Sono passati ben quindici anni dalla prima – e ultima – volta che ho messo piede allo stadio Massimino (che ammetto mi viene ancora da chiamare Cibali) di Catania. Si trattava di una semifinale di Coppa Italia tra gli etnei e la Roma. La cieca repressione seguita alla morte dell’Ispettore Raciti era nel pieno del suo svolgimento e praticamente tutte le trasferte erano vietate; figuriamoci se questa, contraddistinta da una forte rivalità, all’epoca da poco nata, potesse far eccezione. Dopo tre lustri posso anche mettere per iscritto il modo in cui aggirai il divieto: scendendo una settimana prima a Catania, acquistando un biglietto con altro documento e ritornando in terra sicula il giorno del match. Il perché? Pensavo che da lì a poco non avrei avuto più modo di vedere questo stadio storico, visto l’andazzo che le logiche di repressione avevano preso. Così preferii togliermi lo sfizio, anche se in una gara mutilata dall’assenza degli ospiti e delle forti limitazioni imposte alle curve di casa (senza striscioni, tamburi e bandiere).
Tre lustri dopo sono pronto a tornare nell’impianto catanese, sebbene con diverse credenziali. Innanzitutto non da “clandestino”, ma regolarmente accreditato a bordocampo per una partita di Serie C contro un altro club storico del calcio italiano, la Turris. Questa visita rientra nella due giorni siciliana che per me e il mio compagno di viaggio culminerà la domenica con la sfida tra Akragas e Reggina, in uno stadio Esseneto sinora tabù per entrambi.
Quando usciamo di casa la notte è ancora alta e un fastidioso fresco ci accompagna fino a Fiumicino, dove una volta lasciata la macchina ci imbarchiamo di buon’ora, raggiungendo in meno di sessanta minuti Fontanarossa. L’aereo toglie sicuramente il fascino del viaggio via terra e di tutte le esperienze umane (e spesso disumane) che esso comporta, ma ti permette di ridurre incredibilmente i tempi e potersi ritagliare lo spazio anche per assaporare il luogo in cui si arriva, cosa fondamentale anche per capire quello che si vede allo stadio. La stazione di Fontanarossa – inaugurata appena tre anni fa – permette di raggiungere il centro in pochi minuti, con un costo (1 Euro) irrisorio rispetto a quel furto legalizzato chiamato Alibus, che per la cifra di 4 Euro impiega minimo il triplo del tempo rispetto alla ferrovia. A Catania come a Napoli, pertanto, invito a boicottare Alibus in favore del trasporto alternativo, se non addirittura di una lunga e sana camminata per quanto riguarda lo scalo partenopeo (sic!).
Con la partita in programma alle 14 ci concediamo dapprima una bella colazione con prodotti tipici, poi un giro attorno allo stadio per fotografare i murales – riuscendo anche ad entrare e vedere il Massimino in tutta la sua imponenza da vuoto – e infine ad immergerci nell’atmosfera del centro storico, con particolare attenzione alla zona del mercato ittico, dove il vero spettacolo è osservare i vari banchi del pesce con i proprietari intenti ad “accudire” la propria merce e richiamare clienti e turisti di passaggio. In questo spaccato si intuisce quanto Catania abbia conservato ancora oggi un’anima molto popolare, malgrado siamo a pochi metri dalla bellissima Piazza Duomo – dove troneggia anche il celebre elefante (U Liotru, come viene chiamato in dialetto) simbolo della città -, dall’elegante Via Etnea e dagli innumerevoli resti di un passato che anche qui testimoniano quanto quest’isola sia stata e sia tutt’oggi una fucina di culture, storia e aneddoti. Osservare la sagoma dell’Etna dalla pancia dell’Odeon o del Teatro Greco/Romano, resta un privilegio che pochi al Mondo possono vantare. Magari proprio mentre si addenta un arancino (mi raccomanda la “o” finale a queste latitudini!).
Quando si enfatizza sul legame tra una città e la sua squadra di calcio, spesso si esagera, ma a volte si coglie nel segno per descrivere la fierezza e l’appartenenza di un popolo. Dalle mura che circondano il Castello Ursino (nel quartiere dove Ciccio Famoso fondò la Falange D’Assalto, primo gruppo ultras catanese) intrise di scritte delle due curve rossazzurre, passando per le centinaia di adesivi disseminati ovunque in città, fino ad arrivare alle classiche sciarpe attaccate nei più disparati esercizi, non c’è angolo di Catania che non richiami ai colori del club. E con essi a un movimento ultras che da queste parti ha sempre mantenuto forte la propria presenza, nonostante una pesantissima repressione successiva ai fatti del tristemente celebre derby col Palermo del febbraio 2007. Nonostante la fragorosa caduta che dalla Serie A, attraverso fallimenti e gestioni scellerate, ha portato il sodalizio siciliano a ripartire dal dilettantismo. In alcune sfaccettature il parallelismo con Napoli emerge naturale, in altre è forse più forzato a favore dei turisti, che seppure qua non siano invadenti e asfissianti, vengono comunque accontentati sull’idea distorta ed erroneamente fiabesca che hanno dell’Italia. E del Sud in particolar modo.



































































