Non sono un appassionato di amichevoli e gemellaggi, lo ammetto. Le prime le trovo un fardello insostenibile al cospetto di stagioni che sono già di loro piene di impegni disseminati ormai quasi ogni giorno della settimana, i secondi a volte mi risultano indigesti per il troppo zucchero contenuto e perché – la storia recente ci insegna – sovente finiscono con una sconcertante velocità per rovinarsi e divenire rivalità dal dubbio valore. Per non parlare di quando il gemellaggio tracima nel melodramma esistenziale e sembra quasi di assistere a una promessa di matrimonio, impostata e plastificata, più che a un semplice incontro tra tifoserie amiche che dovrebbero innanzitutto pensare al divertimento e alla condivisione del rispettivo tempo.

Eppure scelgo senza alcun dubbio di raggiungere Barletta in occasione di questa partita, che oltre ai cento anni del club biancorosso celebrerà anche (e soprattutto) l’ormai longevo rapporto tra la tifoseria locale e quella dell’Austria Salisburgo. La mia scelta non è dettata dalla schizofrenia, ma dal rispetto per una liason che ritengo essere un vero e proprio gemellaggio, privo di fronzoli e inutili celebrazioni, ma caratterizzato da tanta sostanza, e dal rispetto infinito che nutro per gli ultras viola. Lo dico senza mezzi termini: per me rappresentano la massima espressione della lotta a un certo tipo di calcio. La loro caparbietà e la loro coerenza nel fronteggiare il colosso Red Bull, nel rimettersi in piedi in nome dei loro colori e del loro credo ultras e il loro non mollare neanche di un centimetro – a fronte di problematiche e ostacoli che spingerebbero molti a tirarsi indietro – dovrebbe essere un vero e proprio manuale per tutte quelle tifoserie che in genere sono solite farsi calpestare o fare spallucce di fronte a strane pretese delle loro società.

Del resto che le due città siano ormai legate anche oltre l’aspetto curvaiolo è facilmente intuibile camminando attorno al rinnovato stadio Cosimo Puttilli. Ci sono drappi salisburghesi esposti su diversi balconi, segno dell’ospitalità estrema che qualche barlettano deve aver offerto agli austriaci. Ci sono famiglie che hanno macinato migliaia di chilometri per esser qua oggi e c’è l’entusiasmo di una tifoseria tornata a sognare dopo anni di delusioni e oblio, volenterosa quest’oggi di chiudere l’anno in maniera consona.

Lasciatemi sottolineare l’unico, solito, aspetto negativo che si manifesta anche in queste occasioni: l’ossessività compulsiva di chi è chiamato a fare ordine pubblico. Malgrado si tratti di un evento festaiolo, tra due tifoserie gemellate e dal clima più che disteso, anche oggi i solerti gestori dell’ordine pubblico imporranno discutibili paletti. Presenziando in numerose unità, costringendo l’intero contingente biancorossoviola ad abbandonare il piazzale dello stadio fattasi una certa ora e bandendo – anche in un match non ufficiale – l’utilizzo della pirotecnica. Una vergogna tutta italiana, che questi signori utilizzano ormai come strumento di minaccia nei confronti delle già vessate tifoserie. Vietare l’accensione di una torcia all’interno dello stadio resta la più grande idiozia perorata verso chi vuol semplicemente festeggiare un gol o un momento di giubilo. E qualora finisse in campo, qualora finisse addosso a qualcuno…beh, abbiamo un apparato legislativo talmente pesante e capillare in tal senso, che di certo il colpevole non scapperebbe alle grinfie della legge!

Tornando all’aspetto ludico e costruttivo della giornata, questa è anche l’occasione per rivedere appesi numeri drappi presenti e passati del Gruppo Erotico. Attiva dal 1987 questa sigla – nata scherzosamente per dileggiare le notti brave di alcuni ragazzi prima di ogni trasferta – si può dire che è ormai un tutt’uno con il Barletta Calcio e con la città. Un’unione imprescindibile che ha dato i suoi frutti in questa rinascita del calcio e del tifo locale. Come hanno sottolineato in più di un’occasione i giovani e i vecchi del direttivo, il G.E. c’è sempre stato, anche quando la navigazione era difficile e il mare era in burrasca. E oggi raccolgono i risultati. Oggi possono anche sentirsi più responsabili e temprati (loro come tante altre realtà di provincia, aggiungo) rispetto a quelle metropoli dove – al netto delle difficoltà – è ovviamente più semplice portare avanti il discorso stadio, grazie al numeroso ricambio generazionale, alla Serie A e ai buoni risultati sportivi.

