Se in molteplici occasioni enfatizziamo ciò che è stato nel passato, i momenti di gloria e le sensazioni pure ed uniche dal sapore antico, oggi non possiamo negare di aver vissuto un pizzico di anni novanta allo stato puro. Almeno nel loro contenuto. Perché poi, se si va a vedere il contorno – tra inutili polemiche, morali non richieste e atteggiamenti da educande – si ripiomba tristemente e pesantemente nella società che tutti i giorni ci circonda. E rende spesso così complicato e isterico anche partecipare a una partita di calcio in cui l’ambiente è più frizzante. Anzi, più verace oserei dire.

Si sapeva che Barletta-Cavese sarebbe stata sfida in grado di fare storia a sé, almeno dal punto di vista ambientale. E non ha tradito le attese. Due piazze storiche a confronto, due tifoserie che vantano un passato di Serie B e una lunga militanza tra i professionisti. Colori contrapposti, attaccamento viscerale alla propria terra e a quel credo ultras lontano anni luce dalla militanza spesso commercializzata della Serie A. Tanta voglia di confronto. E poi c’è sempre quello scontro Puglia/Campania, che personalmente ritengo il più interessante e carico di significati tra tutte le dispute interregionali del nostro Paese.

Certo, in mezzo a tutte queste aspettative ci sono sempre i soliti problemi burocratici e organizzativi a tenere banco. C’è un Puttilli non ancora agibile nella sua interezza, che ha ovviamente costretto la società di casa e gli organi preposti a ragionare sulle scelte da fare in ordine numerico. Alla fine il club pugliese ha ricambiato quanto messo a disposizione da quello metelliano nel match d’andata: 500 tagliandi per gli aquilotti. E il quasi “ovvio” sold out, con file interminabili nei giorni precedenti alla gara e circa seimila tagliandi staccati. Segno di come a Barletta si sia tornati appieno a respirare voglia di calcio. Ma anche sintomo di quanto chi, negli anni, ha tenuto duro, non mollando di un centimetro, sobbarcandosi chilometri anche per vedere partite in casa e punzecchiando costantemente amministrazioni comunali e opinione pubblica, abbia alla lunga avuto i suoi frutti. In un’Italia che sovente vorrebbe stadi chiusi, tifosi davanti alla tv e curve ammaestrate, il risultato è notevole!

Come di consueto il treno scandisce il mio arrivo nella città adriatica. Uno stuolo di sciarpe biancorosse fagocita letteralmente il resto dei passeggeri intenti a percorrere il sottopassaggio della stazione per imboccare la strada che conduce allo stadio. Anche questa è passione popolare. Il rumore dell’attrito tra binari e convogli intenti ad arrestare la propria corsa e il vociare della gente in preda all’entusiasmo, per quella che a queste latitudini rappresenta sicuramente la partita più sentita degli ultimi anni. Mentre il vento spazza provvidenzialmente via le nuvole, spingendole verso il mare e – idealmente – sulle più fredde coste balcaniche.

La pioggia – che in altre zone d’Italia ha fatto danni ingenti – risparmia questa giornata. E attorno al Puttilli già un’ora prima del fischio d’inizio, una masnada di tifosi si accalca verso gli ingressi. Un fitto cordone composto dalla Guardia di Finanza presidia il confine tra i settori di casa e la strada che porta verso quello ospite. In queste settimane si è tanto parlato di “emergenza ultras”, un po’ meno del modus operandi di chi si trova a gestire afflusso e deflusso dei tifosi. Spesso a dir poco catastrofico (e anche oggi, in quel di Pagani, se ne avrà l’ennesima conferma). A onor del vero, invece, va detto che la gestione dei supporter campani sarà più che buona, sventando ogni tipo di problema e lasciando solo al folklore e allo scontro verbale i fatti di “cronaca” tanto cari a giornali e giornaletti che null’altro hanno da scrivere e analizzare.

Il Barletta Calcio, come consuetudine in questa stagione, ha organizzato un pre partita piacevole e distante dall’effetto discoteca in cui spesso si piomba in diversi stadi della Penisola. Sul manto verde sfilano alcune vecchie glorie, tra cui l’indefesso Evaristo Beccalossi, che qui ha giocato nella stagione 1988/1989. Gli applausi scrosciano copiosi e questa sorta di cerimoniale è a dir poco fondamentale per rinverdire le radici del calcio cittadino, strizzando un occhio al passato e dimostrando la continuità odierna con quello che la maglia biancorossa ha sempre rappresentato in città.