Quando l’orologio segna le 12:45 cominciamo a (ri)avviarci verso lo stadio. A tutti gli amanti del calcio, parlando di questo impianto, non può che venire in mente la celebre locuzione di Sandro Ciotti, quel “Clamoroso al Cibali” con cui il 4 giugno del 1961 il cronista annunciava in diretta nazionale il successo dei rossazzurri sull’Inter di Helenio Herrera. Una frase rimasta talmente celebre da esser utilizzata, spesso e volentieri, in situazioni extra calcistiche. Un’esclamazione che potrebbe esser fatta propria anche da chi visita per la prima volta questo stadio. Per i gusti contemporanei, forse, apparirà sciatto, obsoleto, non adatto al calcio. Per chi invece attorno alla sfera di cuoio vede ben oltre il semplice confronto del campo, esser catapultati all’interno della sua forma ovale, compressa tra i palazzi e colorata dalle decine di murales ultras al suo esterno, non può che suscitare emozione. La scuola situata proprio dietro una delle due tribune mi lascia andare a varie fantasticherie, tra le quali quella che ritrae un bambino a dir poco estasiato mentre durante la lezione ascolta, di rimando, cori e sensazioni dei tifosi. Lo stadio deve indurre al sogno, alla costruzione di una gioia. Personalmente non trovo tutto ciò nei teatri asettici moderni, ubicati quasi sempre a decine di chilometri dal centro cittadino. Lontani, dunque, dal cuore. Dall’essenza che ne alimenta la passione.
Certo, questi sono anche tempi in cui la parola passione finisce spesso per esser osteggiata se non bandita da determinati spazi. Persino in una match senza alcuna rivalità (le due tifoserie non si incontravano da anni) i soliti noti sono riusciti a mettere il loro zampino e rovinare parzialmente lo spettacolo. In fase di prevendita, infatti, il GOS ha ben pensato di destinare solo settanta biglietti (a fronte di un settore ospiti che ne può contenere 1.272) ai tifosi campani, che di contro hanno deciso di boicottare la trasferta. Premessa: la vendita era libera – anche dal possesso di fidelity – ovunque e per tutti. La gara non era segnalata a rischio. Malgrado il tentativo del club corallino di ottenere qualche tagliando in più, le autorità (in)competenti sono rimaste ferme sulle proprie posizioni, senza peraltro fornire alcuna motivazione ufficiale.
Permettetemi alcune riflessioni: innanzitutto mi rimbombano nella testa le parole scritte in un recente comunicato degli ultras doriani, i quali sottolineano come tifosi e società siano veri e propri ostaggi di Osservatorio, CASMS e GOS, organi che negli ultimi mesi stanno letteralmente “dando i numeri”, potendo godere di un potere illimitato e non trovando una vera e articolata opposizione da parte di nessuno. Neanche di quelle società che – soprattutto dalla C in giù – sovente senza tifosi ospiti finiscono per perdere una buona fetta di incasso. Credo che anche in Paesi dove pure le più basilari libertà vengono messe a repentaglio ci sia qualcuno in grado quantomeno di motivare un divieto, oltre che di emetterlo in maniera sistematica. Per quale motivo bisognerebbe pensare che dietro a questa decisione ci sia davvero la volontà di mantenere l’ordine pubblico? Quali erano le criticità per lo stesso. Qualche settimana prima ai tarantini provvisti di tessera è stata consentita la trasferta senza alcun limite numerico, sebbene parliamo di una rivalità storica e conclamata. Forse occorre pensare che questi organi, dall’alto delle loro nefandezze, studino bene vizi e virtù delle tifoserie, conoscendone e potendone prevedere ben in anticipo le reazioni. Ai tarantini apri la trasferta con fidelity sapendo bene che verranno poche decine di tifosi, ai corallini concedi settanta biglietti sapendo che con tutta probabilità – sulla scorta di quanto fatto negli ultimi anni – li rifiuteranno rimanendo a casa. Mi viene il dubbio che la priorità sia quella di passare qualche ora a braccia conserte, non di gestire un evento come si fa in buona parte del globo terracqueo.
