La quattordicesima giornata di ritorno del girone meridionale della Serie C propone l’interessante sfida Benevento-Monopoli. Le due squadre sono in lotta per obiettivi diversi: i giallorossi per la promozione in B, i biancoverdi per la salvezza. La gara del “Vigorito” si disputa alle ore 14:00. Torno, dunque, nel Sannio a distanza di due settimane dalla partita Benevento-Messina per vedere il bellissimo impianto beneventano anche con la luce diurna. In questa occasione, inoltre, posso concedermi un giretto nel centro storico della città, visto che la volta precedente ero arrivato a Benevento a ridosso del fischio d’inizio, avendo assistito, nello stesso pomeriggio, anche al match di Serie D Campobasso-Avezzano.

Sono le 11:00 del mattino di un sabato di fine marzo parzialmente nuvoloso quando arrivo nel capoluogo sannita. Mancano tre ore all’inizio della partita, quindi ho un buon margine di tempo per una bella passeggiata culturale nel cuore di una città che, nel corso della sua lunga storia, ha sempre avuto una grande importanza, trovandosi in una posizione strategica tra la Campania, il Molise e la Puglia.

Il mio giro inizia in Via del Pomerio, dove ammiro subito uno degli archi di trionfo più belli e maestosi dell’intero mondo romano: l’Arco di Traiano, eretto nel 114 d.C. in onore del conquistatore della Dacia, durante il cui principato venne inaugurato un nuovo ramo dell’Appia, detto Via Traiana, che iniziava proprio a Beneventum e raggiungeva Brundisium passando per il litorale adriatico, in alternativa a quello originario che toccava, invece, Venusia (Venosa) e Tarentum (Taranto). Questo grandioso monumento è la rappresentazione plastica dell’importanza storica e artistica di Benevento, la cui origine è attribuita dalle antiche leggende a Diomede.

Maleventum (si tratta del nome originario della città, dalla parola osca Malies) entra prepotentemente nella storia al tempo delle Guerre sannitiche, uno scontro, scandito in tre fasi, che vide i Romani contrapposti ai Sanniti dal 343 al 293 a.C., prima della pace stipulata nel 290 a.C., che sancì la sottomissione a Roma dell’Italia appenninica. Ce ne parlano lo storico latino Tito Livio e il greco Appiano di Alessandria.

Qualche anno dopo, proprio in prossimità del centro alla confluenza dei fiumi Sabato e Calore, si svolse una delle battaglie più famose del mondo antico, che mise fine alla Guerra tarantina: nel 275 a.C. i Romani vi sconfissero Pirro, il re dell’Epiro, sbarcato in Italia per portare il proprio sostegno militare ai Tarantini in lotta con Roma. Dopo questo episodio Maleventum fu trasformata, nel 268 a.C., in colonia di diritto latino e prese il nome di Beneventum, con il quale i Romani vollero celebrare, appunto, il bonus eventus di qualche anno prima. A Benevento furono trasferiti, dall’Urbe, circa 2000 cives, obbligati a rinunciare alla cittadinanza romana in cambio di un lotto di terreno. Da questo momento la città sannita rimase sempre fedele a Roma, anche durante la spedizione in Italia di Annibale, il generale cartaginese nemico di Roma, quando nei pressi di Benevento si combatterono altre due importanti battaglie nell’ambito delle Guerre puniche.

Il momento tanto agognato dagli abitanti di Beneventum, quello dell’acquisizione della cittadinanza romana, arrivò soltanto nel I secolo a.C.: al termine della Guerra sociale (90-88 a.C.) Benevento fu finalmente trasformata in municipium e i suoi abitanti furono iscritti alla tribù Stellantina.

Un nuovo mutamento istituzionale era però alle porte: nel 42 a.C. i triumviri Ottaviano, Lepido e Marco Antonio, nel quadro degli scontri militari con i cesaricidi, installarono a Benevento una colonia di veterani e la città divenne Colonia Iulia Concordia Augusta Felix Beneventum, che nel nuovo ordinamento territoriale di Augusto fu inserita nei confini della Regio II Apulia et Calabria. La città fu dotata di magazzini, luoghi di culto, terme, ponti e di un meraviglioso teatro (II d.C.), presente nella galleria fotografica che accompagna questo testo.

