Il cliente ha sempre ragione, asseriva uno slogan talmente ben studiato che la frase è stata ripresa ed usata in maniera continua, sia nel parlare quotidiano, sia inserita in quel contesto commerciale dove è nato. Il termine “cliente” non è uno di quelli che più si addicono, però, a chi frequenta comunemente gli stadi di calcio, eppure da qualche anno a questa parte, chi varca quei fatidici cancelli e trova posto sulle gradinate, è equiparato al mero consumatore. Nulla di così offensivo in fondo, in passato l’ultras è stato additato come xenofobo, ignorante, violento e via di questo passo. Per cui probabilmente, almeno attualmente, il sostantivo è anche tra i più calzanti, a differenza degli orrendi termini usati in passato e che, a dirla tutta, di tanto in tanto vengono riproposti.
Quando si parla di “cliente” si pensa al tizio che si presenta in un bar chiedendo un macchiato di soia tiepido con cannella in tazza di vetro, magari associato ad una sfoglia vegana alla mela, non troppo calda e con granella; richiesta che il barista esperto esaudisce con un profondo sorriso, falso come i soldi del Monopoli ma che è parte del suo “mestiere”. Del resto, l’abbiamo detto, il cliente ha sempre ragione. Peccato che allo stadio non funzioni così, il cliente non viene mai interpellato su cosa vorrebbe, su ciò che potrebbe essere migliorato e su quello che proprio non funziona. Altro aspetto da non trascurare, il cliente da stadio spesso è appena sopportato se non addirittura malvisto. Eppure porta benefit, è un consumatore a tutti gli effetti ma ha un difetto, se così può essere visto: è già fidelizzato e non può passare alla concorrenza, aspetti che lo fanno diventare un dipendente nel senso tossico della parola.
Non si è mai visto un tifoso di una squadra che cambia casacca, anche una nota marca di bibite gasate asseriva che si può cambiare tutto, persino la moglie ma non la squadra del cuore. E su tale principio le società sportive e l’universo calcio nella sua complessità, si fanno forza ed offrono al cliente il prodotto che vogliono, che quasi mai coincide in maniera totalitaria con ciò che viene richiesto. Un surrogato, in alcuni casi un buon surrogato ma quasi mai ciò che viene richiesto. Si può obiettare che nella vita i compromessi sono all’ordine del giorno, si devono accettare sul posto di lavoro, in famiglia, durante le attività ricreative, nulla di così assurdo. Anche allo stadio si può arrivare a compromessi, e se diamo un occhio al passato, anche recente, ci rendiamo conto che gli ultras hanno dovuto accettare diverse diavolerie, tra gli orari strampalati, tornelli, dichiarazione dei redditi ed amenità varie e accedere ad un impianto sportivo è più difficile che scappare da Alcatraz. Eppure continuare ad accettare compromessi di ogni genere è un po’ svendersi, morire a fuoco lento. Magari nel lungo periodo, magari sembra quasi di restare in vita ma la cottura lenta è inesorabile ed alla fine dei giochi ti ritrovi lesso senza neanche essertene reso conto.
La Curva Nord non si mette in viaggio per Carrara, una decisione presa per tempo, a causa del ridotto numero dei biglietti, per il fatto che la vendita on line degli stessi avrebbe premiato qualcuno scontentandone altri, perciò il dettame “o tutti o nessuno” viene preso in prestito dagli ultras che rinunciano alla trasferta. Decisione giusta? Si può essere in accordo o meno, restando sull’oggettività dei fatti il settore è ugualmente esaurito, anche se a livello di pathos, calore e men che mai colore, c’è poco da dire: il grigiore che aleggia è di quelli marcati. Inevitabile viene da dire, difficile sostituirsi agli ultras e a dirla fino in fondo, i presenti neanche ci provano perché a parte un paio di cori appena accennati, ci si limita a seguire la partita e animarsi per qualche giocata, oppure per qualche decisione arbitrale sfavorevole.
Restando sull’oggettività, lo Stadio dei Marmi non è il San Siro e nonostante un restyling ad inizio stagione, la capienza del settore ospiti arriva a circa seicento persone, un po’ troppo poche per la partita in questione. Certo non si può nemmeno pretendere che venga ampliato per una partita o due l’anno ma in troppe occasioni, in questa stagione e in ogni dove, la fin troppo facile risoluzione a certi problemi è cercare in tutti i modi di impedire le trasferte, sia di massa e sia di poche centinaia di persone. Tanto per portare un esempio concreto, in un caso specifico è stata addotta la criticità del parcheggio riservato agli ospiti pur di mettere sotto osservazione una trasferta. Senza entrare troppo nel merito, ritengo che sia un parametro abbastanza ininfluente. Chiudere o semplicemente limitare una trasferta per questi motivi significa non avere neanche la buona volontà di base per accogliere il tifoso. Che, bene ricordarlo, è sempre lo stesso cliente di cui sopra.
La soluzione del problema non è a portata di mano ma da una parte occorre che le società si facciano portavoce delle problematiche dei propri tifosi, dall’altra occorre che questure, CASMS, ONMS invece che chiudere arbitrariamente le trasferte, si mettano in gioco organizzando servizi d’ordine adeguati per consentire un regolare afflusso di tifosi e garantire la normale sicurezza. Chiudere, reprimere, vietare significa ammettere la propria incapacità di saper gestire l’ordine pubblico ed il messaggio che viene veicolato è di una gravità non da poco, perché proibire eventi sportivi che avrebbero visto poche centinaia di presenze dovrebbero inquietare pensando a quando gli stessi organi di sicurezza sono inderogabilmente chiamati a garantire sicurezza in contesti molto più delicati. Vietare per aggirare il problema, vietare per evitare di mettersi in gioco, vietare per giustificare la propria esistenza in quanto il CASMS, a dirla a denti stretti, ha veramente poco senso di esistere ma il mondo del calcio foraggia anche questi carrozzoni in pieno stile Prima Repubblica che nemmeno comprendono le tematiche ultras sulle quali vorrebbero intervenire. Così ben informate da riuscire a vietare la trasferta dei doriani a Parma o quella dei parmensi ad Empoli.
Oggi, perciò, a Carrara c’è solo una tifoseria, quella di casa che forte della fresca promozione in serie B vuole mostrarsi all’altezza della situazione. Anche in questo pomeriggio viene proposta una coreografia, semplice ma comunque di impatto. Poi è la volta del sostegno alla squadra che conosce ben pochi momenti di pausa ed una partecipazione eccellente, del resto chi si posiziona spalle al campo riesce a coordinare in maniera perfetta la curva e la risposta dei presenti è di quelle da sottolineare. Ottima prova della Curva Nord che espone un paio di striscioni, il primo per Samuele, il tifoso foggiano deceduto dopo oltre un mese di ospedale, il secondo per ricordare Maurizio Alberti. La vittoria sul filo di lana della squadra fa esultare una curva che ha saputo trascinare la squadra per tutti i fatidici novanta minuti, accompagnando i cori con il continuo sventolio di bandiere e l’accensione di qualche fumogeno e torcia.
Festa grande in casa azzurra, i cori contro La Spezia ci ricordano una rivalità che viene continuamente alimentata fra due tifoserie che, storicamente, non hanno mai avuto un profondo feeling. Magari verrò smentito, e lo spero proprio, ma un Carrarese-Spezia con la tifoseria spezzina presente sugli spalti rischia di diventare lo stesso calvario che è appena toccato ai pisani. Accettare alcuni compromessi può essere anche fattibile, svendersi l’anima proprio no.
Valerio Poli