Ero rimasto in sospeso con questo racconto. Sono sincero: con il passare del tempo e il bombardamento mediatico da Covid-19 avevo totalmente perso la voglia di buttare giù un testo. Poi mi sono detto: “Sai che c’è? Nel mio piccolo voglio dare un contributo a evitare, magari anche solo per cinque minuti, il flusso unico e instancabile di notizie negative cui siamo tutti quotidianamente travolti”. Sia chiaro, ovvio che una pandemia debba essere al centro dell’agenda editoriale. Così come è palese che non si debbano nascondere cattive novelle o catastrofi. Ma personalmente ritengo che da ormai oltre due settimane tutto il mondo del giornalismo italiano stia rischiando di fiaccare, deprimere e gettare ancor più nello sconforto la gente a causa del suo modo spesso poco chiaro e iper allarmistico di fare informazione.
Ciò detto torno a quanto mi compete. Rimetto piede su suolo sardo dopo oltre dieci anni. Era infatti il 2007 quando feci la mia ultima apparizione a queste latitudini. La partita era sempre Cagliari-Roma ma all’epoca i rossoblu giocavano al vecchio Sant’Elia (seppur nella versione “rinnovata”, se così si può dire). Da allora gli isolani hanno peregrinato in diversi stadi, disputando diverse gare addirittura al Nereo Rocco di Trieste. La luce in fondo al tunnel sembra tuttavia esser arrivata da qualche tempo, con l’ufficializzazione della costruzione del nuovo impianto che prenderà il posto dell’ormai ex Sant’Elia, temporaneamente sopperito dalla Sardegna Arena: un prefabbricato che verrà completamente smontato alla conclusione dei lavori.
Trattandosi di uno stadio non permanente non è di certo un’opera bella da vedersi, ma quanto meno permetterà ai sardi di giocare veramente in casa senza raffazzonare soluzioni improbabili, soprattutto per una tifoseria che almeno per metà campionato è obbligata a sobbarcarsi sempre e comunque viaggi scomodi e costosi.
Avendo deciso all’ultimo di raggiungere il capoluogo isolano opto per quello che mi costa meno: traghetto fino a Olbia più treno all’andata e aereo al ritorno. L’andata assume pertanto i contorni di una conciliante lentezza, che rende bene l’idea di un territorio celebre ai più per il mare e le sue spiagge da sogno ma che, al suo interno, mostra paesaggi altrettanto incantevoli e rilassanti. Le ferrovie sarde non saranno di certo rinomate per essere all’avanguardia, ma quantomeno ti restituiscono un minimo di umanità e distanza da quel mondo frettoloso e sommario che a breve verrà cristallizzato dal virus.
Prima di raggiungere lo stadio un giro d’obbligo è alla gloriosa Amsicora, il tempio dove nel 1970 il Cagliari di Gigi Riva portò per la prima e unica volta lo scudetto al di fuori della terraferma. I rossoblu qui vi fecero ritorno per la stagione 1988/1989 (campionato di Serie C1 vinto sotto la guida di Claudio Ranieri) per permettere al Sant’Elia di essere ristrutturato in vista dei mondiali di Italia ’90. L’impianto è attualmente uno spazio polivalente dove vengono svolte diverse discipline.
Con il calcio d’inizio previsto per le 18 raggiungo la Sardegna Arena in discreto anticipo, ritirando l’accredito e constatando, una volta tanto, la disponibilità degli steward nel non farmi fare l’intero giro dello stadio per raggiunger un botteghino distante pochi metri ma diviso al di là di una transenna divisoria. Ogni tanto prevale il buon senso. E di suo questa è una grande notizia.
Non c’è un clima conciliante attorno alla squadra di Maran. Dopo il grande inizio di stagione, infatti, il Cagliari ha subito una flessione rimanendo a secco di vittorie per diversi mesi. La Nord non le manda certo a dire e i primi minuti sono esclusivamente di contestazione. Nel settore ospiti sono invece un migliaio i supporter romanisti. Numero di tutto rispetto se si considera l’ennesima annata deludente della squadra e la scomodità di una trasferta che di norma porta via diversi Euro.
Gli ultras cagliaritani mettono in mostra il loro classico repertorio fatto di cori secchi, contro la repressione e volti ad esaltare la mentalità di un gruppo – gli Sconvolts – che innegabilmente resta tra i più rispettati e storici d’Italia. Su fronte capitolino ottima prestazione canora (si vede quando le trasferte selezionano “naturalmente” i partecipanti) e molto bello l’impatto visivo con le classiche pezze da trasferta della Sud.
In campo finisce con un pirotecnico 3-4 per i giallorossi. Euforia tra i romanisti, contestazione per i padroni di casa con la squadra “catechizzata” a fine partita dalla Nord.
Nessuno (me compreso) poteva sapere che questa sarebbe stata, con tutta probabilità, una delle ultime partite del campionato 2019/2020. Lasciando da parte slogan melensi come “Andrà tutto bene” o “Ce la faremo” bisogna augurarsi di tornare quanto prima ad incazzarsi e sbraitare per una partita di calcio. Vorrà dire che forse saremo tornati a dare importanza al superfluo.
Simone Meloni