Mandato giù l’amaro boccone dell’assenza ospite, attraversiamo buona parte di una città che come noi si sta dirigendo allo stadio – incappando peraltro a Piazza Dante, dove a ridosso del Monastero Benedettino è apposto lo striscione dedicato a Fabrizio Lo Presti, sfortunato ragazzo morto in un incidente d’auto nel 2001, mentre si recava in trasferta a L’Aquila – raggiungendo i cancelli dello stesso ed entrando agevolmente in campo. Mi capita tante volte di esser critico e irritato da come vengono gestiti gli ingressi nei nostri campi, ma devo dire che stavolta ci viene davvero facilitato il compito, indicandoci l’accesso al terreno di gioco e rivolgendosi in maniera cordiale ed educata.
Lo scenario che ci si presenta davanti è di quelli importanti. Gli spettatori odierni sono 16.527, un lusso per una categoria uccisa e maltrattata dalla Lega, dai divieti e dalle sozzerie che di anno in anno portano al fallimento di sodalizi storici. Inoltre, come accennato, è sempre emozionante mettere piede laddove sono passati campioni del calcio italiano recente ma anche leggende del passato. Il Cibali, fra le altre cose, è stato anche teatro delle gare interne dell’Atletico Catania – i nati sul finire degli anni ottanta lo ricorderanno bene – e della Massiminiana, club acquisito dalla famiglia Massimino e portato dalla stessa fino al terzo gradino della piramide calcistica italiana, prima di cessare ogni attività sul finire degli anni settanta.
Tornando al match odierno, c’è grossa curiosità in casa rossazzurra nel rivedere Cristiano Lucarelli sulla panchina. La sconfitta contro il Potenza della settimana precedente ha infatti portato all’esonero di mister Tabbiani in favore del tecnico livornese, giunto così alla sua terza esperienza alle falde dell’Etna. La piazza è impaziente, vuol riconquistare almeno la cadetteria dopo aver subito l’onta del fallimento, una tragedia sportiva che per tanti ha vestito i panni di un fantasma, ma che fa talvolta paura dopo quanto successo circa trent’anni fa, in occasione del primo crack rossoazzurro (1993). Un’epoca buia per il calcio catanese, con la ripartenza dall’Eccellenza Siciliana e il tanto fango da mangiare negli anni successivi. Un percorso in cui, a mio modesto parere, il movimento ultras cittadino gettò le basi per fortificarsi, crescere e prepararsi alle grandi battaglia degli anni a venire in Serie C e, infine, in quella massima categoria riconquistata quasi con incredulità nel 2006, andando a completare uno storico tris di club siciliani in massima divisione, dove già militavano Palermo e Messina.
Le due squadre fanno il loro ingresso sul terreno di gioco, mentre le curve cominciano a sostenere il Calcio Catania. Opto per passare il primo tempo sotto la Nord e il secondo a ridosso della Sud. Due prospettive necessarie per carpirne l’essenza e vederne le movenze. Come è noto, una delle grandi differenze tra i due settori sta nell’aver sottoscritto la fidelity (la Sud) anziché continuare una linea dura contro tale tessera (la Nord). Ma diciamo che l’universo del tifo organizzato catanese appare davvero molto variegato e complesso, con drappelli dalla chiara matrice ultras sparsi un po’ in tutto lo stadio. Se pensiamo che la città conta circa 300.000 abitanti e che non parliamo di un club abituato costantemente a grandi palcoscenici calcistici, già il fatto di trovarsi al cospetto di due curve è un qualcosa di notevolmente eccezionale. E non parliamo di un qualcosa che esiste da poco tempo, ma da ormai tanti anni. Un blocco granitico che in trasferta, senza dubbi, esterna al massimo tutte le sue potenzialità.
In Nord campeggia uno striscione che richiama una delle richieste più importanti avanzate quest’anno dalla tifoseria: riavere lo storico logo del club, ancora impelagato nelle vicende giudiziarie dell’ultimo fallimento. Siamo purtroppo abituati ormai a queste situazioni, in cui i tifosi debbono giocoforza vestire i panni di custodi delle loro tradizioni, nonché della simbolistica basilare con cui la propria squadra si è contraddistinta negli anni. Al di là degli striscioni i lanciacori coordinano egregiamente la curva, che si mette in mostra con belle manate e cori tenuti su a lungo. Unica critica che mi sento di fare, in senso generico: molto materiale potrebbe esser realizzato con più cura. Da una parte apprezzo lo stile “grezzo” dei catanesi, molto fedele sia all’anima della città che della tifoseria, dall’altro magari sarebbe più bello vedere meno cose stampate e più bandiere, stendardi e pezze fatte a mano e senza l’utilizzo del font Ultras Liberi, divenuto ormai a dir poco inflazionato da Nord a Sud.
