La soluzione, alla fine, sarà far diventare tutti daltonici, oppure colorare di grigio tutte le squadre. Il paradosso delle bandiere porta allo scontro l’Uefa e il Barcellona, ma queste potrebbero essere soltanto piccole schermaglie in attesa di una guerra.

Barça vs Uefa. La società catalana ha chiesto ufficialmente all’organismo che governa il calcio continentale di non venire più multata per l’esposizione dei colori nazionali da parte dei propri tifosi. L’ultima sanzione è arrivata a fine luglio e si riferisce alla finale di Champions League, a Berlino. In quella occasione, sencondo l’Uefa, l’esposizione di simboli politici è stata “eccessiva”. Ma il punto è: la bandiera della Catalogna è un simbolo politico? Di certo lo è nella misura in cui la maggior parte dei cittadini catalani (vedasi il referendum del 2014) chiede l’indipendenza dalla Spagna. Ma non può essere considerato simbolo politico un vessillo, la senyera, che rappresenta un’intera comunità e da sempre fa parte della storia e della vita del club. E che i tifosi del Barça accostano in maniera quasi naturale ai colori sociali, il blaugrana.

Il caso basco. Che dire, allora, dell’ikurrina, la bandiera dei Paesi Baschi? Per i tifosi dell’Athletic Bilbao, che certo sono indipendentisti quanto quelli catalani, si tratta di un vessillo assolutamente familiare, nel senso che viene automaticamente associato ai colori biancorossi della squadra. Ma lo è altrettanto, giusto per citare le altre squadre basche della Liga, per i tifosi di Real Sociedad (acerrimi rivali dell’Athletic) e del piccolo Eibar. Non necessariamente un simbolo politico, dunque, semmai un vessillo nel quale riconoscersi, anche a livello sociale e culturale. Significativo quanto accaduto lo scorso maggio: la finale di Copa del Rey ha messo di fronte proprio Barcelona e Athletic. Le due tifoserie, in nome di un comune sentimento autonomista e anticastigliano, hanno esposto migliaia di senyeras e di ikurrinas, fischiando sonoramente l’inno spagnolo. E questo è stato senza dubbio un messaggio politico. Come politico, ma di tenore ben più forte, fu il messaggio lanciato il 5 dicembre 1976: sotto la dittutura di Franco, l’esposizione in pubblico della bandiera basca era stata vietata da anni e i nazionalisti perseguitati. Quel giorno, prima del derby basco tra Real Sociedad e Athletic Club, al momento di entrare in campo i due capitani srotolarono una bandiera basca, portata in campo di nascosto. A un mese da el dia de la ikurriña la bandiera tornò “libera” e iniziò il processo che porterà i Paesi Baschi ad avere notevole autonomia dal governo centrale.

La Corsica. Situazione simile in Corsica, dove i principali club calcistici (il Bastia, l’Ac Ajaccen e il Gazelec Ajaccio) hanno adottato da sempre la Testa mora, inserendola nel proprio stemma sociale. E i tifosi ne fanno largo uso, tanto che è assolutamente normale vedere bandiere corse mischiate a quelle con i rispettivi colori. Il confine tra semplice appartenenza e “sfida” nei confronti del potere centrale è sottile: la Testa mora diventa automaticamente simbolo politico quando i corsi si trovano davanti la squadra della capitale, il Paris-Saint Germain, ma non solo: lo scorso anno il prefetto di Nizza vietò l’esposizione di simboli corsi durante la partita contro il Bastia, sulla base di una vecchia ed estremamente aspra rivalità. Un paradosso, giacché la Testa mora è sulle maglie dei turchini. La società isolana raccolse la sfida con una provocazione: un adesivo con una X rossa a coprire il simbolo vietato. E quando, a fine gara, un giocatore del Bastia tirò fuori un bandiera corsa, i tifosi di casa fecero invasione di campo scatenando una rissa.

Il vessillo sardo. I Quattro mori, adottati come simbolo dalla neonata Regione Autonoma della Sardegna nel 1950 (e comunque criticati da una parte degli storici) per tutto il Novecento hanno accompagnato le imprese delle società sportive sarde al di fuori dei confini regionali. La prima squadra di calcio ad applicarli sulle maglie da gioco, nel 1929, è stata la Torres (pur conservando il proprio stemma). A sdoganare definitivamente i Quattro Mori fuori dalla Sardegna in ambito sportivo – e non solo – è stato, quarant’anni dopo, il Cagliari campione d’Italia, che ha di fatto fagocitato il simbolo regionale. Il quale oggi continua ad

accompagnare lo sport isolano. Compresa la Torres femminile, che nelle scorse edizioni della Champions League ne ha fatto largo uso, sia in casa che in trasferta. Ma in questo caso, a differenza di quanto accaduto al Barcellona, l’Uefa non deve essersene accorta.