E’ la mattina successiva ai fatti di Parigi. Impossibile ignorare la cosa. Impossibile non rimanere basiti, oltre che storditi e schifati dalla mole di commenti inutili e pretestuosi che questo presunto “popolo di Facebook” vomita senza problema ogni minuto, mentre la metropolitana si dirige senza intoppi alla stazione. Decido di chiuderlo, almeno per oggi. Anche se le barriere montate a Termini, a mo’ di prefiltraggi, la dicono lunga su quello che Roma diverrà da qui a poco. Ci attendono anni di ulteriore psicosi e innalzamento di quel controllo sociale che già stringe mortalmente la mia città.

Passiamo alla cronaca, che in fondo mi fa distogliere per qualche ora da tutto il resto. Lascio la Capitale di buon’ora, per godermi un simpatico pre partita con l’amico Andrea, che come di consueto mi aspetta alla stazione di Casoria. L’incontro è di quelli sentiti, molti sportivi campani ricordano ancora diverse acredini tra le due tifoserie, nel recente passato, e il fatto che la Questura abbia dato l’ok per giocare nel piccolo impianto di Cardito, desta più di qualche sospetto. Si teme una trappola per i tifosi torresi, scomodi da gestire in una simile categoria a causa dei numeri che generalmente portano in trasferta.

Arrivando con lauto anticipo a Caivano, mi concedo un giro nel vecchio stadio “Faraone”, in disuso dal 2003, quando venne sequestrato in seguito ad alcune indagini che fecero rinvenire la presenza di un vero e proprio arsenale della camorra al di sotto del terreno di gioco. Scriverò un vero e proprio approfondimento in merito a una vicenda a tratti scabrosa, specchio fedele di come si realizzano alcuni algoritmi nel nostro dissestato Paese. Sta di fatto che personalmente ritengo sempre una sconfitta, per l’intero movimento calcistico, vedere una squadra giocare in una città che non è la sua. Seppur, va ricordato, Cardito e Caivano sono praticamente divise da un marciapiede e il “Papa” è lontano un tiro di schioppo dalla principale arteria stradale caivanese.

Quando manca un’oretta all’inizio del match comincio ad avvicinarmi alla porta carraia. Fuori lo stadio sono schierate numerose camionette dei carabinieri e diversi agenti in borghese presidiano il terreno di gioco. Un’aria del tutto diversa rispetto all’ultima volta che venni da queste parti. Era un Afragolese-Nola, segnato da pesanti scontri anche grazie alla totale impreparazione, mista a sottovalutazione dell’evento, delle forze dell’ordine. Evidentemente hanno imparato la lezione, e oggi l’aria che si respira è tutto fuorché spensierata.

Il manto del “Papa” è stato ammodernato e, al posto della nostalgica terra battuta, ha preso posto la più anonima e finta erba sintetica. Sugli spalti polizia e carabinieri sistemano diversi metri di nastro isolante in prossimità delle barriere che separano il settore, come se davvero credessero che in caso di tensioni esse possano contenere i tifosi. Particolare sicuramente pittoresco, che riassume al meglio un concetto molto diffuso in Italia: “Tutto per apparire, nulla per essere”.

Attendendo di accedere sul campo, spulcio al meglio i calendari e gli opuscoli affissi nella segreteria, incappando in quelli che pubblicizzano le gare della Boys Cardito, squadra dell’omonimo paese che attualmente ospita le gare della Caivanese e che fino allo scorso anno faceva altrettanto anche con l’Afragolese.  Ciò che da piccolo  mi affascinava di queste zone, e che ancora oggi mi incuriosisce davvero all’inverosimile, è proprio la concentrazione di decine di squadre in un fazzoletto di territorio. Ognuna con la sua storia e le sue tradizioni. E ovviamente quasi sempre nemiche tra loro. Anche se, è importante dirlo, quel clima di tensione elettrica, misto all’ambiente tetro che circondava gli stadi di queste latitudini, è andato un po’ scomparendo, mangiato da tutta la folle ed esagerata gestione dei tifosi degli ultimi anni.

