Alcune date rimangono scolpite in modo indelebile nella memoria collettiva di una comunità come un’epigrafe su un monumento antico. Il ricordo dei giorni di gloria si tramanda di padre in figlio come il soffio costante di una corrente oceanica, che non si spegne mai ma si rigenera di continuo. Vibra nelle menti e nei cuori a distanza di anni. È sottratto alla furia distruttrice del tempo e dell’oblio non solo dagli archivi e dalle cronache, ma anche dai racconti di chi quei momenti li ha vissuti. A chi c’è stato è affidato il compito di custodirne la memoria e consegnarla a chi verrà dopo, allo stesso modo di quegli aedi che nell’antica Grecia tramandavano oralmente le storie di dei ed eroi, prima che la trasmissione del patrimonio mitico ellenico venisse affidata alla scrittura. La data che ogni carrarese porterà per sempre impressa nella mente e nel cuore è quella del 9 giugno 2024: la immagino tatuata sulla pelle, ricamata su una sciarpa o su una bandiera, disegnata su una maglia celebrativa.
Il mio racconto della sfida Carrarese-Vicenza prende le mosse dalla settimana precedente. Sono le due del mattino del 3 giugno e sono appena rientrato a casa dal Sannio. Poche ore prima si è giocata la semifinale di ritorno dei playoff di C proprio tra la Carrarese e il Benevento, che ho avuto il privilegio di seguire dal manto verde del “Vigorito”. La sfida andata in scena nell’impianto progettato da Costantino Rozzi ha appena consegnato agli apuani una storica finale per la Cadetteria. Nella città dei marmi la B manca addirittura dal 1948: la Seconda guerra mondiale, con il suo tremendo bilancio di morti, distruzioni, deportazioni e altri orrori, era terminata da soli tre anni. Proprio il primo gennaio 1948 entrò in vigore, nel nostro Paese, l’attuale Costituzione democratica, che sostituì lo Statuto Albertino. Quest’ultimo era stato concesso dal sovrano Carlo Alberto di Savoia al Regno di Sardegna nel 1848, poi era stato esteso al neonato Regno d’Italia dopo l’unificazione risorgimentale.
Tornando all’ambito sportivo, l’altra finalista sarà il Vicenza, una delle squadre più blasonate del nostro calcio, in virtù dei suoi 36 campionati di A, delle due partecipazioni alle competizioni europee (Coppa delle Coppe del 1997-1998, Coppa Uefa del 1978-1979) e della vittoria della Coppa Italia nel 1997. Questo prestigioso trofeo, l’unico della storia calcistica biancorossa, arrivò sulle sponde del Bacchiglione grazie a uno strabiliante 3-0 sul Napoli nella finale del Menti. Era il Vicenza di Brivio, Di Carlo, Maini e Otero, per citare i giocatori che ricordo meglio (allora avevo sette anni) di quella forte squadra allenata da Guidolin.
Nonostante sia stanco, inizio già a pensare alla domenica successiva. Voglio proprio assistere a una finale che si preannuncia avvincente: da un lato una città che attende la Cadetteria da 76 anni, dall’altro una nobile decaduta, che nel corso della storia ha portato il proprio stemma oltre le Alpi, arrivando a disputare una semifinale di ritorno di un torneo continentale a Stamford Bridge, nella casa del Chelsea. Erano anni in cui le provinciali italiane riuscivano a primeggiare o, comunque, a giocare da protagoniste in Europa: penso all’epopea del Parma o al Bologna vincitore della Coppa Intertoto nel 1998, che fu poi conquistata anche dal Perugia nel 2003. Spero che la recente vittoria dell’Europa League da parte dell’Atalanta sia solo l’inizio di un ciclo che veda le città italiane medio-piccole nuovamente protagoniste oltre i confini nazionali.
Insomma, Carrarese – Vicenza si preannuncia spettacolare, per cui, proprio nell’attimo in cui il sonno sta per accogliermi nel suo regno, prendo la decisione definitiva: sì, per la prima volta nella mia vita andrò al “Dei Marmi”! La settimana che mi separa dalla mia prima trasferta a Carrara scorre veloce; nel frattempo la sfida d’andata in terra veneta termina in parità, per cui la partita di ritorno sarà decisiva per stabilire l’ultima squadra che salirà dalla C alla B, dove si aggiungerà ai sodalizi che hanno chiuso la stagione in vetta ai tre gironi della terza serie: Mantova, Cesena e Juve Stabia.
Finalmente è domenica 9 giugno e alle quattro del mattino metto in moto l’auto. Carrara dista circa cinque ore dal Basso Lazio, dove abito, ma parto molto prima rispetto al calcio d’inizio perché vorrei visitare in modo approfondito la città prima di recarmi allo stadio. Il viaggio è splendido: scelgo la direttrice litoranea, passando per Civitavecchia e Livorno, invece dell’Autostrada del Sole; questo percorso mi permette di apprezzare la bellezza della costa etrusca, visto che attraverso i litorali laziale e toscano nella loro interezza.
