Francamente non ricordo più quando è stata l’ultima volta che ho preso un aereo direttamente da Roma. Ma tutto sommato la cosa mi galvanizza, oltre a permettermi di conoscere i più disparati aeroporti d’Italia. Stavolta è il Raffaello Sanzio di Ancona ad “ospitarmi”. Dopo le ormai canoniche quattro ore di treno, si parte alla volta di Düsseldorf. Con il piccolo ma non irrilevante particolare che una volta giunto su suolo teutonico, più precisamente nell’amena località di Weeze, Düsseldorf è distante circa ottanta chilometri. E per raggiungerla serva un’altra ora di treno. Il moto perpetuo dei viaggi al seguito del calcio è ormai entrato appieno nei miei ritmi. E mi dà l’opportunità di vedere il mondo che mi circonda con uno spirito sempre pregno di ironia, ma anche di pazienza e consapevolezza di quanto sia importante sapersi adattare alle situazioni e alle difficoltà. Tanto che, sapete cosa vi dico? Se un giorno diventassi milionario probabilmente continuerei nell’elaborare i miei arzigogolati percorsi, giusto per dire di avercela fatta!
Il ritorno della semifinale di Europa League ha portato tra Leverkusen, Colonia e Düsseldorf un ingente numero di tifosi romanisti. Oltre ai 1.750 che hanno acquistato il tagliando, c’è ovviamente tutto uno stuolo di supporter speranzosi di trovarlo o entrare in qualche modo. Il cammino europeo della Roma ha giocoforza riscaldato la passione di una piazza che sogna, malgrado la difficoltà dell’obiettivo finale. Il gol con cui Bove ha regolato i rossoneri all’andata è una garanzia troppo flebile, ma importante per far vedere a un popolo intero lo skyline di Budapest, almeno da lontano. Tutti vorrebbero esserci e tutti vorrebbero dare un pizzico di sostegno all’undici in campo, per portarlo in quel gotha del calcio che a queste latitudini sembra generalmente inavvicinabile.
Dall’altra parte c’è un Bayer che – malgrado non abbia mai vinto un titolo nazionale – vanta una discreta tradizione europea, con una Coppa Uefa in bacheca e una finale di Champions League persa nel 2002 contro il Real Madrid (in molti ricorderanno il 2-1 realizzato magistralmente da Zinedine Zidane). Un club che ha cresciuto e fatto esplodere diversi talenti del calcio tedesco (Ulf Kirsten e Michael Ballack hanno costruito qui le proprie fortune, per citarne due) e che milita ininterrottamente in Bundesliga dal 1979.
La Werkself (squadra della fabbrica) ha una storia strettamente legata a quella della casa farmaceutica Bayer. Ma diversamente da quanto si possa pensare, il prefisso che precede il nome della città non è utilizzato solo per meri fini commerciali, ma per tenere in vita quella concezione aziendalista con cui il sodalizio venne fondato nel 1904, grazie all’impiegato Wilhelm Hauschild, abile nel raccogliere 170 firme dei suoi colleghi e richiedere alla direzione i fondi necessari. Quella che viene creata inizialmente, a dire il vero, è una vera e propria polisportiva, dai colori gialloblu. Solo nel 1928 la sezione calcistica si stacca, sotto il nome di Sportvereinigung Bayer 04 Leverkusen, adottando i colori impressi sul gonfalone cittadino.
Leverkusen non è esattamente quella che può definirsi una bella città (non me ne voglia nessuno). Situata nella Renania Settentrionale e celebre per le sue industrie, conta circa 130.000 abitanti e i suoi natali risalgano al 1930, quando diversi borghi (partendo dal più grande e importante, Wiesdorf) e villaggi della zona vennero uniti, in maniera da formare una vera e propria comunità che all’epoca cresceva e si sviluppava attorno al suo fiorente indotto industriale. Indotto che, durante la Seconda Guerra Mondiale, costò diversi bombardamenti all’intera zona, con la Bayer – all’epoca impegnata principalmente nella lavorazione chimica – tra gli obiettivi principali.
