Quando scende in campo la Sampdoria, con quella maglia dal fascino unico è sempre un turbinio di emozioni particolari per gli amanti del calcio. La maglia più bella del mondo secondo qualcuno, forse una delle poche maglie rimaste intatte negli anni, capace di resistere agli stupri del marketing vestito da moda, che ha conservato tradizione e storia in un calcio moderno dove non è rimasto più nulla del passato. E quando arriva una tifoseria come quella doriana, che al pari della sua maglia mantiene intatto il vincolo di sangue con la sua gradinata e la sua gente, rimasta fedele alla propria storia ultras conosciuta e rispettata in tutto il mondo, non puoi far altro che toglierti il cappello e renderle onore.

Le premesse sembrano finalmente convergere tutte verso una domenica dal sapore retrò. La sveglia è alle 7. Non posso mancare. L’arrivo dei tifosi blucerchiati è previsto alle 8.10 ma stranamente Trenitalia decide di essere puntuale, arrivando a Bari con circa 15 minuti di anticipo. In una delle poche trasferte libere di questi tempi infami, la scelta doriana è stata infatti quella di partire in treno. Un modo come un altro per trasmettere anche ai più giovani le vecchie tradizioni, far intendere cosa fossero le trasferte anni ’80 e ’90, quello che oggi pensiamo sia un viaggio massacrante di 12 ore tra vagoni polverosi, sapore di metallo e notte insonne tra amici, nel passato era la normalità di ogni quindici giorni.

Il grosso del contingente ospite, opta comunque per vie più rapide, aereo o al massimo autostrada. Molte famiglie decidono di passare l’intero weekend nella bella Bari. Arrivo però alla stazione proprio per immortalare i 200 eroi scesi in treno. In un primo momento sembra veramente di essere ritornati agli anni ’80. Conserverò gelosamente queste che, agli occhi di tutti, sembrerebbero normalissime foto di un folto gruppo di persone nei pressi di una stazione ferroviaria, ma che raccontano invece una trasferta ricca di significati. Rarità assoluta trovare un gruppo ultras in piena città, avvolta dal silenzio di una domenica mattina invernale, che loro sembrano quasi non voler spezzare, muovendosi con rispetto quasi devoto verso una città che li ha sempre accolti a braccia aperte e che ancora sonnecchia. Mentre un cielo cupo restituisce un’altra tonalità vintage in più.

Per loro si prospetta una giornata non meno lunga del viaggio. Dopo un paio d’ore di attesa, fanno capolino i bus urbani che li trasportano allo stadio “San Nicola”, serpeggiando nelle strade della città. Immagini che forse non rivedrò mai più. C’è un gemellaggio da onorare, che dura dal 2006, prossimo dunque al ventennale. Verso le 10.30 le due tifoserie si ritrovano e si salutano nel parcheggio dello stadio tra cori, tantissimi fumogeni e bandieroni al vento. Il tempo non è dei migliori ma per fortuna Giove Pluvio non se la sente di infierire di fronte a queste scene d’amicizia. La partita è alle 17.15, il grosso del pubblico di fede blucerchiata si trattiene in centro per pranzare e passare una mattinata diversa, fra quanti invece prevale l’animo ultras, la scelta è quella di rimanere con i fratelli baresi nei pressi dell’impianto.

Quando si sta bene, con gli amici giusti, il tempo scorre in fretta. Arriva così l’ora del fischio d’inizio con il “San Nicola” che registra 18.526 presenze e un settore ospiti gremito da 1.290 sampdoriani, che esauriscono tutta la riserva di biglietti a loro disposizione. Impatto visivo impressionante. La Curva Nord si presenta a inizio partita con uno striscione che consacra l’amicizia, accompagnato da fumogeni biancorossi e dal coro “BARI E SAMPDORIA”. Il tifo è come sempre bello e colorato, manate fitte, tanti fumogeni accesi, complessivamente tutto molto bello, ma è matematico che quando c’è di fronte una tifoseria rumorosa, si sente solo un gran baccano da ambo le parti, con la non ottimale acustica che vanifica tutta la qualità che gli attori in campo offrono.

Anche i doriani onorano l’amicizia con delle strisce orizzontali di stoffa con i colori del Bari e della Samp, stile molto casereccio ma piacevole, reso migliore dai tanti fumogeni accesi. Il loro tifo è intenso per loro, per tutti i novanta minuti. Espongono lo striscione “TRASFERTE LIBERE” nel primo tempo, mentre nel secondo tempo in balconata ne aprono uno per “LALLÀ”, ultras biancorosso scomparso lo scorso ottobre.

I due settori non smettono mai di incitare le rispettive squadre, come da tradizione italiana, poi a tentar di rovinare la festa arriva la pioggia, promessa già dal mattino, che tra umidità e vento non fa vedere quasi più nulla. Chi rimane al proprio posto sono le due tifoserie, con i doriani letteralmente inzuppati di acqua e con la non semplice prospettiva di un viaggio di ritorno da affrontare, di “sole” 12 ore in treno. Un prezzo che molti avranno pagato più che volentieri per rivivere almeno per una domenica il fascino del passato, con l’utopico sogno che tutto ciò possa tornare come normalità ma che concretamente forse non rivedremo mai più. Proprio per questo lo striscione “TRASFERTE LIBERE” assume un significato ancora maggiore dopo averne affrontata una in questa maniera. Stanno provando in tutti i modi a plasmare con la forza bruta una nuova sociologia del tifoso, che a onor del vero dovrebbe esser per loro nulla più che un consumatore. E per azzerare le ricadute in termini di impegno dell’ordine pubblico, l’unico consumatore privilegiato è quello della compagine di casa. Gli altri, se vogliono, se la guardano in tv. Tra un po’ i settori ospiti diventeranno un residuato storico di un’altra epoca, un po’ come i palloni in cuoio con le cuciture grosse o i calciatori in braghe e camicie.

Testo di Massimo D’Innocenzi
Foto di Alberto Cornalba e Erredi