Ogni angolo della Maremma risveglia in me suggestioni letterarie. Mi viene in mente, innanzitutto, l’opera di uno scrittore latino del V secolo d.C., Rutilio Namaziano. Di origine gallica, questo autore si trasferì a Roma per svolgervi la professione di funzionario, fino a diventare prefetto dell’Urbe nel 414. Di fronte alla decadenza dell’Impero, che nel 410 era stato scosso dal saccheggio della Capitale compiuto dai Visigoti guidati da Alarico, Namaziano difendeva i valori del paganesimo, individuando nei cristiani e nei Germani le cause delle disgrazie del suo tempo. Nel 417 decise di tornare nella Gallia Narbonense (l’attuale Francia meridionale) per sorvegliare le proprietà di famiglia, che erano situate nei pressi di Tolosa. Del nóstos di Namaziano, cioè del ritorno dell’autore nella terra natale, ci è pervenuto un resoconto nell’opera poetica De reditu suo, in due libri di distici elegiaci. Possiamo leggere per intero, purtroppo, soltanto il primo, che racconta il viaggio per mare da Ostia fino alla Toscana settentrionale. Del secondo possediamo un frammento, che contiene un accenno alla Liguria. Nei tratti in cui l’Aurelia tocca il mare, immagino Rutilio sulla sua nave rattristato dalla desolazione in cui vedeva sprofondare il suo mondo.
Il dolce paesaggio della Maremma richiama alla mia mente anche Carducci, che nel 1885, effettuando un viaggio in treno da Livorno a Roma, trasse l’ispirazione per la composizione di una poesia, “Traversando la Maremma toscana”, che si può leggere nella raccolta “Rime nuove”. L’artista di Valdicastello, osservando la bellezza di questa terra, ripensa alla sua gioventù, durante la quale vi si recava spesso. Ammirando le colline e la verde pianura dal finestrino prova una grande emozione, ripensa ai sogni giovanili e il suo cuore si rasserena.
Dopo Pisa vedo, finalmente, le cime aguzze delle Apuane, che mi avvertono che il viaggio sta per finire. Questa catena di monti, con le sue guglie e le sue creste che ricordano quelle alpine, sembra quasi tuffarsi nel mare. Il monte Pisanino, la vetta più elevata, raggiunge la ragguardevole altezza di 1946 metri sul livello del mare. Immagino le sensazioni provate dagli alpinisti che salgono su quelle cime nelle nitide giornate invernali, quando i loro occhi sono catturati dalla Corsica, dal Monviso e dall’Appennino tosco-emiliano, mentre i piedi, stretti dai ramponi, accarezzano il manto nevoso. Il nome di questi monti è legato a una fiera tribù dell’antico popolo dei Liguri, quella degli Apuani (gli altri due nuclei erano gli Ingauni e gli Statielli). I Liguri, collocati più a nord rispetto agli Etruschi, parlavano una lingua non indoeuropea; prima della discesa dei Celti nella Pianura Padana e dell’invasione romana, occupavano un’area ben più vasta dell’attuale Liguria, che comprendeva anche il Piemonte e la Lombardia. La sottomissione di queste genti richiese un grande sforzo ai Romani, che solo nel 180 a.C. riuscirono ad annientare gli Apuani, i quali furono poi deportati nel Sannio. Nel territorio conquistato dall’esercito dell’Urbe fu dedotta la colonia romana di Luna, proprio al confine tra le attuali province di Massa-Carrara e La Spezia. Da questa antica città, oggi visitabile nell’omonima area archeologica, prende il nome la Lunigiana, una regione storica che inizia proprio alle spalle di Carrara e che si incunea tra Liguria, Toscana ed Emilia; nel Medioevo questa terra ospitò l’esiliato Dante.
Ormai sono giunto a destinazione. Dapprima visito la marina, poi mi reco nel centro storico alto, da dove osservo, prima di tutto, le cave da cui viene ricavato il famoso marmo. I primi a utilizzare questo prezioso materiale furono i Romani, che lo impiegarono in monumenti importantissimi come la Piramide Cestia o la Colonna Traiana. Nel Medioevo fu usato nelle chiese romaniche della Toscana, tra cui il Duomo di Pisa o San Miniato a Firenze. Nei secoli successivi da questo marmo furono tratti i capolavori di grandissimi scultori e architetti come Michelangelo (Rinascimento), Gian Lorenzo Bernini (Barocco) o Sammartino (tardo Barocco). Winckelmann, padre del neoclassicismo, nella sua “Storia dell’arte nell’antichità” associò l’idea della perfezione al candore e alla lucentezza del bianco. Il marmo di Carrara approdò ovunque, fino al Campidoglio di Washington, mentre in epoca fascista, quando il passato romano fu oggetto di esaltazione e mitizzazione, venne usato nel Foro Italico a Roma.