Curiosità: il nome deriva dal chimico Carl Leverkus, che sul finire del XIX secolo scelse Wiesdorf come sede per la sua fabbrica di coloranti. La stessa venne rilevata nel 1912 dalla Bayer, che allargò la propria produzione finendo per divenire lo stabilimento chimico principale del Paese. Ecco, diciamo che per capire un po’ la strana conformazione di questa città (qualche via e qualche chiesa letteralmente assorbite da una sorta di bosco, dove peraltro risalta anche lo stadio) è assolutamente necessario conoscerne minimamente la giovane storia. Che sebbene non faccia vanto di chissà quale scrigno culturale, ci restituisce un’immagine importante di questa zona della Germania, che ha sempre rappresentato un punto fondamentale per l’economia nazionale. E in cui, forse non casualmente, hanno sempre spiccato club con una grande tradizione e una notevole sequela di successi. Dal Borussia Dortmund allo Schalke, passando per il Colonia e il Bayer stesso. Ma a pensare in quanti pochi chilometri sussistano queste realtà (Colonia dista dieci chilometri da Leverkusen, Düsseldorf trentacinque, Dortmund e Gelsenkirchen un’ottantina), sorprende constatare come anche altri club abbiano militato diversi anni in Bundesliga, con discrete fortune. Dal Duisburg, al Bochum e al Borussia Monchengladbach.
Il bello della Germania è che difficilmente si avverte pressione da parte della polizia, malgrado la sua presenza sia netta e percepibile. C’è una concezione particolare di libertà e aggregazione, cosa che devo ammettere è propria soprattutto dei Paesi germanofoni e scandinavi. Una linea di demarcazione tra controllo sociale (che ovviamente esiste anche qua) e bieca repressione, molto più diffusa nel mondo latino, così come nei luoghi meno sviluppati. Il modello tedesco – che magari non sarà perfetto, del resto la perfezione non esiste – è quello che ti permette di comprare un biglietto per il settore ospiti di una semifinale di Europa League spendendo la modica cifra di 15 Euro (fate voi le dovute proporzioni con i prezzi italiani e, soprattutto, con il nostro potere d’acquisto), ma anche quello che ormai da anni si basa su un dialogo costruttivo con tutte le parti chiamate in causa e non si limita a vietare trasferte, striscioni, tamburi e megafoni. La grande differenza culturale sta tutta là: c’è chi reprime e utilizza la rappresaglia pure quando potrebbe abbassare il tiro e porre fine a inutili e pretestuose tensioni e chi, invece, sfrutta i propri mezzi per tenere sotto controllo gli stadi ma, al contempo, permettere che lo spettacolo del tifo e delle trasferte non venga scalfito.
Attenzione: non è tutto oro ciò che luccica e potrebbe sembrare sin troppo facile, da par mio, incensare un Paese che non vivo quotidianamente. Mi limito a giudicare sulla scorta delle mie esperienze e di quello che vedo all’interno di questi stadi (ma per certi versi anche di quelli austriaci e svizzeri). E per quanto non so se ce la farei a vivere per un tempo prolungato in Germania, non posso negare che su determinate tematiche sia un mondo avanti anni luce rispetto al nostro. Potremmo esulare anche dal discorso calcistico, pensando a quanta attenzione ci sia nel campo del trasporto pubblico (a proposito, come sempre i titolari di biglietti per il match anche oggi hanno diritto a raggiungere lo stadio gratuitamente, direttamente con le efficientissime S-Bahn): reti metropolitane e di treni che arrivano praticamente ovunque e con cadenze quasi spaventose.
Tornando al pre partita: con il passare delle ore sempre più romanisti si appropinquano attorno alla BayArena, sorseggiando birre e scandendo cori di tanto in tanto. Ma non trovando, tuttavia, nessuna ostilità da parte dei locali. Diciamolo pure, i ragazzi della Nord Kurve non sono certo famosi per la loro aggressività, sebbene – lo ripeto per l’ennesima volta – a livello di tifo sanno il fatto loro. E anche in questa serata lo confermeranno.
Decido di entrato allo stadio quando manca circa un’ora al fischio d’inizio. L’assenza totale di barriere mi permette di girare liberamente, in ogni settore della BayArena. Edificato nel 1958 con il nome di Ulrich-Haberland-Stadion, questo impianto ha visto varie modifiche nella sua storia. Ultima quella del 2009, dove si è portata la capienza a 30.210, si è ultimata la copertura e si sono installate diverse attività commerciali nella sua “pancia”. Non sono un fan degli stadi moderni, ma almeno qua – anche grazie ai vari murales della tifoserie organizzata – resta un po’ l’idea di un luogo animato. E non di una fredda cattedrale.
