La bella giornata di Caltanissetta, le immagini vive e nitide nella mia mente del confronto tra nisseni e favaresi, vedono come ciliegina sulla torta questo posticipo serale di Serie C tra rossazzurri e biancoverdi. Dovete sapere che attualmente ho in sospeso diverse “sfide” con la Sicilia da un punto di vista “editoriale”. La prima vede protagonista una realtà di cui non farò il nome, ma che per svariati motivi è riuscita a “sfuggirmi di mano” per ben due volte, proprio quando ero a un passo dal partire e raccontarne l’esistenza. Un’altra, sicuramente, è quella di vedere dei tifosi ospiti al Massimino. La recente sortita etnea in occasione di Catania-Turris, infatti, non mi permise ciò a causa di una delle tante illogiche e scellerate decisioni dei burocrati dell’ordine pubblico: settanta biglietti ai supporter corallini (senza neanche una rivalità esistente) che “gentilmente” declinarono l’offerta disertando. Il secondo gettone, dunque, me lo gioco in questa serata di fine gennaio.
Quando da Caltanissetta salgo sul pullman direzione Catania, so bene che al mio arrivo dovrò fare una discreta corsa per non perdere il fischio d’inizio. Con la gara programmata alle 20:45 e il torpedone in arrivo alle 19:50 nei pressi della Stazione Centrale, ogni minuto sarà davvero prezioso. Usufruendo della metropolitana (con tempi di attesa non propriamente agevoli, ma venendo da Roma direi che sono già abituato in tal senso!) raggiungo la stazione Cibali e con passo veloce mi appropinquo verso gli ingressi. Esattamente come la volta precedente non ci sono problemi e in pochissimo tempo sono in campo, anche grazie alla gentilezza di chi gestisce tali operazioni. Lo sottolineo tanto per ricordare che in uno stadio storico – che fino a qualche tempo fa vedeva protagoniste le squadre più blasonate del nostro calcio – e da parte di una società blasonata, si viene trattati con professionalità inappuntabile. Cosa che spesso, altrove, non solo non accade, ma addirittura si tramuta in presunzione e immotivata spocchia. Ma tant’è. L’importante adesso è essere sulla pista di tartan dello stadio, sebbene sin da subito la “maledizione” sembra non abbandonarmi: nel settore ospiti infatti non vi è alcuna presenza di tifo organizzato e la cosa non mi fa ben sperare. È vero che Catania è uno di quei campi dove le operazioni di afflusso vengono gestite in maniera arbitraria, facendo quasi sempre perdere buona parte del primo tempo ai supporter provenienti da fuori. Ma è altrettanto vero che tra le due fazioni non sussiste nessuna acredine, anzi c’è una rapporto di reciproca stima. Alla fine, proprio quando comincio a perdere le speranze, gli ultras monopolitani fanno il loro ingresso quasi allo scadere del primo tempo, garantendomi quantomeno circa un’ora di presenza nello stregato spicchio loro dedicato.
Con 16.730 spettatori il colpo d’occhio offerto dall’impianto etneo è davvero di quelli importanti. Numeri che fanno il paio con la recente trasferta infrasettimanale di Rimini in Coppa Italia, dove oltre mille rossazzurri (di cui più di quattrocento provenienti dalla Sicilia) hanno invaso il Neri, e che ci confermano il grande attaccamento del popolo catanese alla propria squadra, che per giunta non sta propriamente disputando un campionato di vertice. Quando entro in campo la Nord è intenta nell’esporre uno striscione in memoria di Fabrizio Lo Presti e Ciccio Famoso, storici esponenti del movimento ultras rossazzurro, costantemente ricordati da entrambe le curve, mentre il tifo sta prendendo quota, spingendo la squadra di Lucarelli in attacco e trovando il proprio apice in concomitanza col vantaggio siglato da Cicerelli al 30′. Il boato del Cibali (lo so, lo so…si chiama Massimino, ma permettetemi questa licenza poetica/passatista) è sempre un bello spettacolo, mentre mi concentro sullo studiare tutte le varie componenti ultras che sono disseminate sui gradoni di questo stadio. Gruppi, gruppetti, gruppuscoli e insegne che danno l’idea di quanto la base ultras a queste latitudini sia attiva e cerchi di rigenerarsi, malgrado una repressione che dal febbraio del 2007 ha inevitabilmente cambiato tante cose quaggiù. E per capirlo è sufficiente osservare con quanta morbosità agenti in borghese e non gravitino attorno al perimetro di gioco riprendendo, fotografando e scrutando ogni singolo movimento degli ultras e del pubblico in generale. Parliamoci chiaro: già di suo la Sicilia non è mai stata un posto facile dove venire in trasferta: spesso schedati, ripresi, asserragliati in qualche bus a circumnavigare le città (cosa che avveniva/avviene anche a Palermo), da quel tristemente celebre Catania-Palermo di diciassette anni fa le cose sono ulteriormente peggiorate in fatto di repressione.
Nel primo tempo, dunque, il tifo si mantiene su ottimi livelli, con la Nord che spesso si produce in granitiche e potenti manate, mentre la Sud ostenta il solito, incessante, sventolio di bandieroni, coinvolgendo tutti i presenti. Da sottolineare sempre il discreto utilizzo della pirotecnica, cosa che non guasta mai. Mentre tanti sono i cori contro i rivali palermitani, quasi a evidenziare la voglia di un confronto che – anche e soprattutto in virtù di quanto scritto prima – chissà se avremo mai l’occasione di rivedere a pieni ranghi. Ormai la parola derby in Italia è divenuta triste sinonimo di divieto e limitazioni, cosa che sull’isola spesso si triplica e viene a dir poco stritolata dal proibizionismo più spinto. Mi maledico quasi nel non aver sfruttato quegli anni in cui – seppur adolescente e ragazzetto – avrei dovuto approfondire ciò che l’Italia curvaiola offriva appieno, cominciando da tutte quelle sfide storiche e accese che, volendo essere realisti, non riavremo più. Ma la vita è fatta anche di fasi e di momenti in cui alcuni passaggi vengono messi a fuoco, quindi so bene che a 18 o a 25 anni difficilmente il mio cervello avrebbe visto il tempo come una cosa da non far passare, da cogliere al volo, da non credere eterno o in grado di ripresentare ulteriori e pedisseque occasioni. Allora mi rinfranco cercando di non lasciarlo sfuggire oggi!
