Da tempo abbiamo esaurito gli aggettivi per definire ciò che è diventato -fin da subito- lo strumento di Stato più adatto a ricattare, a controllare, a discriminare, a punire, e -soprattutto- a perpetrare un abuso di potere sistematico: la tessera del tifoso.

Abbiamo terminato gli aggettivi, non certo gli argomenti di riflessione.

In primo luogo, a distanza di circa sette anni dalla sua introduzione, bisognerebbe avere il coraggio di ammettere una cosa: la tessera del tifoso è stata un fallimento totale e non garantisce alcun vantaggio sicuro (se non quello di poter fare in alcuni casi l’abbonamento a prezzi popolari, laddove naturalmente non ci sia la possibilità di fare il voucher).

Tutto quello che era stato millantato all’inizio della sua diffusione per invogliare i tifosi a sottoscriverla è rimasto infatti nelle intenzioni e nelle promesse di chi l’ha prima ideata, e poi spacciata quale soluzione di tutti i mali.

Stadi sempre più vuoti -settori ospiti compresi, nessun privilegio, nessuno sconto, nessuna corsia preferenziale, nessuna fidelizzazione vantaggiosa, e, dulcis in fundo, nessuna trasferta garantita, nemmeno in caso di gemellaggio fra le tifoserie (vedi Milan vs Brescia 2010/2011 e Cesena vs Brescia 2016/2017, solo per citare due esempi a noi cari).

Molto spesso infatti il concetto di “partita a rischio” è stato stravolto nel tentativo -quasi sempre riuscito- di “agevolare” divieti (atti a punire, sia chiaro, non certo a prevenire) e raccogliere consensi fra l’opinione pubblica.

Proprio per questo -e per molto altro ancora- vorremmo provare a far riflettere nuovamente chi ha sottoscritto la tessera del tifoso, e questo nell’interesse di tutti i cittadini italiani (non dimentichiamo: “Oggi per gli Ultras, domani per tutta la città!”).

In particolare, alla luce degli ultimi assurdi divieti che hanno colpito una parte consistente della nostra tifoseria, ci sorge spontanea una domanda: che senso ha continuare a sottoscrivere uno strumento tanto liberticida quanto iniquo, utile solamente agli interessi di chi ci vorrebbe docili e mansueti, non certo liberi e… contestatori?

Chiaramente, a questo punto della storia -e nonostante l’evidenza, nessuno ha una soluzione sicura per arginare certi soprusi.

Bisognerebbe chiedersi però fino a che punto si possa -e si debba- sopportare un tale, evidente e controproducente strumento di repressione.

Forse bisognerebbe prendere esempio dai tifosi della Roma (Ultras e non), che in meno di due stagioni sono riusciti a dimostrare sia la fondamentale importanza della tifoseria in ambito calcistico, sia l’assurdità e il rischio di giocare in uno stadio semivuoto, con conseguente dietrofront perfino della parte più “irriducibile” dei censori.

Probabilmente, la loro “guerra” non è ancora finita, ma la lotta che hanno intrapreso è servita quantomeno ad aprire gli occhi a molti (oltre che a far togliere le famigerate barriere in Curva), dimostrando oltretutto che non esistono battaglie perse, almeno sulla carta.

E ci sono riusciti grazie alla loro determinazione, alla loro coerenza, alla loro pazienza, alla loro capacità di sopportazione; soprattutto ci sono riusciti grazie alla loro “assenza forzata”, alla rinuncia cioè di un appuntamento fisso (almeno fino a qualche anno fa) e -a detta di tanti- inderogabile.

Un appuntamento che un tempo era comune a milioni di cittadini/tifosi italiani proprio perché scevro da interdizioni e leggi machiavelliche (oggi, purtroppo, come tutti sanno, non lo è più, nemmeno a chi ha sottoscritto la tessera del tifoso).

Da sempre ci ribelliamo alle presunte regole secondo cui un tifoso sia più o meno legato ai propri colori e meriti più o meno rispetto, a seconda del fatto che vada in trasferta a certe condizioni oppure no.

Ogni tifoseria, ogni gruppo organizzato, ogni settore merita rispetto per i sacrifici fatti e per l’attaccamento ai colori sociali, e questo al di là dei luoghi comuni, dei miti, della categoria, delle proprie scelte e del numero di appartenenti.

Proprio per tutto ciò, in questi ultimi anni abbiamo capito molto bene cosa significhi “violentarsi” e rinunciare alla propria passione (quantomeno a una parte fondamentale di essa).

E sebbene sia stato fatto per una buona e giusta causa, il vuoto che si è creato a seguito di certe scelte rischia spesso di farci sbandare e soccombere.

Proprio per questo, nonostante la forte rivalità, ci permettiamo di riconoscere e sottolineare il valore intrinseco e sociale di una scelta così difficile e sofferta come quella che hanno fatto i tifosi giallorossi.

Una scelta che applicata su larga scala potrebbe portare a una svolta clamorosa.

Naturalmente non ci illudiamo.

In ogni caso, il fatto di combattere la tessera del tifoso, l’Art.9 e i vari provvedimenti liberticidi attuati in questi ultimi anni non è più solo una questione di principio, di Giustizia, di Mentalità; non è più nemmeno una questione di chi aveva ragione o torto.

È diventato piuttosto una ragione di vita e di Libertà, e questo vale anche per chi ha fatto la tessera.

Se si andrà avanti di questo passo, se si continuerà ad accettare ogni sopruso fregandosene magari delle altrui sventure, beh, crediamo proprio che la storia di molti tifosi, Ultras, associazioni, club, ecc. si esaurirà in un tempo molto breve.

Con essa naturalmente svanirà definitivamente il vero incanto del calcio italiano, o quantomeno la sua anima più popolare.

Francamente riflettiamo… e combattiamo! Avanti Ultras!

Ultras Brescia 1911 Ex-Curva Nord