Dopo diverse incertezze, cambi di sede e strampalate ipotesi (tra cui il San Sabino di Canosa alle ore 15) alla fine è lo stadio Poli di Molfetta a fare da teatro a questa finale di ritorno tra Barletta e Martina. L’inagibilità ormai settennale del Puttilli continua a recare danni incommensurabili ai tifosi biancorossi, che anche questa sera con uno striscione hanno richiesto a gran voce di riavere la propria casa.

L’Eccellenza Pugliese è un campionato tutt’altro che fluido e semplice. Basti pensare che malgrado sia costituito da due gironi, una sola squadra riuscirà a salire in Serie D, per di più in seguito a uno spareggio tra le due prime classificate. Da queste parti, quindi, non bisogna vincere, ma stravincere per assicurarsi un posto nel massimo campionato dilettantistico. E la seconda possibilità offerta dalla coppa non è certo più semplice: la vincente di questa sfida accederà alle fasi nazionali, dove si troverà ovviamente al cospetto altre compagini organizzate e toste provenienti dall’intero Stivale.

Ora, nessuno dice che il salto di categoria debba essere “regalato”, ma permettetemi di esprimere qualche dubbio sulla formula del torneo. Il Comitato Regionale pugliese, in rappresentanza di una delle aree calcistiche più grandi d’Italia, dovrebbe certamente lavorare sodo per avere i numeri atti a chiedere la seconda promozione. Soprattutto in un contesto storico come il nostro, dove sempre più nobili decadute finiscono per ripartire dai bassifondi calcistici, investendo e gettando importanti basi per la ripartenza. E comunque resta personalmente difficile sposare la filosofia per cui neanche la vittoria finale di un campionato porti al salto di categoria. Paradosso dei paradossi: con 70 punti conseguiti si rischia di gettare alle ortiche investimenti sportivi, economici e programmatici.

Espresso quanto sopra, la sede di Molfetta non crea di certo problemi all’affluenza, se non quelli relativi alla richiesta di ulteriori tagliandi. I barlettani – abituati ormai all’eterna trasferta casalinga di Canosa – si sobbarcano gli ennesimi sessanta chilometri a/r spostandosi in massa al Poli. E anche su fronte martinese vanno praticamente polverizzati i 251 biglietti messi a disposizione. La cornice di pubblico, come all’andata, è di quelle importanti e l’impianto molfettese indossa l’abito da festa, con la sua romantica posizione (proprio in riva al mare) che regala un tocco di magia. Oltre all’immancabile vento gelido dell’Adriatico ovviamente.

Le luci dello stadio si scorgono già dal vecchio e grazioso centro storico, con il lungomare che in pochi minuti mi porta a ridosso dei cancelli. Lo spiegamento di forze dell’ordine è a dir poco impressionante. Diverse telecamere riprendono ogni movimento dei tifosi, mentre gli steward controllano meticolosamente biglietti e documenti. Come sempre tutto troppo eccessivo. Posso comprendere il voler garantire l’ordine pubblico per un evento con migliaia di spettatori, ma tra le due tifoserie non esiste chissà quale rivalità e questa psicosi da sicurezza sembra piuttosto voler celare un modo tutto italiano (e tutto distorto) di gestire i grandi eventi. Il tipico modus operandi in cui l’accensione di un’innocua torcia viene punito pesantemente mentre la pericolosa calca agli ingressi o le evitabili scaramucce in tribuna coperta non vengono né evitate a priori e né affrontate con la stessa rigidità. Insomma, tutto lasciato un po’ al caso. Semmai l’importante è far trapelare nei giorni successivi il pugno duro di Questure e Commissariati con Daspo e denunce pesanti da sbattere sulle prime pagine dei giornali locali. Alla faccia del detto “prevenire è meglio che curare”.

Varcato l’ingresso ritrovo la cara e vecchia pista d’atletica, sempre amica di chiunque voglia scattare le tifoserie. I barlettani occupano per intero la gradinata generalmente destinata agli ultras del Molfetta e anche buona parte del settorino adiacente

e cominciano a farsi sentire già prima del fischio d’inizio. Il bello di queste finali è la miriade di gente in campo: fotografi, addetti ai lavori, raccattapalle, inservienti vari. È bello perché questo miscuglio umano riporta un po’ tutto a due anni fa, prima che le nostre vite fossero stravolte dalla pandemia. Anche in tal caso potrei parlare di tipico disordine italico, ma di quello simpatico, che genera allegria e strappa un sorriso nel vedere il commissario di campo paonazzo riprendere questo o quell’altro personaggio che dovrebbe essere in tutt’altro luogo.

