’Ottocento Avezzano divenne il centro principale della zona, assumendo la fisionomia di città.
Lo sviluppo di Avezzano fu rallentato dal terribile terremoto del 1915, che la rase al suolo. L’opera teatrale “Così è (se vi pare)” di Pirandello, la cui prima assoluta fu portata in scena a Milano il 18 giugno 1917, contiene tantissimi riferimenti a questa catastrofe: due personaggi, il Signor Ponza e la Signora Frola, sono scampati proprio al sisma che colpì l’Abruzzo. Quanto ricostruito dopo il terremoto fu purtroppo distrutto dai bombardamenti del 1943-44. Ai nostri giorni Avezzano, con i suoi 42.500 abitanti circa, è il capoluogo della Marsica ed è un importante centro agricolo, commerciale e industriale.
Alle 14:15, dopo aver parcheggiato, raggiungo la porta carraia del “Dei Marsi”, un impianto inaugurato nel 1948 e ristrutturato nel 1990. Non sono qui per la prima volta: ho già visto molte partite in questo stadio, che a me piace molto sia per la sua architettura, sia per la visuale che regala sul Velino, sul Sirente e sulla Serra di Celano, tre montagne magnifiche, purtroppo oggi non visibili. Tra le partite che ricordo con piacere mi vengono in mente un Avezzano-Sangiovannese del 2014 (spareggi nazionali di Eccellenza), il derby Avezzano-Vastese del 2018 e, nella stagione seguente, uno spettacolare Avezzano-Cesena. Associo sempre Avezzano, poi, al mio primo album dei calciatori Panini: nella stagione 1997-98, quando avevo 7 anni, l’Avezzano militava nella vecchia C2. Già a quell’età amavo stemmi e colori e conservo ancora la figurina con lo scudo biancoverde affiancato dalla Strega, il simbolo del Benevento.
Immerso in queste riflessioni metto finalmente piede sul manto verde. Rivolgo il mio sguardo alla curva di casa e noto che è piena. A dieci minuti dall’inizio delle ostilità vedo, dall’altro lato, uno dei tre bandieroni dei Red Blue Eagles: sono arrivati gli aquilani, quest’oggi presenti in quattrocento unità, un numero importante per la categoria.
Alle 14:30 le squadre entrano in campo. L’atmosfera è fantastica, visto che le due città hanno risposto nel modo migliore alla chiamata del derby: riempiendo, appunto, l’impianto marsicano. Gli avezzanesi espongono uno striscione per i diffidati, in riferimento ai provvedimenti che in settimana hanno colpito 8 biancoverdi (e 9 teatini) per i fatti di Chieti-Avezzano dello scorso 25 febbraio. A terra, invece, una torcia. Subito dopo intonano un “Conquista la vittoria”, mentre nel settore ospiti gli aquilani partono con un coro a ripetere. La gara del tifo entra nel vivo. Le due tifoserie utilizzano il tamburo e sventolano i bandieroni con costanza. Pur divisi da una storica e sentita rivalità, avezzanesi e aquilani non si scambiano cori offensivi nell’arco dei novanta minuti, ma tifano esclusivamente per i propri colori.
La curva avezzanese offre, quest’oggi, una prova maiuscola: i ragazzi del tifo organizzato riescono a coinvolgere anche gli spettatori ai lati, per cui le tantissime manate della Nord sono veramente belle da fotografare. Il sostegno canoro è continuo e intenso, essendo rinvigorito, appunto, dal resto della curva. Nel settore ospiti il tifo è condotto dai Red Blue Eagles, i quali, sistemati al centro dietro i loro bellissimi stendardi, cantano senza sosta per tutta la partita, proponendo anche tantissimi cori originali. I biancoverdi e i rossoblù scelgono soprattutto quelli prolungati: risultano molto coinvolgenti il “Dai non essere gelosa” avezzanese, tenuto per tantissimi minuti, così come lo splendido “Un giorno all’improvviso” di marca rossoblù. Alla metà della prima frazione gli aquilani fanno sventolare tantissime bandierine con il simbolo della loro squadra, realizzando una suggestiva scenografia.
In campo l’Avezzano si schiera con il 4-3-3, mentre gli ospiti si dispongono con il collaudato 3-4-3. I marsicani ci provano con Roberti, che colpisce la traversa. I rossoblù rispondono con Banegas in due occasioni e, soprattutto, con Angiulli, che con il suo velenoso mancino impensierisce tre volte l’estremo avezzanese, tirando sempre dalla distanza. Al 41’ l’Avezzano si fa rivedere con Verna, che però spara alto. Il primo tempo non riserva nient’altro, per cui le squadre rientrano negli spogliatoi sul risultato di partenza.
Quando ricomincia la gara anche le due tifoserie riprendono a tifare. Gli avezzanesi continuano a cantare con grande forza vocale come nei primi quarantacinque minuti, partendo con un “Non mi stanco mai di te” prolungato, mentre gli aquilani intonano il sempre bello “Su quel prato verde”. Dal punto di vista visivo i biancoverdi provano a mettere in mostra le sciarpe nella parte centrale del settore, mentre i rossoblù, instancabili nel sostegno anche in questa seconda parte di gara, in molte occasioni cantano abbracciati. Le due tifoserie continuano a scegliere cori lunghi, come “L’Aquila è la squadra degli ultrà” o il “Siamo la Nord, vogliamo vincere” avezzanese.
In campo ci riprova, per gli ospiti, il solito Angiulli, ma la tensione è altissima, per cui le occasioni da gol sono poche e la partita, di conseguenza, non offre molto dal punto di vista dello spettacolo. A tre minuti dalla fine, però, quando il match sembra indirizzato verso un pareggio senza reti, l’atleta classe ’91 Costa Ferreira, centrocampista rossoblù, prende palla in area di rigore e la infila nell’angolino basso alla destra di Cultraro, portando in vantaggio gli ospiti. I calciatori aquilani vanno a esultare sotto il settore ospiti, che si accende di gioia per questo gol importantissimo che proietta L’Aquila al secondo posto, a quattro punti dalla vetta occupata dal Campobasso, fermato in contemporanea dal Fossombrone in terra marchigiana. I biancoverdi, nonostante la delusione, continuano a cantare, mentre gli ospiti intonano il coro “Canterò per te, rossoblù alè” fino al triplice fischio.
Gli uomini di mister Cappellacci festeggiano la vittoria con i propri sostenitori, che chiedono quella C vista per l’ultima volta ai piedi del Gran Sasso nella stagione 2015-16. Gli atleti di casa, dall’altro lato, si recano sotto la Nord, che esprime tutto il proprio rammarico cantando di meritare di più. Sempre da questo settore parte un coro contro gli ospiti, che rispondono salutando ironicamente gli avversari. Mentre gli spettatori lasciano le tribune, anche per me arriva il momento di sistemare l’attrezzatura e guadagnare l’auto per tornare a casa. Dopo aver scattato qualche foto all’esterno dello stadio, colorato di bianco e verde, mi metto alla guida per affrontare altre due ore di viaggio, durante le quali, purtroppo, le nuvole non mollano la loro presa sui monti: è questo l’unico neo di una bella giornata nella Marsica, dalla quale torno a casa pienamente felice e appagato.
Testo di Andrea Calabrese
Foto di Andrea Calabrese e Imma Borrelli
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