Risalendo con il treno la costa adriatica da Bari, il tragitto alterna panorami marini della costa pugliese, distese pianeggianti della Daunia e, infine, le campagne molisane che si distendono fino al mare che bagna Termoli. Da lì cambio con il pullman, che in un’ora scarsa mi porta nel capoluogo, inoltrandosi nel cuore della regione e trovando pochissime macchine sul suo percorso. Soffermandomi a pensare, mi rendo conto di quanto il tempo passi velocemente: la mia ultima volta al Nuovo Romagnoli, infatti, è datata gennaio 2015, quando i rossoblù sfidarono il Termoli in un bel derby di Serie D, disputato peraltro in infrasettimanale. In questo lasso tempo molta acqua è passata sotto i ponti e per la Campobasso calcistica si sono avvicendati tempi non proprio felici, tra fallimenti e delusioni sportive. Una costante per chi, dopo i gloriosi anni della Serie B, è stato abituato a vivere in modo ondivago, dovendo mandar giù quasi sempre il boccone amaro del fallimento e della successiva ripartenza dal calcio regionale. A guardare il pubblico rossoblù oggi, si capisce appieno quanta potenzialità sia rimasta cristallizzata in questi anni a causa delle difficoltà. Potenzialità che innanzitutto trova la propria base negli ultras, testardi e attaccati alla propria causa oltre ogni scherzo del fato, ma che – a guardare gli innumerevoli striscioni dei club all’interno dello stadio o bandiere, adesivi e gagliardetti esposti in bar e negozi – è anche la testimonianza di quanto la fede per il Lupo sia radicata in città e nella sua provincia. Il marchio indelebile di chi è stato grande negli anni ottanta. Un qualcosa che ci fa ulteriormente capire quanto il calcio in quegli anni sia stato bello, vincente e veramente del popolo. Talmente tanto da tramandarsi e divenire l’effige massima per il campanilismo e il senso di appartenenza.

Oggi di fronte ai molisani non c’è un avversario qualunque, ma una di quelle squadre che porta con sé il blasone, la storia e una delle tifoserie più discusse, apprezzate e valide del panorama nazionale. Oggi a Selvapiana arriva il Pescara primo delle classe, seguito da 655 tifosi (capienza massima del settore ospiti) vogliosi di rinfocolare le vecchie sfide della serie cadetta. L’ultimo incontro disputato qui, infatti, risale al novembre 1986 e vide i padroni di casa imporsi per 1-0 con un gol di Carmelo Parpiglia. Un risultato clamoroso – ripetuto peraltro anche nel match di ritorno all’Adriatico – se si pensa ai destini dei due club in quell’annata: abruzzesi promossi in A sotto la guida di Giovanni Galeone, molisani retrocessi in C dopo i drammatici spareggi di Napoli contro Lazio e Taranto. A margine di quella sfida lontana ormai trentotto anni si registrarono diversi tafferugli. Un classico per un’epoca dove di certo non esistevano Osservatori sul NULLA e gogne mediatiche a condannare il comportamento dei tifosi, e l’Italia viveva ancora un discreto clima di tensioni sociali. Logico e scontato, dunque, che lo stadio e il campanile a esso legato, fungessero da valvola di sfogo. Gli ultras, si sa, nel bene e nel male sono una vera e propria memoria storica di tutto quello che accade all’interno e all’esterno della propria squadra, preventivabile dunque che le vecchie ruggini non siano sopite ma, anzi, si siano tramandate di generazione in generazione. Non dimentichiamoci poi di alcuni tratti somatici che da sempre caratterizzano le nostre rivalità. Uno su tutti, come in questo caso, la contrapposizione tra gente di mare e gente di montagna.