Il fischio d’inizio si avvicina e il volo di un elicottero della polizia preannuncia l’arrivo dei tifosi ospiti. Chi vive di stadio lo percepisce e, non a caso, la Nord comincia a scaldare i motori. Gli ultras blufoncé annunciano il loro arrivo a suon di cori, durante il corteo improvvisato dai pullman agli ingressi. Non c’è neanche bisogno di vederli per capire che hanno preparato questa giornata nei minimi dettagli: dopo anni di trasferte vietate, stadi spesso senza tifoserie contro e porte chiuse fioccate come se i ragazzi di Cava de’ Tirreni fossero il male sceso sulla Terra, la Curva Sud sa bene che si ritroverà di fronte un palcoscenico importante. Da categoria superiore. E non può mancare l’appuntamento.

L’ingresso metelliano è di quelli importanti. Tutti assieme attraverso il cancellone centrale, un paio di cori e poi su per i gradoni. Dove la sfida si accende ufficialmente. Volano le prime schermaglie e gli animi si accendono. L’amicizia dei barlettani con la Sud salernitana non passa inosservata, così come il voler provocatoriamente paragonare i cavesi agli odiati rivali nocerini è un modo “sfizioso” di stuzzicare i dirimpettai da parte dei padroni di casa.

Sapete qual è il paradosso? Che sebbene questa sia una sfida da categorie superiori, nelle stesse probabilmente avrebbe meno appeal. Irretita ancor più da divieti e restrizioni e schiava di diritti televisivi e scelte antitetiche a qualsiasi basica frequentazione popolare delle gradinate. La Serie D in questi anni ha forse preso il posto di quello che per tante stagioni ha significato la C per chi guarda il calcio dal punto di vista curvaiolo.

Mi porto al centro del campo, quando l’ingresso delle squadre è prossimo. La Nord fa calare la propria scenografia, composta da tante fasce biancorosse, da un telone centrale raffigurante uno dei tredici cavalieri della Disfida intento a infilzare l’aquilotto della Cavese e dalla frase appesa sulla ringhiera: Biancoross sp’zzm a tutti l’oss’a. Sono sincero: apprezzo l’idea, molto anni ottanta e fortemente calzante a questa giornata, forse la realizzazione è risultata un po’ troppo “sommaria”. Ripeto: rispetto per chi si impegna in scenografie nel 2023 ed è comunque bello vederne all’interno dei nostri stadi – resta sintomo di fantasia e voglia di fare -, la mia è semplicemente un’opinione personale.

Nel frattempo i cavesi si sono sistemati nel settore, tenendo ancora piegato il lungo striscione che hanno apposto sulla balaustra. Nel profondo del mio cuore spero che questo sia il modo di precedere un qualcosa di pirotecnico, attendendo che la gara sia iniziata e la coreografia avversaria sia venuta giù. E alla fine la mia intuizione è giusta: poco dopo il fischio d’inizio il contingente campano srotola l’emblematico striscione Comunque vada… ultras, dando il la a una spettacolare fumogenata blu che per diversi minuti ricopre tutto il settore ospiti producendo un effetto spettacolare. Mi si perdoni l’entusiasmo, ma da malato cronico di torce e fumogeni posso solo togliermi il cappello e dimostrare ai tanti derelitti che commentano il calcio da dietro una scrivania, quanto possa esser bello – nonché atto di ribellione dei nostri tempi – immergersi nell’acre fumo che ci avvolge.

E sì, è vero, qualche barattolino piove anche in campo, rimandando la mente a vecchie partite dei bei tempi andati. Mi posso permettere di fare il Bastian Contrario e dire che la scia di fumo che segue immediatamente la pirotecnica in volo è un qualcosa di più sentimentale rispetto a qualsiasi lettera d’amore o bella storia raccontata e inventata dai quattro straccioni che popolano diverse testate mainstream per far sciogliere il cuore dell’italiano medio? Se questa la chiamate violenza evidentemente o non sapete dove sia di casa la stessa o avete problemi nel relazionarvi con la vita di tutti i giorni, dove tanta violenza (e molto meno simbolica) si consuma quotidianamente e impunemente sotto i nostri occhi.