Durante il riscaldamento il settore ospiti comincia a farsi sentire, nel tentativo di trasmettere a una Roma ancora rimaneggiata, tutta la propria fiducia e la propria forza. Gli ultras di casa sono invece impegnati a organizzare la coreografia, che da lì a poco prenderà forma: una serie di cartoncini ricopre la curva e la tribuna, con una navicella spaziale che sovrasta il nome del club e la scritta “Let’s reach for the stars” (“Raggiungiamo le stelle”) che campeggia sulla vetrata della Nord Kurve. Davvero ben riuscita e neanche troppo “pretenziosa e computerizzata” per essere fatta da una curva teutonica. Ecco, se c’è un qualcosa che non mi fa impazzire delle tifoserie tedesche, ad esempio, è la moda lanciata e ormai ampiamente arrivata anche in Italia, di dover realizzare per forza coreografie con disegni mastodontici e perfetti al millimetro (cosa che da noi, a dire il vero, non sempre riesce). Capisco lo spirito con cui vengono eseguite qui, in Italia penso che sovente siano un po’ forzate.
Tra i romanisti, invece, oltre alle sciarpe si fa largo una discreta quantità di torce e fumogeni. Sempre un bel vedere, soprattutto in campo internazionale. Ma del resto quella per la liberalizzazione della pirotecnica è una battaglia che in questa parte d’Europa è stata intrapresa ormai da tempo. Emblematica e non casuale è la magnifica torciata eseguita dai tifosi del Bayer a inizio secondo tempo. Una “pioggia di fuoco”, che per qualche minuto illumina letteralmente il loro settore.
Oltre alla pirotecnica, comunque, gli ultras di casa danno vita a una buona prova. Tanta voce, mani sempre in alto e un paio di sciarpate. Una buona tifoseria, cresciuta negli ultimi anni senza dubbio. In diverse occasioni anche le tribune vengono coinvolte e, in particolar modo, di queste apprezzerò la poca sportività. Con più di qualche improperio (e qualche bottiglietta, sic!) lanciata all’indirizzo dei giocatori avversari, intenti a effettuare le rimesse laterali. Un nervosismo che monta con il passare dei minuti e l’inefficacia degli attacchi tedeschi, che non portano la squadra di Xabi Alonso al gol, consegnando minuto dopo minuto la finale alla Roma.
E i romanisti? Tra loro regna ovviamente un clima liturgico, quasi ancestrale. Tutti sanno che un traguardo storico come la finale è a un passo, ma nessuno vuol pensarci. E si preferisce tifare. Bene, a tratti molto bene, nel primo tempo. Con i classici cavalli di battaglia che coinvolgono tutti. Il sostegno si affievolisce poi nella parte centrale del secondo tempo, quando il Bayer si getta a capofitto nella metà campo avversaria e tra i capitolini serpeggia un micidiale mix di ansia, paura e adrenalina. Gran voce negli ultimi minuti (otto di recupero) quando la Puskas Arena assume contorni reali e, dopo il triplice fischio, arriva la certezza di rigiocare una finale di Coppa UEFA/Europa League a trentadue anni di distanza dall’ultima volta. E se è vero – come è vero – che arrivarci vicino “conta solo a bocce” e ciò che resta negli annali sono i vincitori e non i secondi, la cavalcata fino all’ultimo atto di questa competizione è comunque un qualcosa in grado di far sognare una tifoseria. Tasselli per cui ogni appassionato di calcio vive per rimpolpare il proprio mosaico emozionale.
E mentre le due squadre, malgrado gli umori differenti, vanno a prendersi l’applauso dei propri seguaci, lo speaker in un italiano incerto invita i romanisti ad abbandonare il settore per prendere l’ultimo treno disponibile per tornare a Colonia (un po’ come succede a Roma, insomma, dove la metro viene chiusa proprio in occasione delle partite!). C’è ovviamente soddisfazione nel serpentone giallorosso che lentamente lascia la BayArena, ma non c’è neanche il tempo di godersi il passaggio del turno che già l’argomento principe diventa la modalità di acquisto per il biglietto della finale, nonché come raggiungere la Capitale ungherese, con voli che già hanno prezzi ampiamente gonfiati.
Alla stazione di Leverkusen Mitte la banchina è nera di gente. Decine di bottiglie vuote di birra Kölsch – un’istituzione da queste parti – giacciono abbandonate in un lato. Il treno, che dev’essere uno dei vecchi Espressi tedeschi, arriva con un incedere lento. Quasi a fare un favore. Si distinguono ancora cori e canti delle due tifoserie all’interno del convoglio, mentre Colonia – qualche minuto più tardi – sembra un qualsiasi quartiere romano in un sabato sera.
Il mondo, in questa serata, si è così rigirato che nel cielo di Germania brillano le stelle e la temperatura è mite, mentre in Italia, diversi chilometri più a Sud, Giove Pluvio non sembra dare tregua. Momenti che verranno ricordati anche per i piccoli particolari, anche per i passaggi della storia e delle sue singolarità. Giornate che si potranno tramandare, perché uniche nella vita vissuta dei presenti.
Simone Meloni