C’è un bel clima di attesa al di fuori della Curva Nord, dove in tanti trascorrono il pre partita tra birre, chiacchiere e cori. Per l’occasione sono arrivati anche i ragazzi di Fasano e gli ultras dell’FSV Francoforte, club tedesco che milita in quarta divisione e che può vantare un piccolo ma valido stuolo di tifosi che animano le gradinate in maniera organizzata e assidua. La gara è sentita e per l’occasione saranno presenti circa cinquemila spettatori, un numero davvero ragguardevole, che conferma come la passione di fondo ci sia e sia radicata; sono certo che con un Campobasso stabilmente competitivo per qualche anno si riuscirebbe a costruire una tifoseria che nulla avrebbe da invidiare a piazze più grandi. Del resto credo che un dato indicativo siano gli ottimi numeri portati dai molisani in trasferta, soprattutto all’interno di un girone tutt’altro che comodo per loro, dove le trasferte più vicine sono proprio quelle in terra d’Abruzzo contro Pescara e Pineto, mentre tutte le altre distano minimo tre ore di macchina (e spesso devono essere effettuate in giorni e orari a dir poco allucinanti). Quando i tifosi ospiti cominciano ad arrivare il clima si arroventa, anche perché per raggiungere il loro settore, sono costretti a passare sul viadotto sovrastante la strada che porta in Nord. Piovono provocazioni dai furgoni e qualcuno brandisce anche torce e fumogeni. E qui torniamo alla memoria elefantiaca degli ultras, che evidentemente non hanno lasciato correre quattro decadi in cui le tifoserie non si sono neanche lontanamente sfiorate. Si respira un clima frizzante ed è dunque il momento di entrare sul manto verde.

Il Nuovo Romagnoli è sempre un impianto dal grande fascino, con le sue gradinate anni ottanta e il cemento armato a farla da padrone. La proprietà americana sta approntando importanti e numerosi lavori, che nel breve tempo dovrebbero portare alla riapertura di alcuni settori da anni chiusi per inagibilità (il primo dovrebbe essere quello dei Distinti). Questo fa ben sperare il pubblico rossoblù per un futuro più stabile e in grado di regalare qualche soddisfazione. Gioie che andrebbero a lenire la sequela di delusioni e pochezza sportiva degli ultimi anni. Di sicuro la squadra quest’anno sembra aver tutte le carte in regola per affrontare al meglio il campionato e ottenere una tranquilla salvezza. Mi permetto di dire che l’inserimento nel Girone B ha giovato anche alla tifoseria, che innanzitutto ha scongiurato di saltare almeno la metà delle trasferte (considerato il ritmo con cui nel Girone C si vieta o limita la vendita dei biglietti agli ospiti), ma soprattutto ha potuto uscire da una dimensione soltanto meridionale, potendo confrontarsi con realtà nuove per molti e stadi che mancavano veramente da tempo immemore. Può sembrare una stupidaggine, ma per chi vive di curva e viaggi in nome del pallone, non lo è affatto. Vedere realtà diverse dalle solite aiuta a crescere e capire alcune dinamiche. Ma soprattutto ad allargare la propria mentalità attraverso la conoscenza di pensieri curvaioli differenti, dai quali prendere spunto o, perché no, discostarsi totalmente. In fondo nella vita è sempre importante sapere cosa si vuol fare/essere e cosa no.

Quando manca una mezz’ora al fischio d’inizio, in Nord cominciano a vedersi i drappi degli ultras. I due gruppi guida, Bad Brainz e N.F.O., si posizionano nella balconata a centro curva, sistemando i loro drappi e cominciando a riscaldare i motori. Cosa tutt’altro che facile in questo periodo per gli ultras campobassani: da qualche tempo a questa parte, infatti, la Questura locale ha pensato di stringere ancor più la soglia di tolleranza nei confronti del tifo organizzato, appellandosi ad autorizzazioni e cavilli burocratici assurdi anche per portare dentro un megafono, tanto che gli ultras hanno preferito rinunciarvi. Una delle tante pantomime all’italiana, dove talune figure o apparati sembrano avere gli ultras come unico pensiero ricorrente, anche laddove l’ordine pubblico non presenta generalmente problematiche e un po’ di buon senso servirebbe solo a stemperare i rapporti e lasciare che per novanta minuti, qualche centinaio di persone si divertano a cantare per la propria squadra e la propria città. Si fa fatica, sulle scorta di ciò, a non pensare che questi comportamenti siano soltanto volti a eliminare il “problema” alla radice e tagliare una parte – seppur minima – di lavoro da svolgere in città. Oltre che a smantellare un centro aggregativo, che forse in un posti come Campobasso dà fastidio perché foriero di troppe iniziative. A pensar male, si potrebbe dire che “qualcuno” preferisca le città dormitorio, senza anima e senza teste pensanti. Del resto l’unica cosa che si sa fare bene in ambito stadio è vietare. Vietare tutto, vietare sempre, vietare senza motivo e senza giustificazioni. Benvenuti nel calcio italiano del 2024.