Quello che mi fa vedere di buon’occhio questo gemellaggio, poi, sono la naturalezza e la genuinità con cui è nato e si è sviluppato. Addirittura parliamo di primi approcci avvenuti attraverso le pagine del mitico Supertifo. E non mezzo social o internet come avviene oggi in maniera inflazionata, quasi forzosa. L’invito in un Barletta-Taranto (che da queste parti non è mai una partita come le altre) della stagione 99/00 e l’inizio di un legame ormai ultraventennale. Non ci sono pose o altezzosità negli occhi di questi ragazzi. Non c’è spocchia nella voce di Alex, storico capo degli Union Ultrà Salzburg, mentre narra tutta la trafila passata per tenere in vita la sua tifoseria e far rinascere dalle ceneri il suo club. In fondo oggi ci troviamo di fronte a due Arabe Fenici, capaci di risorgere e farsi forza con le proprie ali, tenendo il volo e non temendo mai una fragorosa caduta.

E che tutto questo avvenga di fronte allo stadio Puttilli, davanti al suo manto verde e alle sue tribune rinnovate, di nuovo aperta al pubblico, è significativo. Ci hanno messo sette anni i ragazzi di Barletta prima di riappropriarsene. Sette anni di battaglie e striscioni contro le istituzioni, che prima avevano lasciato andare in malora uno dei luoghi aggregativi più importante della città e poi ne avevano terribilmente rallentato la ristrutturazione. A vederlo oggi non si direbbe, con la sua veste sgargiante e ben tenuta. Un impianto che farebbe invidia persino a qualcuno della Serie A. Ma soprattutto un impianto fondamentale per restituire il Barletta ai barlettani, per ridargli la possibilità di seguire la propria squadra senza macinare minimo 70 km tra andata e ritorna (Canosa di Puglia docet). E anche qui il risultato è sotto gli occhi di tutti e si concretizza in tanti ragazzi e tanti bambini che giocano con le bandiere prima e affollano la Curva Nord poi. La linfa vitale degli ultras passa per l’appianamento del conflitto generazionale e il tramandare cosa voglia dire avere i colori della propria terra nelle vene. Difenderli ed esaltarli a prescindere dalla categoria.

Con il microfono in mano e gli striscioni del G.E. dietro si avvicendano pezzi di storia del tifo adriatico. Mentre il capannello di presenti forma un semicerchio, che conclude l’adunata con un paio di battimani, colorati dai bandieroni che hanno da poco cominciato a volteggiare. Sono quasi le 17 e, come detto, la petulanza della forza pubblica spinge verso le uscite. Ci si riversa a pochi passi dal palazzetto, dove la vituperata pirotecnica trova sfogo in mezzo a decine di cori autocelebrativi, per gli amici giunti a onorare la giornata e ovviamente per un Barletta calcio che sta regalando grandi soddisfazioni in quest’annata.

A proposito di amicizie, oltre ai ragazzi di Salisburgo, vedo sfilare davanti ai miei occhi andriesi, baresi, salernitani, catanzaresi, martinesi e molfettesi. Ovviamente è un pre partita contraddistinto anche da fiumi di birra e alcol di ogni genere. Come da tradizione, per ogni evento curvaiolo che si rispetti. E come da tradizione, i cori continuano con i bicchieri in mano e ammaliano a tal punto i passanti che a un certo punto tutto il contingente schierato davanti al bar si gira divertito verso la strada: un triplo tamponamento ha appena avuto luogo. La distrazione di guardare gli ultras intenti nei loro riti ha avuto la meglio sul senso di responsabilità alla guida!

Un’oretta prima del fischio d’inizio è il tempo giusto per ritirare l’accredito ed entrare nuovamente all’interno del Puttilli. Per l’occasione sono attese circa cinquemila persone, di cui trecento stipate nel settore ospiti. Numeri che la dicono lunga su quanto la passione per il Barletta sia nuovamente sbocciata e abbia fatto faville in città. Malgrado una società che sì, sta lavorando bene ed ha pianificato meglio, ma che è stata sincera sin dalla notte dei tempi, non promettendo mari e monti e certificando le proprie possibilità a tutti i tifosi. Eppure l’alchimia che si è venuta a creare tra ambiente e giocatori è un qualcosa di profondamente tangibile, soprattutto quando si è abituati a vivere di calcio e si riesce a leggere facilmente un momento positivo in seno a una piazza. I biancorossi veleggiano a pochi passi dalla Cavese, prima in classifica, e insinuano pericolosamente la corazzata metelliana, grande favorita ai nastri di partenza.

