Per quanto tempo e in quali modi avrò ancora voglia di seguire il calcio e le tifoserie alla mia maniera non lo so. Sicuramente dal “ritorno” sulle gradinate mi sono posto un obiettivo: vedere cose nuove. Nuovi stadi, nuove città e nuove storie. Perché anche nelle proprie passioni a un certo punto occorre saper andare a capo e scrivere un nuovo capitolo. Come in ogni cosa si finisce con il perdere gli stimoli. Succede nella più grandi storie d’amore e nelle più belle pagine della vita. Succede sempre. E allora bisogna esser bravi ad accorgersene e a rinnovarsi, rinfrescare la propria strada o abbandonarla completamente ad appannaggio di un qualcosa che sia ancora in grado di alimentare la propria anima e la propria prospettiva.

Stazione Termini. Ore 7.28. Il mio Intercity è appena partito alla volta della Puglia. Con poca gente a bordo e una bella giornata di sole che bacia il centro-sud posso godermi il mio viaggio sonnecchiando, scrivendo e leggendo. In origine doveva essere solo Fidelis Andria-Bari, poi scandagliando il calendario mi accorgo di avere a portata di mano una succulenta doppietta in cui l’antipasto è Barletta-Corato di Eccellenza. Prima contro seconda. Vista l’indisponibilità dello stadio Cosimo Puttilli (con l’esilio forzato dei biancorossi che dura ormai da sette anni) mi adopero per rimediare un passaggio che mi permetta di raggiungere lo stadio San Sabino di Canosa prima e il Degli Ulivi di Andria poi. La perseveranza ma soprattutto la altrui gentilezza rendono tutto ciò possibile. Non sono un tipo da dediche smielate ma in tempi in cui solidarietà e comprensione di oggettive difficoltà sembrano essere quasi dei difetti, posso soltanto dire grazie a chi si è messo a mia disposizione.

Il Barletta Calcio riporta la mia mente a un’afosa estate degli anni ’90 quando, sfogliando un vecchio album custodito nei cassetti di mio zio, appresi per la prima volta della sua militanza in Serie B. Quattro stagioni dal 1987/1988 al 1990/1991, in cui i pugliesi provarono anche l’ebbrezza di sfidare per ben due volte il Milan nel primo turno di Coppa Italia (una sconfitta per 0-3 e un prestigioso pareggio per 1-1 con Sacchi alla guida di una squadra che alla fine riuscì ad uscire vittoriosa dal Puttilli solo ai calci di rigore). Un quadriennio che da queste parti ha lasciato ovviamente un aureo alone di gloria che ancora oggi si riflette in una tifoseria mai doma, neanche dopo aver mangiato quintali e quintali di letame. Ma nel calcio – e non solo – le difficoltà e le sconfitte aiutano spesso a migliorarsi e a fortificarsi. Laddove ovviamente non si soccomba prima.

Se alle sciagure di un club che sportivamente ha conosciuto diversi fallimenti negli ultimi anni si unisce anche il fatto di giocare sempre in trasferta, appare alquanto palese come il destino abbia fatto pagare in maniera salata ai supporter adriatici la gioia della cadetteria. Che poi – a dirla tutta – più che scomodare la dea bendata occorrerebbe porre per l’ennesima volta l’accento sulle gestioni “virtuose” di sedicenti presidenti e su quelle della politica locale, alla quale non può che essere imputata l’immonda e grottesca situazione stadio, ormai inagibile da quasi due lustri costringendo la squadra cittadina ad emigrare oltre i confini comunali, salvo le quattro stagioni giocate nel piccolo stadio Manzi-Chiapulin (circa 900 posti di capienza e un campo ai limiti della regolarità).

A margine di tutto questo scenario c’è il Barletta di mister Farina, partito con i favori del pronostico e sinora vera e propria schiacciasassi del torneo con dieci vittorie su altrettante gare disputate. La miccia della passione calcistica c’è e non si è minimamente erosa nella città della Disfida, tanto è vero che è stato sufficiente riaccenderla per far tornare numeri importanti sugli spalti malgrado la trentina di chilometri da percorrere obbligatoriamente per raggiungere le gradinate del San Sabino, che registreranno su fronte casalingo quasi il sold out.

Personalmente torno a seguire una gara di Eccellenza dopo oltre due anni e – per quanto comprenda le ferrea volontà del pubblico barlettano di raggiungere palcoscenici più consoni alla propria tradizione – mi calo molto volentieri in un ambiente dove non ci sono esagerati dispiegamenti di forze dell’ordine, tornelli per accedere, controlli asfissianti e gincane per acquistare un biglietto (anche se a causa dell’emergenza Covid la vendita è stata aperta solo online durante la settimana). Certo, il periodo storico non è dei più distesi tra certificati verdi e restrizioni ancora pesantemente in essere ma il ritorno sulle gradinate dà almeno quella illusoria sembianza di ritrovata normalità, sebbene la strada sembri ancora lunga e assai tortuosa.

Degna avversaria di giornata è il Corato, club che vanta una certa tradizione nel calcio regionale pugliese e che – come spesso accade a queste latitudini – rappresenta un paesone di quarantasettemila anime posto a cinquanta chilometri da Bari. Se spesso le persone rimangono basite per la mia concezione di distanze e grandezza essendo abituato a quelle di Roma, io mi stupisco quando al contrario sono “semplici” posti di provincia a esser diverse volte più vasti e caotici dei tutto sommato piccoli capoluoghi del Lazio. Peraltro i neroverdi evocano ricordi tutt’altro che dolci ai tifosi di casa: furono proprio loro, lo scorso giugno, ad estromettere il Barletta dai playoff sbancando Canosa per 1-2 nella semifinale.