Dopo aver ammirato l’Arco di Traiano prendo Corso Garibaldi e arrivo a Piazza Papiniano, dove osservo un bellissimo obelisco, con geroglifici egizi, proveniente da un tempio del periodo domizianeo (I sec. d.C.) dedicato a Iside. In questo settore della città si possono vedere i monumenti più importanti, che non si riferiscono solo al periodo romano, ma anche a quello medievale e moderno. L’importanza di Benevento crebbe ulteriormente proprio nel Medioevo. Dopo la Guerra greco-gotica, con la discesa dei Longobardi in Italia la storia della città conobbe una svolta decisiva: nel 571 Benevento divenne capitale dell’omonimo Ducato, nel quale era compresa quasi tutta l’Italia meridionale dal Tirreno all’Adriatico, a eccezione delle terre rimaste ai Bizantini.

Nel 774, dopo la caduta del Regno dei Longobardi del Nord di fronte alle armate dei Franchi, il territorio beneventano fu trasformato in Principato: il duca Arechi II fu nominato princeps gentis Langobardorum. Per Benevento iniziò un periodo di grande splendore, testimoniato dal Duomo (cattedrale metropolitana di Santa Maria de Episcopio) e, soprattutto, dalla bellissima chiesa di Santa Sofia, che divenne il luogo di culto nazionale del popolo longobardo. La sua dedica alla Santa Sapienza (Haghia Sophia) fu ispirata, probabilmente, dal grande storico Paolo Diacono (autore della Historia Langobardorum), a somiglianza dell’omonima basilica giustinianea di Costantinopoli, la capitale dell’Impero bizantino.

Benevento eccelleva non solo nell’arte, ma anche nella letteratura: a un autore del XII secolo, Falcone, si deve la stesura del Chronicon Beneventanum, un’importante fonte sulla storia dell’Italia meridionale nel Medioevo. Benevento, inoltre, diede i natali a Desiderio, il grande abate di Montecassino che divenne papa con il nome di Vittore III. In questo periodo fu perfezionata, a Benevento, una scrittura, detta beneventana, con la quale furono realizzati codici manoscritti di grande rilevanza, come il Vaticano latino 3313, contenente le Institutiones grammaticae dell’autore classico Prisciano, o il Vaticano latino 3317, con il commento di Servio alle Bucoliche e alle Georgiche di Virgilio.

Nel Medioevo Benevento fu l’unica città dell’Italia meridionale a tentare un’esperienza comunale, con la Communitas prima del 1015 e con la Coniuratio secunda del 1041. Nel 1077 avvenne un altro episodio importantissimo, che determinò l’allontanamento di Benevento dai destini del resto dell’Italia meridionale (e così sarebbe stato fino al Risorgimento): dopo una prima dichiarazione di fedeltà nel 1051, i beneventani si sottomisero definitivamente alla Signoria della Chiesa, che interruppe il dominio longobardo. La Chiesa avrebbe retto Benevento fino al 1860, esercitando il proprio potere dapprima tramite rettori (la cui sede era l’omonima Rocca eretta nel 1338, ovviamente visibile nelle foto allegate al testo), poi con governatori, infine con delegati. I beneventani, comunque, godettero sempre di ampia autonomia, come sancito da uno statuto del 1202, che istituiva le figure dei consoli. Benevento, insomma, era una vera e propria isola pontificia nel Regno di Napoli.

La città, di conseguenza, fu assediata più volte dai sovrani partenopei: dapprima da Federico II, poi da Manfredi, quindi da Alfonso I d’Aragona e Carlo V d’Asburgo, infine da Ferdinando IV, nel Settecento. Manfredi, in particolare, la tenne dal 1258 al 1266, l’anno in cui, proprio a Benevento, l’esercito svevo (ghibellino) fu sconfitto dagli angioini (guelfi), scesi nell’Italia meridionale su invito del papa, acerrimo nemico della casata imperiale. La battaglia di Benevento del 1266, come quella del 275 a.C. tra i Romani e Pirro, è presente in ogni manuale scolastico ed è ricordata da Dante nel canto III del Purgatorio, nel quale il poeta fiorentino immagina di incontrare Manfredi nell’Antipurgatorio, tra i morti scomunicati.

Nella Benevento longobarda iniziò a diffondersi, soprattutto in ambito agreste, la leggenda delle famose streghe: secondo i racconti popolari le Janare si ritrovavano sulle sponde del Sabato, danzando e recitando incantesimi intorno a un albero di noce, il Noce di Benevento. Le streghe, al tempo della Controriforma cattolica (XVI e XVII secolo) furono oggetto di una spietata caccia da parte del Tribunale dell’Inquisizione, che ne condannò moltissime al rogo come eretiche.