Ho la sensazione che qualunque sarà l’esito finale di questa stagione, per i barlettani sarà stato comunque un successo. Mentre penso fra me e me, i responsabili del Gruppo Erotico premiano le tifoserie gemellate e poi danno vita, assieme ai dirimpettai salisburghesi, al più classico dei giri di campo con i bandieroni. Ripeto quando detto in avvio: non sono un amante del genere, però stavolta faccio uno strappo alla regola e ammetto che è stato bello e molto retrò veder sfilare sul tartan le due tifoserie, per poi fermarsi sotto le rispettive curve e scambiarsi cori di affetto e stima. È stato sicuramente un momento che ha coinvolto tutto lo stadio, tutti i presenti. Una di quelle cose che viste dal “semplice” tifoso di tribuna, aiutano a invogliare il ritorno sulle gradinate. Avvicinano alla squadra della propria città e lasciano un bel ricordo. L’aggregazione è soprattutto scaldare il cuore di chi ti è vicino e magari certe dinamiche – quelle ultras – non le conosce e spesso non le comprende.

Vengono premiati anche volti noti del calcio barlettano. Fioretti, Ferazzoli, Lancini, Rovani, Incarbona, Pesce, Lanotte, Daleno: per qualcuno possono essere perfetti sconosciuti, per questa gente sono veri e propri miti. Sono i ragazzi che hanno portato le gesta di Ettore Fieramosca in Serie B, sono quelli che hanno traslato la Disfida sui campi infuocati della cadetteria. E sono quelli che, a distanza di oltre trent’anni, ricevono ancora applausi e ovazioni. Il calcio è anche questo. Memoria storica, gratitudine e appartenenza. Prenda nota chi lo vede come un hobby qualunque!

È il momento delle coreografie, con le due squadre che scendono in campo. La Nord si colora di bandierine biancorossoviola e nella parte centrale cala un telone raffigurante i due celebri simboli delle rispettive città: Wolfgang Amadeus Mozart per Salisburgo, il Colosso di Eraclio per Barletta. Piccolo ripasso, quest’ultimo è una statua in bronzo posta nella Basilica del Santo Sepolcro. La leggenda vuole che sia stata abbandonata dai veneziani sulle spiagge adriatiche in seguito al Sacco di Costantinopoli. Sul fronte opposto gli austriaci mostrano bandierine di egual colore rispetto ai barlettani e un telone con due ragazzi abbracciati che indossano le maglie dei due club, con relativi anni di fondazione e lo striscione Due città, eine Einheit (Due città, un legame).

In campo la gara è piacevole e il Barletta conferma l’ottimo stato di forma imponendosi per 2-0. Ma lo spettacolo, ovviamente, è sugli spalti dove le due tifoserie danno vita a un’ottima prestazione di tifo. Gli ospiti confermano quanto di buono ho avuto modo di vedere in passato e cantano come fosse una regolare partita di campionato. Per questa generazione di ultras viola dev’essere un onore poter sostenere la loro squadra al di là dei confini nazionali. Loro, che magari non hanno vissuto gli anni della grande Austria Salisburgo degli anni ’90, quella in grado di scalare importanti vette europee (finale di Coppa Uefa persa con l’Inter nel 1994) e conquistare tre titoli nazionali, si ritrovano a gridare il nome della propria città e della propria curva a migliaia di chilometri dai campetti dove abitualmente sono stati confinati negli ultimi anni. E la riuscita, come detto, è ottima: bandieroni sempre al vento, voce e ritmo. Lo stile italiano perfettamente riprodotto!

Anche la Nord di casa si prodiga in una bella performance, celebrando a inizio secondo tempo i trentacinque anni del Gruppo Erotico con la seconda coreografia di giornata e raggiungendo picchi di tifo davvero notevoli, con tutta la curva a saltare e batter le mani.

Menzione speciale per la nebbia. Ospite non desiderata di questa serata al Puttilli. Intenta a fare un andirivieni che alla fine, negli ultimi minuti del match, finisce per oscurare quasi totalmente la vista da una parte all’altra del campo.

Ma poco male. Dopo il triplice fischio c’è ancora tempo per stazionare tutti sotto la Nord e celebrare la fine di una giornata che per Barletta tutto ha sancito il momento più alto degli ultimi anni. E dove tutti hanno giocato un ruolo fondamentale per la riuscita.

È tempo anche per me di effettuare gli ultimi scatti e poi prepararmi ad abbandonare lo stadio. La fine di questo anno solare è prossima e ovviamente porta con sé l’ennesimo pullman notturno in direzione Roma. Il buon Vincenzo mi accompagna fino ad Andria, dove il torpedone fermerà, ripartendo alla volta della Capitale. Lascio la Puglia ripensando alla tanta umanità travolgente di questa giornata. Ripensando a tutto quello che fanfaroni parlanti dicono e inventano sul mondo ultras. Per giudicare dovrebbero vivere almeno un minuto di questo mondo. Anche delle sue contraddizione. Persino delle sue storture. Ma chi ha una visione globale della vita e chi sa farsi un’idea al di là del preconcetto, non può che stropicciarsi gl occhi e ringraziare che un qualcosa di così aggregante ancora esista in un Paese troppe volte freddo mal pensante di fronte a quello che unisce anziché dividere o diverte anziché tediare!

Simone Meloni