Tornando a questa serata: quando l’intervallo sta per sopraggiungere, ecco i monopolitani apparire alla spicciolata. Gli asfissianti e invadenti controlli della Questura catanese hanno costretto i biancoverdi all’ingresso tardivo, tuttavia il manipolo di ultras sembra sin da subito voler recuperare più tempo possibile e, dopo aver appeso tutte le pezze, i presenti cominciano sin da subito a cantare. Neanche a dirlo i primi cori sono in favore degli ultras e contro la repressione, seguiti poi dal “classico” tifo per il Monopoli. Mi fermo un attimo a pensare da quanto tempo non li vedo in azione e poi realizzo: sono passati ben diciotto anni. Era il 9 aprile 2006, infatti, quando assistetti a un Savoia-Monopoli di Serie D. Partita di cui ho davvero ottimi ricordi, che fanno il paio con un match, sempre di quella stagione, che vide i pugliesi impegnati a Scafati. Occasioni che all’epoca mi permisero di vedere una tifoseria davvero in forma smagliante e che – ricordo ancora nitidamente – fece davvero breccia in me e nell’allora compagno dei miei viaggi per lo Stivale al seguito degli ultras. Un lasso di tempo in cui è passata tantissima acqua sotto i ponti e che ha visto il movimento ultras biancoverde artefice di numerose trasformazioni. Su tutte, ovviamente, la divisione tra alcune entità della Curva Nord e la riunificazione di quest’anno. Passaggi cruciali, che giocoforza hanno segnato il tifo del Gabbiano.
Tornare tutti dietro un’unica insegna al Veneziani e compattarsi in trasferta ognuno con la sua pezza, a mio avviso sono stati passaggi fondamentali per ridar vigore e linfa al tifo del Monopoli e in questa serata, non a caso, la percezione che avrò sarà quella di una tifoseria in buona forma, in grado di onorare il difficoltoso impegno isolano con una performance davvero di gran livello. I ragazzi dietro agli striscioni, infatti, non mollano per un solo minuto, tifando con grande intensità, bei battimani, un paio di bandieroni sempre in alto e tanta grinta. Personalmente credo che si possa anche parlare di ottima presenza numerica in virtù dei 530 chilometri percorsi, equivalenti ad almeno sette ore di viaggio e un ritorno di lunedì mattina, giorno in cui generalmente si è costretti a presenziare nei posti di lavoro (questo giusto per evidenziare il totale disinteresse da parte della Lega e dei suoi scagnozzi, schiavi del tubo catodico). Questo piglio verrà premiato dal pareggio della loro squadra, arrivato malgrado l’inferiorità numerica. Un risultato che, dopo il successo interno contro il Potenza, permette ai pugliesi di prendere un po’ d’ossigeno in una classifica che domenica dopo domenica si stava facendo preoccupante.
Umore del tutto opposto per i tifosi di casa che, dopo una sonora bordata di fischi alla squadra che praticamente finisce alla gogna sotto a tutti i settori, scandiscono a gran voce il coro “Meritiamo di più”. Ultima appendice della serata i cori di stima tra le due fazioni, che procedono poi a smontare il proprio materiale per prendere, lentamente, la via di casa. Avendo l’aereo la mattina successiva posso temporeggiare: mi godo il deflusso dei tifosi e lo stadio vuoto, sempre un bel vedere quando si tratta di arene storiche e vissute come queste, per poi “godermi” le conferenze stampa degli allenatori e ricaricare, con la scusa, il mio cellulare. Quando, da poco superata la mezzanotte, sono costretto anch’io ad uscire, decido che non girovagherò tutta la notte per Catania. Fa troppo freddo e, in fondo, l’aeroporto di Fontanarossa dista solo sei chilometri. Tanto vale farsela a piedi e stare in un’oretta al calduccio del Terminal. Quindi detto fatto. Camminare, oltre a essere una mia grande passione, per me è sempre un’esperienza. Perché ti permette di cogliere sfumature che dalla macchina o da un mezzo difficilmente potresti vedere. Mi inoltro quindi tra le vie deserte che dal Cibali mi conducono dapprima in Piazza Palestro, permettendomi di tagliare all’interno di quartieri popolari e popolosi, che a mio avviso lasciano davvero il segno sull’anima di questa città. Successivamente, invece, percorro lo stradone che dalla zona di Acquicella mi porta fino all’aeroporto, costeggiando il Cimitero Monumentale dove riposa niente meno che Giovanni Verga. Anche questa esperienza è andata, restano le emozioni e le riflessioni in me. Oltre che la stanchezza. Ma per quella avrò tempo di recuperare. La notte a Fontanarossa passa tutto sommato velocemente e l’oretta di aereo che mi separa da Roma è breve ma ottima per schiacciare un pisolino. Una delle “sfide” è stata vinta, ma il percorso per esser soddisfatto e completare tutte le esperienze siciliane è lungo e irto di difficoltà. Di certo non si ferma qui!
Simone Meloni