Tornando alla nostra serata, molto bello l’ingresso dei pescaresi, che come loro solito, accendono diverse torce e lanciano palesi invettive contro i dirimpettai. I biancazzurri sistemano le loro pezze – tra cui spicca quella dei gemellati vicentini – e iniziano subito a macinare tifo, per una prestazione che sarà sinceramente superlativa per tutti i novanta minuti. Quando le due squadre fanno il loro ingresso sul terreno di gioco, i campobassani si esibiscono in una bellissima sciarpata sulle note di “Country Roads”. Una distesa rossoblù che coinvolge tutti i presenti e restituisce veramente un gran bell’impatto, colorato anche da qualche torcia qua e là. Per loro è il preludio a una bella prova di tifo, ben orchestrata dalla balconata centrale e spesso, soprattutto nel primo tempo, seguita anche dai lati di un settore che è oggettivamente grande e dispersivo. Nota di merito per lo spazio occupato dagli ultras, dove campeggiano pezze, striscioni e bandiere di ottima fattura, andando a rinverdire una tradizione che nel capoluogo molisano è sempre stata di un certo livello. Il fatto che in più di un’occasione, anche le parti più esterne del settore partecipino e che nelle stesse siano posizionati tanti striscioni dei club, conferma il radicamento del Lupo nella comunità ed è sempre bello constatare ciò quando, oltre alla questione ultras, si ammira anche la diffusione di una fede ben più difficile ed espandibile rispetto a quella per i grandi club della Serie A. Come accennato, ottima la performance degli ospiti, che confermano tutto il loro valore, cavalcando un modo di fare tifo che risponde totalmente allo stile italiano, tra bandieroni, tamburi e cori tenuti a lungo. Penso di non esagerare dicendo che negli ultimi due anni i supporter del Delfino sono in forma smagliante, riuscendo a sfornare prove come quella di stasera, dove veramente tutti seguono i coristi e partecipano al sostegno. Molto bello anche lo scambio di offese con i campobassani, che si basa sovente su cori retrò, che hanno come oggetto della contesta pecore, cozze, montagne e mari. Scusate il mio provincialismo, ma è sempre troppo bello questo becero sfottò!

In campo le due squadre danno vita a un match vivo e combattuto. I padroni di casa trovano il vantaggio nei primi minuti, il Pescara la ribalta a inizio ripresa ma al 94′ Di Nardo fa esplodere l’impianto di Selvapiana con un magnifico gol dalla distanza. Malgrado la delusione, gli abruzzesi chiamano a raccolta la squadra, incitandola anche e soprattutto in vista del big match contro la Ternana. Grande soddisfazione, ovviamente, per i campobassani, che applaudono i giocatori, riconoscendo loro l’impegno profuso in campo e festeggiando per un importante punto maturato contro un’avversaria tecnicamente superiore. Rimango in campo ancora un altro po’, osservando il “terzo tempo” tra le tifoserie e abbandonando lentamente lo stadio quando umidità e freddo cominciano davvero a farsi sentire, mentre anche qualche leggera goccia di pioggia cade di tanto in tanto. Il ritorno al Nuovo Romagnoli è stato di quelli soddisfacenti e belli da raccontare. Due sodalizi storici del nostro calcio, che da bambino vedevo con grande curiosità e suggestione perché sempre presenti nei racconti di persone più grandi quando parlavano del calcio dei tempi andati. Ovviamente, conoscendo le rispettive tifoserie successivamente, questa curiosità – mista a rispetto – non è potuta che crescere. Peccato che l’impatto cromatico non sia stato quello di un tempo, con i padroni di casa costretti a giocare in seconda maglia. Ma considerato gli obbrobri cui siamo abituati in quest’epoca, direi che è andata benissimo così. Ora non mi resta che immergermi nelle buie lande che riportano a Roma, trovando sul mio cammino una pioggia battente e un freddo tutt’altro che simpatico. Ma è dicembre inoltrato e non si può pretendere di meglio!

Testo di Simone Meloni
Foto di Simone Meloni e Francesco Passarelli

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