Settembre 2003, Caivano è ancora sotto shock per l’omicidio del boss camorrista Pasquale Castaldo, avvenuto in pieno giorno in un bar cittadino, sotto gli occhi dei cittadini inermi. E’ il culmine di una guerra tra clan che dura da mesi. Immediatamente scattano le indagini, che prendono piede in tutta l’area a nord di Napoli e non solo. Ben presto la macabra scoperta: a passare al setaccio è infatti anche lo stadio comunale “Faraone”, in seguito a un sospetto cartello affisso dai custodi che ne spiegavano la temporanea chiusura per “motivi familiari”, leggasi, secondo gli inquirenti, come motivi luttuosi, in rispetto alla morte di Castaldo (cit. Corriere della Sera http://archiviostorico.corriere.it/2003/settembre/21/Arsenale_della_camorra_nascosto_nel_co_0_030921063.shtml). Sta di fatto che tra le due panchine viene rinvenuto un fucile da caccia, sotterrato in un pozzetto profondo tre metri, mentre negli spogliatoi e nel sottosuolo un vero e proprio arsenale appartenente al clan dei “Farano”.

Scatta immediato il sequestro, con la squadra locale, la Boys Caivanese, costretta a emigrare nella vicina Cardito, allo stadio “Papa”, dove i gialloverdi, a distanza di tredici anni, ancora disputano regolarmente le proprie gare. Nel frattempo lo stadio “Faraone” non solo è stato dissequestrato, ma in più di un’occasione è stato preso in appalto per essere ricostruito, senza che la cosa sia mai andata a buon fine, per i le più disparate e immotivate ragioni che spesso fanno dell’Italia un interminabile cantiere a cielo aperto. Cinquecentomila sarebbero gli Euro necessari per rimettere a nuovo un impianto il cui scheletro rimane ancora faticosamente in piedi ma che, con un po’ di buona volontà e tanto senso civico (che in questo Paese troppo spesso manca) tornerebbe ad essere un fiore all’occhiello in una zona che di recente ha visto la riapertura di due storici campi sportivi, come il Moccia di Afragola e il San Mauro di Casoria.

Attualmente incunearsi all’interno dello stadio è un gioco da ragazzi. Basta costeggiare il muro di cinta che parte dal liceo scientifico “Niccolò Braucci” fino a trovare il cancello, che un tempo portava alla biglietteria, totalmente divelto. Da lì si procede tra un ammasso di rifiuti e l’altro fino a trovare buona parte del muro d’entrata crollato, permettendo a chiunque di accedere sugli spalti e sul terreno di gioco. O almeno su ciò che ne rimane di entrambi. A darmi il benvenuto sono un paio di siringhe usate, gettate tra le sterpaglie, mentre fluttuo con attenzione prima sulla tribuna di casa e poi nella zona dove sono posti i bagni e quello che probabilmente fu un baretto. Forse neanche il peggiore dei sismi avrebbe potuto creare un simile cumulo di macerie. Segno di quanto la trascuratezza sia nociva.

La tristezza ti assale, poi, quando entri direttamente sul terreno di gioco. Un manto in sintetico, tutto sommato conservato bene, che ti fa capire come sia stata investita un’ingente quota, nel recente passato, per far sì che il campo restasse al passo coi tempi. La zona degli spogliatoi è quasi totalmente inghiottita da piante selvatiche, tanto che risulta persino difficile entrarvi. La tribuna dirimpetto a quella di casa, costruita perlopiù in ferro, è in buona parte coperta di ruggine, mentre i bei murales dei tifosi di casa, posti dietro una delle due porte, danno un tocco di colore che però, in questa situazione, risulta essere più malinconico che altro.

Una società come la Caivanese, fondata nel 1908 e annoverata tra le più antiche dell’Italia meridionale, meriterebbe sicuramente ben altro palcoscenico dove esibirsi. E’ quello che la sua gente chiede ormai da anni, sentendosi continuamente ospite nella seppur vicinissima Cardito. Il calcio del resto è uno sport di appartenenza e identità, soprattutto da queste parti, dove anche attraversando un marciapiede si è nel territorio di un altro comune. Spesso avverso per tradizione.

La società ha ben lavorato negli ultimi anni, riportando i gialloverdi ai massimi livelli regionali e ottenendo, finora, risultati più che dignitosi. Sappiamo tutti quali e quanti possano essere i problemi per realizzare e mantenere in vita le grandi opere in Italia. E faremmo un errore nel pensare che soltanto questa zona sia teatro di determinate speculazioni e determinati eventi. E’ innegabile che qua ci siano dei grandi problemi da risolvere, ma è altrettanto innegabile che troppo spesso, nella storia nazionale, chi di dovere se ne sia lavato le mani o abbia addirittura strizzato l’occhio a personaggi poco consoni a rasserenare il vivere civile.

Lo stadio “Faraone” sarebbe un passo avanti. Una dimostrazione che “si può fare” e che Caivano, come altri comuni spesso emarginati dall’immaginario collettivo, merita di vivere e respirare a pieni polmoni aria libera e pulita.

Simone Meloni