Mi concedo una gradevole passeggiata nel bellissimo centro storico, da cui si ammira anche il Tirreno. Visito il duomo di S. Andrea, una magnifica chiesa medievale che attirava i pellegrini in viaggio lungo la Francigena del Nord, il ramo che collegava il sud dell’Inghilterra (Canterbury) con Roma. Mi reco, poi, in Piazza Alberica, cuore della città, un tempo destinata al commercio del bestiame. Fotografo ogni pietra degli affascinanti vicoli di questa zona, ai cui bordi troneggiano bellissimi palazzi che richiamano l’architettura toscana e quella della vicina Liguria. Passo per Via San Piero, dove ammiro dei murales realizzati in un angolo davvero pittoresco. Insomma, Carrara è proprio una bella città, la cui collocazione tra il mare e i monti regala al visitatore scorci interessanti.
Le lancette dell’orologio, tuttavia, camminano rapidamente e mi ricordo che sono qui per l’evento più importante dell’intera storia della Carrarese: la finale per la B. A circa due ore dall’inizio della gara mi reco, quindi, in zona stadio. L’atmosfera è caldissima e le strade intorno al “Dei Marmi” sono già piene di tifosi di tutte le età con sciarpe, maglie e bandiere. L’entusiasmo è alle stelle e raggiunge il culmine all’arrivo del pullman della squadra, che avanza faticosamente tra i cori dei presenti.
Dopo aver scattato diverse foto all’esterno, per la prima volta nella mia vita entro nell’impianto che ospita le partite della Carrarese dal 1955. Provo una certa emozione ripensando alle figurine della squadra toscana nell’album Panini e ai filmati delle partite trasmessi da “C siamo”, che ai tempi delle medie divoravo quando uscivo da scuola. La B, la C e la D sono sempre state le mie categorie preferite, perché rappresentano l’Italia dei campanili, delle province e degli appassionanti derby tra centri distanti tra loro pochissimi chilometri, come Carrara e Massa, Pesaro e Fano, Pisa e Livorno e molti altri.
Nel prepartita percepisco entusiasmo e ansia. Mentre i carraresi, nella Nord, preparano la coreografia, nel settore ospiti fanno capolino i veneti, che sistemano le loro pezze in balaustra. Lo stadio si riempie e in gradinata vedo gli stendardi dei ragazzi del “Settore 1908”. All’ingresso in campo delle squadre la Nord fa scendere tre teloni con la scritta “Lauro vive”, mentre uno striscione recita: “Da sempre e per sempre nel tuo nome combattiamo… a te e a tutti i fratelli scomparsi questa finale dedichiamo”. I berici rendono il settore una macchia biancorossa, utilizzando tutto il colore a loro disposizione, ricorrendo a bandiere, sciarpe e vari fumogeni.
Nel corso della partita il tifo dei vicentini è costante, pur non conoscendo picchi di particolare intensità, mentre i bandieroni in movimento lo rendono sempre bello da fotografare, a dimostrazione della caratura di questa tifoseria storica del panorama nazionale. Nei settori di casa serpeggia un’euforia incontenibile, visto che in questa giornata il popolo di Carrara ha la concreta possibilità di abbracciare un sogno inseguito da anni. La Nord è sempre rumorosa e in movimento e i cori sono spesso potenti, anche in virtù del gol di Finotto, che già al sesto della prima frazione porta in vantaggio i giallazzurri, i quali riescono poi a difendere il risultato di 1-0 fino al termine della gara.
A ogni minuto che passa la loro eccitazione cresce in modo esponenziale, come le onde del mare quando vengono ingrossate da venti impetuosi; poi, dopo un’eccezionale sciarpata, si trasforma in un boato al triplice fischio, che spalanca al popolo di Carrara una gioia incontenibile per la prima promozione in B. La festa, dopo la premiazione, si trasferisce in breve tempo dagli spalti al campo, che viene inondato dai pianti di gioia dei tifosi di casa. Morale a terra per i vicentini, che comunque salutano la stagione mostrando le sciarpe biancorosse. Molti dei carraresi entrati nel terreno di gioco si recano poi sotto al settore ospiti per applaudire gli avversari che non hanno ancora guadagnato l’uscita.
Proprio in questo momento sistemo la mia attrezzattura e mi dirigo verso l’auto. I festeggiamenti si sono ormai riversati per le strade intorno allo stadio, in attesa di approdare nel centro storico. Mi emoziono nel vedere ragazzi e ragazze suonare all’impazzata i clacson dei motorini. È proprio vero: lo stadio è uno degli ultimi luoghi di autentica aggregazione del nostro tempo. Mi lascio alle spalle la festa apuana e in un attimo sono sulla Genova-Rosignano: ripercorro tutta la Maremma e quasi senza accorgermene mi ritrovo nel Lazio. Quando rientro a casa, in tarda notte, sono distrutto, ma la soddisfazione prende il sopravvento: anch’io potrò raccontare una giornata storica!
Andrea Calabrese