Quando le squadre rientrano negli spogliatoi e il calcio d’avvio si avvicina, gli ultras biancorossi cominciano a preparare la loro scenografia, che qualche minuto dopo si materializza: tantissime striscette bianche e rosse simulano una sciarpata colorando il settore e facendo da preludio all’accensione di diversi fumogeni. Semplice, senza troppi fronzoli ed efficace. Alla vecchia maniera! La pirotecnica sarà una graditissima ospite in questa serata e la cosa non può che inebriare le mie narici. Nel frattempo dietro la gradinata vedo arrivare i pullman degli ultras di Martina, con i ragazzi biancazzurri che faranno il loro ingresso a partita iniziata, completando alla grande lo scenario della serata.

Come accade in questi casi, la miccia della finale ha riacceso l’entusiasmo anche in tanta gente che in seguito al declino sportivo del Barletta si era allontanata dagli spalti. Non sta a me parlare o giudicare i cosiddetti occasionali, ma mi limito a dire che queste sono le serate giuste per riportarli allo stadio e forgiarli per il futuro. La passione c’è e arde, anche se per qualcuno può esser rimasta accantonata. Lo si capisce dalle facce e dalla rabbia con cui quasi tutto il settore tifa per l’intera gara. Mettendoci il cuore ed esultando prima per i gol e poi per la vittoria finale. Inoltre, proprio da un punto di vista prettamente curvaiolo: torce, fumogeni, manate compatte e una sciarpata davvero ottima nel secondo tempo. Insomma sembrava di esser tornati indietro di qualche anno. Anzi, mi piace pensare che giornate così possano fungere da viatico per i tempi che verranno. E non mi si dica che è tutto facile perché si trattava di un’occasione di gala come può essere una finale. Per le ragioni esposte all’inizio di questo articolo è facilmente intuibile come sia una finale soltanto sulla carta e se la coppa assegnata ha una valenza importante a livello emotivo e di palmarès, un po’ meno ce l’ha in senso strettamente sportivo. Non assegna una promozione, né un qualcosa che le si avvicini. Da segnalare, tra le fila biancorosse, la presenza dei gemellati di Andria.

Un discorso simile va chiaramente fatto per i ragazzi al seguito del Martina. Sono realtà diverse, ma il cospicuo contingente giunto dalla Val d’Itria ha dato grande prova di attaccamento, tifando persino durante la premiazione e oltre, a sconfitta ormai sancita. Tante bandierine, una sciarpata fitta e torce anche per loro. Da alcune sciarpe granata mi è sembrato di intuire la presenza dei neretini, ma non avendo visto pezze non posso dirlo con certezza. Unica cosa su cui mi sento di fare un appunto è l’assenza di striscioni (salvo quello di carta tenuto nel primo tempo). Un peccato dal punto di vista del colore.

Come accennato in campo è il Barletta a spuntarla, battendo i dirimpettai per 2-1 grazie al doppio vantaggio nel primo tempo e alla ferrea resistenza all’assalto martinese nella ripresa. Susseguirsi di emozioni che hanno reso anche la partita molto interessante e viva, a differenza del match d’andata terminato con uno scialbo 0-0.

Al triplice fischio scatta la festa barlettana, con i giocatori che sostano lungamente sotto il settore, consegnando come di consueto, tra le mani dei tifosi, la coppa appena conquistata. La trance agonistica non sembra svanire tra i dirigenti ospiti, che parlottano lungamente con la quaterna arbitrale, contestando alcune decisioni a loro dire ingiuste. Quando abbandono il terreno di gioco gli ultras di ambo le squadre sono ancora al loro posto: chi ad acclamare la squadra vincente, chi ad urlare tutto il proprio orgoglio di appartenenza, ringraziando comunque per la finale raggiunta e per un campionato che vede il Martina saldamente al comando del proprio girone.

È tempo di tornare a casa. Con un’altra esperienza da raccontare e con la mente già pronta alla prossima puntata di questa magnifica storia di amore, aggregazione e passione che il movimento ultras riesce ancora a raccontare in alcune occasioni. Ad maiora!

Simone Meloni