Nell’Ottocento gli ideali liberali si diffusero pure a Benevento e nel 1799 l’albero della libertà fu piantato anche nella città sannita, che poi, nel 1806, Napoleone Bonaparte trasformò in Principato. Dopo il Congresso di Vienna, che diede inizio alla Restaurazione, la città tornò alla Chiesa e fu restituita a Pio VII, ma ormai le lancette dell’orologio non potevano più essere portate indietro: dopo varie rivolte, tra cui quella carbonara del 1820-21, nel 1860 i beneventani, tramite un plebiscito, decretarono l’annessione della propria città al Regno d’Italia di Vittorio Emanuele II; nel 1861, infine, Benevento divenne capoluogo di provincia.

Dopo aver soddisfatto tutte le mie curiosità archeologiche, artistiche e storiche con una passeggiata molto appagante, decido quindi di avviarmi allo stadio, visto che il calcio d’inizio della partita è sempre più vicino. Parcheggiata l’auto raggiungo la tribuna centrale e ritiro il pass, poi metto piede sul manto verde. Questo è un momento che mi regala sempre grandi emozioni, tanto più in un impianto bellissimo come il “Vigorito”, che ha ospitato la Serie A.

Lancio immediatamente un’occhiata alle tribune: i settori casalinghi offrono un’ottima cornice di pubblico, pronti a sostenere un Benevento ancora in lotta per il primo posto, essendo distanziato di soli sei punti dalla capolista Juve Stabia, con lo scontro diretto in programma tra due settimane. Gli spettatori totali risulteranno 5190, di cui un’ottantina dalla Puglia.

Quando l’orologio segna le 14:00 nel settore ospiti sono presenti soltanto alcuni semplici spettatori, per cui rivolgo la mia attenzione alla curva di casa, che offre un bellissimo colpo d’occhio. Le insegne dei vari gruppi sono ai loro posti e i bandieroni colorano il settore. I beneventani iniziano a tifare con il classico “Giallorossa è la maglia”, poi passano a un “Conquista la vittoria” tenuto per diversi minuti e ritmato dal tamburo. Verso il 12’ espongono un messaggio di auguri per un loro amico, poi intonano un “Noi vogliamo questa vittoria” a rispondere. Al 17’ entrano nel settore ospiti i ragazzi di Monopoli, che sistemano le loro bellissime pezze e iniziano a sventolare un bandierone e una bandierina. Ora lo stadio è al completo e posso godermi questa bellissima sfida.

I monopolitani si compattano benissimo, effettuano tantissimi battimani e alternano cori prolungati e secchi. Anche quando punto l’obiettivo verso la Sud ho l’opportunità di fotografare delle manate molto suggestive. I pugliesi omaggiano i diffidati e chiedono alla squadra tre punti fondamentali per la salvezza. Spesso nei cori fanno riferimento al Gabbiano, il loro simbolo. I sanniti, dall’altro, attingono alla tradizione, come quando cantano “Lo stregone segnerà, tutta la curva lo canterà, bisogna vincere, siamo venuti per vincere”, che coinvolge i presenti in un bell’abbraccio.

Nella prima frazione il Benevento costruisce delle buone occasioni con Simonetti, che prima si vede annullare un gol al 17’, poi impegna Gelmi, l’estremo biancoverde. Il Monopoli replica con Grandolfo, Borello e De Riso, ma nessuna delle due squadre riesce a gonfiare la rete e la prima frazione si conclude con uno 0-0.

Quando il signor Madonia di Palermo dà inizio alla ripresa le due tifoserie ricominciano subito a tifare. I beneventani ripartono con un “Vogliamo vincere”, mentre “Insieme a noi puoi restare in C” è il coro con cui gli adriatici spronano i propri undici. Il tifo delle due tifoserie è costante come nella prima frazione e continuo a fotografare, sia nel settore ospiti che nella curva di casa, i bandieroni e le bandierine sempre in movimento. Ogni tanto sento anche qualche coro di sfottò degli ospiti verso i locali.

All’83’ il Monopoli passa in vantaggio: Tommasini risolve un’azione rocambolesca nell’area del Benevento, infilando la palla in rete e regalando ai propri tifosi una gioia immensa. Fino al triplice di fischio del direttore di gara il tabellino non conosce variazioni, così il Gabbiano porta a casa tre punti d’oro, mentre la Strega scivola a -9 dalla Juve Stabia, vittoriosa a Potenza contro il Sorrento.

Insieme alla partita finisce, purtroppo, anche la mia giornata nel Sannio e in questo stadio stupendo. Sistemo la mia fedele macchinetta nello zaino e guadagno l’uscita. Mi aspettano due ore e mezza alla guida, ma quando arrivo sulla soglia di casa è ancora giorno. Non vedo l’ora di rivedere le foto e mi metto subito al pc per rivivere tutti i bei momenti di questa giornata dal sapore primaverile.

Testo e foto di Andrea Calabrese