“L’orologio batte l’una, tu sei fuori chissà dove…”, filosofeggiava il cioccolataio Gianni Morandi. Le lancette qua invece segnano le 14,20. Ed ecco spuntare dalla porticina del settore ospiti gli ultras savoiardi. Controllati a vista da agenti e steward, fanno il loro ingresso. I biglietti inviati dalla società gialloverde a Torre Annnziata sono 200, anche se i presenti oggi non supereranno, a mio avviso, le 150 unità. Un numero di tutto rispetto, sia ben chiaro, si parla sempre di Eccellenza e di una squadra che lo scorso anno giocava tra i professionisti. Senza contare il vergognoso comportamento di questure ed istituzioni che i tifosi oplontini hanno dovuto subire nelle ultime stagioni. Dalla chiusura del Giraud, alle trasferte vietate senza un evidente motivo (addirittura senza una rivalità esistente, mi viene da citare quella di Agrigento un paio di anni fa), alle diffide distribuite con il solo obiettivo di distruggere il movimento ultras cittadino. Il fatto di esserci, con i loro striscioni e i loro cori, è comunque una dimostrazione di come da queste parti il calcio sia seguito con una passione dura da sradicare e uccidere completamente.

Dall’altra parte la tribuna di casa registra quasi il tutto esaurito. E’ la prima gara, infatti, che la Caivanese gioca a porte aperte e, anche grazie all’ottimo campionato sinora disputato, la risposta del pubblico è più che buona. Spicca ovviamente lo striscione dei Boys ’01, storico gruppo al seguito della compagine locale. Anche per loro le vicissitudini da affrontare nel corso degli anni sono state tante. Il calcio a Caivano non è stato sempre sinonimo di successi, e i tifosi gialloverdi hanno dovuto aspettare e patire stagioni anonime e umilianti prima di tornare a seguire un campionato decente e di rango come l’Eccellenza. Logico che anche dal punto di vista ultras, si sia dovuto ricostruire mattone su mattone il seguito, e va dato atto ai Boys di non aver mai mollato.

Le squadre scendono in campo e le due tifoserie si compattano dietro ai propri vessilli. Sin da subito dico che per tutta la gara ci sarà assoluta indifferenza tra le opposte fazioni, nonostante la presenza di un manipolo ercolanese tra le fila casalinghe. Voglio anche sottolineare come, evidentemente, le due tifoserie abbiano voluto anteporre l’intelletto al campanile. Troppo grossa l’occasione che sarebbe stata regalata agli sceriffi di turno per: 1) chiudere il “Papa” per il resto della stagione; 2) vietare tutte le trasferte ai savoiardi e colpirli ancora maggiormente con sanzioni al limite della costituzionalità. Ormai conosciamo a memoria il copione di questure e prefettura. E allora, a volte, meglio azionare il cervello se si vuole sopravvivere.

Per quanto riguarda il tifo, buona la prestazione dei caivanesi. Seppur in numero nettamente inferiore rispetto ai dirimpettai, i ragazzi gialloverdi ce la mettono tutta alternando manate a cori a rispondere, sventolando sovente le loro bandierine e mantenendo sempre in alto un paio di bandieroni. Ovvia e giustificata l’esultanza e l’euforia al termine di una gara che li vede vittoriosi per 5-1 contro un avversario blasonato, permettendogli di continuare a sognare nelle zone alte della classifica.

Se sul campo la disfatta dei torresi è latente e senza appelli, sugli spalti i tifosi biancoscudati tengono in alto l’onore della propria tifoseria. Un sostegno praticamente senza soste, fatto di tanta voce, un tamburo e diverse bandiere sventolate. Cori eseguiti saltellando e sempre con la mani sopra la testa, oltre a un’intensità che non è calata neanche sul 5-0. Davvero impeccabili quest’oggi, è evidente come l’assenza di tifosi non ultras, evidenzi ed agevoli l’operato dei gruppi. La contestazione finale alla squadra è un qualcosa di annunciato, soprattutto dopo l’altro pesante ko subito, quello della scorsa settimana ad opera del Portici, vittorioso al Giraud per 4-1.

Finisce con le due squadre che riprendono la via degli spogliatoi con animi totalmente opposti. Per quanto mi riguarda non c’è molto tempo. Il mio treno infatti non aspetterà l’arrivo del sottoscritto. Sfruttando un gentile passaggio riesco a prenderlo e a tornare a Roma per un orario più che decente. Non ho problemi a dire che passare dai campi della Champions League a quelli dell’Eccellenza mi dà un senso di malcelata soddisfazione. Perché so che non solo non li rinnegherò mai, ma sono un elisir di lunga vita. Che ancora mi permettono di amare il calcio e il tifo.

Simone Meloni