Quando faccio il mio ingresso in campo manca una mezz’ora al fischio d’inizio e sulle due tribune del piccolo impianto canosino si registra davvero un bel colpo d’occhio, con una folta rappresentanza ospite capeggiata da una cinquantina di ragazzi che già rumoreggiano dietro le proprie pezze e allo striscione Corato Lotta appeso sulla recinzione.

Che per il Barletta sia una delle partite più importanti degli ultimi anni lo si capisce dai dettagli con cui la società ha preparato questa gara. Tanti bambini in campo per organizzare l’ingresso delle due squadre e la presenza di un nome che da queste parti fa sempre un certo effetto: Roberto Scarnecchia. In biancorosso dal 1986 al 1988 l’ex Roma e Milan contribuì in maniera decisiva alla promozione dalla C1 alla B e alla prima salvezza fra i cadetti, oltre ad essere – assieme ad Evaristo Beccalossi – sicuramente il giocatore più “famoso” che abbia finora vestito la maglia dei pugliesi (il che non vuol dire che in quel periodo storico sia stato necessariamente il più forte, lo dico per i puntigliosi). L’accoglienza è ovviamente consona, quasi a donare a tutti i presenti un piccolo e dolce respiro di quel quadriennio d’oro succitato.

Alle 14:30 le due squadre sono schierate a centrocampo e al fischio del direttore di gara si aprono le danze. Come anticipato i coratini si compattano in buon numero e devo dire che saranno artefici davvero di una gran bella prestazione. Praticamente mai un minuto di silenzio, tante manate, bandiere tenute in alto e una sciarpata finale che suggella la loro prova. Ricordo che quando ho iniziare a solcare i campi da gioco in veste di fotografo ero sì affascinato dalle grandi e blasonate realtà ma cercavo sempre di scovare qualche tifoseria di nicchia, quelle che non tutti conoscono e che nel loro ambito sono comunque valide. Ora io non conosco a menadito la storia degli ultras neroverdi, so che da qualche anno bene o male hanno dato continuità al movimento cittadino e quanto visto oggi – effettivamente – non sembra per niente frutto del caso o della partita importante. Corato è inoltre uno storico feudo del tifo barese (non per niente una delle sezioni più in vista degli UCN portava proprio il nome di questo paese) e ciò è un’oggettiva e ulteriore difficoltà nel fare proseliti in queste categorie. Comunque promossi a pieni voti!

Per parlare dei tifosi di casa mi piace sottolineare la continuità di uno dei pochi gruppi storici ancora rimasti in piedi. Il Gruppo Erotico 1987 c’era nell’ultima partita di Scarnecchia disputata in biancorosso e c’è oggi al suo ritorno da ex giocatore. Questo per dare la misura di quanto tempo e quante generazioni siano passate sui gradoni al sostegno del Barletta. E quanto visto oggi credo sia solo la sintesi massima degli ultimi anni trascorsi tra delusioni e difficoltà ma senza mollare di un centimetro. La risposta del pubblico c’è stata e quella del tifo organizzato è stata ancor più esaustiva. Stretti nell’angolo della tribuna coperta gli ultras barlettani hanno dapprima esultato due volte al repentino 1-2 dei propri giocatori e poi galvanizzato l’ambiente dopo la rete subita dal Corato nella ripresa e la conseguente sofferenza che si è protratta ben oltre il 90′, con il liberatorio fischio finale. In mezzo una bella fumogenata iniziale, tanto colore con bandieroni e bandierine, cori tenuti con costanza e la tipica sciarpata su “Gente di mare”.

Complessivamente uno spot per il movimento ultras italiano. Ancora vivo e ardente in fatto di passione.

Finisce così con i festeggiamenti del Barletta. Dieci minuti buoni in cui giocatori e staff si portano sotto il settore cantando e saltando per l’importante successo ottenuto. Se è vero che il calcio è un’arma a doppio taglio e solo la matematica può mettere l’ultima parola sull’esito di un campionato, sarebbe stupido non dire che a tutti gli effetti questa può essere la stagione giusta per i biancorossi. Se, come sembra, con l’inizio del prossimo anno le autorità competenti riconsegneranno alla città il proprio stadio, la squadra avrà un’ulteriore arma e i tifosi, assieme al club, potranno e dovranno intraprendere un forte e importante discorso di aggregazione e appartenenza.

Con il calcio delle “grandi” divenuto ormai prodotto plastificato e sovente stucchevole, per molti è arrivato il tempo di riguardare verso le proprie origini e contribuire a far rimanere questo sport ciò che è sempre stato: una disciplina basilare, con ventidue giocatori in campo che cercano di segnare e il pubblico sugli spalti ad inveire, sognare ed esultare per una partita.

Lascio alle mie spalle Canosa con questa convinzione. Mentre la corta giornata novembrina muore tra le colline d’Apulia e le macchine tornano in fila verso Barletta. Qualcuno suona un clacson, qualcun altro tira fuori una sciarpetta malgrado l’aria sia diventata freddina. È la “malattia mentale” del tifoso. L’ultima locomotiva di tutto questo mondo che ci ha fatto innamorare.

Simone Meloni