Il confronto canoro è appena iniziato quando il portiere ospite tentenna con il pallone e si fa punire dal lestissimo attaccante barlettano. Il Puttilli esplode e la Nord guida l’entusiasmo producendosi in vari battimani, cori continui e in cui tutti i presenti saltano e cantano. Una vera e propria manna dal cielo per chi ogni domenica vive di gradinate. Del resto il tifo del popolo biancorosso sarà ineccepibile: bandiere sempre in alto, lanciacori bravi a coinvolgere una massa che è sempre difficile guidare in maniera ordinata e un entusiasmo che finisce spesso per contagiare gli altri settori dello stadio. Sciarpata eseguita nel finale da urlo, con tutto il settore ricoperto di sciarpe e un effetto davvero impressionante.

L’aver di fronte una tifoseria avversaria gioca ovviamente un ruolo fondamentale nell’ambiente di tutto lo stadio. La grande differenza – e il grande stimolo per i ragazzi di curva – tra categorie insulse come l’Eccellenza, dove difficilmente ci si può confrontare, e il Girone H della Serie D di quest’anno è tutta in questa gara. Chi mastica tifo, ma anche solamente chi ama il calcio per quello che è, vale a dire una tenzone popolare – a volte anche retorica e demagogica – e ruvida, oggi è tornato a casa stropicciandosi gli occhi.

E il merito è chiaramente anche degli ultras cavesi, capaci di sfoderare una prestazione di grande livello, cresciuta con il passare dei minuti e culminata in un secondo tempo da brividi. In particolar modo dopo il pareggio blufoncé i metelliani spingono, alla ricerca di una vittoria che a questo punto metterebbe un discreto gap tra gli uomini di Troise e il resto delle inseguitrici. Nella performance cavese c’è tutto, ma proprio tutto, il repertorio italiano: cori ritmati dal tamburo, bandieroni, voglia di pungere l’avversario e un continuo utilizzo della pirotecnica. Oltre a una sciarpata finale che ben risponde all’egual spettacolo mostrato dagli adriatici pochi minuti prima.

Il match finisce 1-1, con il Barletta che a tempo scaduto sbaglia clamorosamente il gol della vittoria. Le squadre vanno a raccogliere il meritato applauso delle rispettive tifoserie. Una gara che anche in campo ha mostrato due formazioni intente a battagliare, a sporcarsi maglia e pantaloncini e a dare il tutto per tutto al fine del risultato. Uno spot per il calcio italiano a tuttotondo.

Mentre si attende l’uscita dei tifosi campani – necessaria per far sì che anche il pubblico pugliese possa abbandonare lo stadio – continuano le schermaglie tra le due curve. Un terzo tempo che trova sempre l’interesse di chi ha seguito attentamente le dinamiche curvaiole. Un signore con la pettorina arancione dice al suo collega steward: “Dovevano vietagli la trasferta!” riferendosi ai supporter metelliani. No, caro amico mio, le trasferte non andrebbero vietate mai e poi mai. E non ci si dovrebbe neanche augurare riduzioni di capienza e altre amenità tipicamente italiane. Anche perché se si entra nel pericoloso vortice in cui si invoca il divieto per questa o quell’altra tifoseria, alla fine tutti ne verranno risucchiati pagandone le spese. Che siano cavesi, barlettani o tifosi di altre squadre.

Di fronte a una giornata come quella odierna, bisognerebbe solo tirare un grande sospiro, contare fino a dieci, fare un attimo spazio tra le proprie simpatie e antipatie calcistiche e ringraziare di aver assistito a oltre novanta minuti di intensità, colore e calore. Astraendosi anche da quel concetto piccolo borghese di “follia ultras” che ha ormai contaminato la mente di molti, imbeccando e giustificando atti di rappresaglia anche di fronte a episodi che se non vanno derubricati, andrebbero quantomeno contestualizzati e rapportati al loro giusto peso.

Lo stadio si svuota completamente quando sono passati oltre quaranta minuti dalla fine della partita. Tutti riconquistano la strada di casa, compreso io. Sarà un altro lungo viaggio verso Roma, in cui poter elaborare tante emozioni e conservare il più a lungo possibile la sensazione bella e dolce di quel sussulto adolescenziale che troppo raramente ritorna su, facendomi riassaporare il gusto totale di uno stadio pieno, rumoroso e, perché no, ostile.

I momento belli sono sempre frazioni di secondi. Attimi. Da conservare a vita nei cassetti della propria memoria.

Simone Meloni