Sull’altro fronte, vale a dire quello della Curva Sud, i numeri sono leggermente più bassi, forse perché privi dello stesso numero di pubblico “normale” attorno. Alcune sigle storiche come quelle della Falange D’Assalto o degli Irriducibili guidano ancora il settore dove il seme ultras etneo venne gettato e negli ultimi anni questa curva è vistosamente cresciuta da un punto di vista numerico. Da segnalare la presenza quest’oggi dei gemellati del Borussia Dortmund, con tanto di pezza e bandierone del gruppo Desperados. Un’amicizia che ormai da qualche anno è divenuta solida e caratterizzata da visite reciproche. Anche per i ragazzi posizionati in Sud ottima performance canora e visiva, con le tante pezze posizionate sui muretti, molte delle quali a ricordare storici personaggi della tifoseria siciliana scomparsi.
Menzione dovuta anche per il gruppo posizionato in tribuna, lato settore ospiti, che dietro la pezza MCK sostiene l’undici in campo per tutti i novanta minuti. Non passano inosservate, per il sottoscritto, neanche le tante bandiere della Trinacria sventolate qua e là, un simbolo che risulta onnipresente in ogni stadio dell’isola, quasi a rammentare come sia forte e sentito il senso di appartenenza dei siciliani, uno dei pochi sentimenti regionali in grado occasionalmente di superare e soppiantare rivalità figlie del calcio e del campanile. Non una cosa comune in un Paese come il nostro!
In campo i padroni di casa passano in vantaggio per poi essere raggiunti a inizio secondo tempo dai biancorossi. Proprio quando la sfida sembra incanalata sui binari del pareggio, al 96′ arriva la rete del Catania sugli sviluppi di un corner. Gol che fa ovviamente esplodere di gioia il Massimino, con Lucarelli che corre all’impazzata sotto al Nord per festeggiare con i propri giocatori, mentre l’arbitro fischia la fine tra le furiose proteste dei giocatori corallini, che volevano che la fine match fosse segnata dal direttore di gara prima del corner.
L’ultimi frame della nostra giornata si consuma seguendo la squadra di casa intenta a raccogliere gli applausi, facendo il giro di campo e non lasciando nessun settore “scoperto”. In Nord si alza forte il coro sulle note di “Italodisco”, confermando quanto sostengo da tempo: per rendere orecchiabili e accettabili certe porcherie musicali, bisogna trasformarle in cori da stadio.
Come di consueto, quando viaggio col buon Marco, l’ultima mezz’ora è dedicata alla “perlustrazione” dello stadio vuoto. E alla fine neanche posso dargli torto: cogliere gli ultimi umori della gente, entrare nei settori dove fino a qualche minuto prima gli ultras hanno orchestrato il tifo, trovare biglietti e fanzine, è ciò che ci permette di rimanere legati ai motivi per cui abbiamo messo per la prima volta piede allo stadio. Possiamo infine riavviarci verso la stazione, dove ci attende il pullman per Agrigento. Altri tre chilometri a piedi, stavolta tra il groviglio di macchine impegnate a defluire o fare serata (è pur sempre sabato). Ci lasciamo alle spalle i palazzi del quartiere Cibali che danno a picco sullo stadio e con essi quello che resta davvero un teatro fascinoso per disputare una partita di calcio e ospitare le tifoserie.
Un vento di maestrale ha cominciato a spirare forte, coprendo il caldo che per buona parte della giornata ci ha travolto. Saliamo sul torpedone e dopo qualche minuto siamo sulla strada che taglia in due il quartiere Librino e lascia definitivamente Catania. Ci inoltriamo nella Sicilia interna, tagliandola in due e procedendo spedito verso Agrigento. Per raccontare un’altra storia.
Testo Simone Meloni
Foto Simone Meloni e Marco Gasparri












































































































