Lo stesso film andato in scena a Taranto replica in quel di Cava de’ Tirreni. Come nel 2015, quando era presidente del sodalizio jonico, lasciato in mano alla “Fondazione Taras”, associazione locale facente funzione di trust, il presidente della Cavese Domenico Campitiello si sfila dal timone del sodalizio metelliano. Questa volta il titolo è stato lasciato nelle mani degli ultras ai quali toccherà l’onere di traghettare la propria compagine in questa corsa contro il tempo. Mancano praticamente solo 4 settimane al termine ultimo per l’iscrizione in Serie D ed in questo lasso di tempo dovranno o trovare e consegnare la guida a qualche imprenditore con le giuste credenziali, oppure farsi carico, come avvenuto altrove, di una gestione popolare diretta e diffusa. Non sarà facile: la Serie D, a differenza dei campionati puramente dilettantistici, può considerarsi una sorta di anticamera del professionismo e le cifre in ballo cominciano a risultare particolarmente significative, così come più articolata diventa la gestione quotidiana del club. Finita la luna di miele e con essa l’ottimismo e la speranza che accompagnava questo tipo di esperienze, l’ultima stagione ha cominciato a mostrare qualche strascico al veleno o qualche vera e propria crepa strutturale. Dalla stessa Taranto dove tutto s’è limitato a qualche polemica a distanza, forse anche evitabile, fra tifosi e il supporters trust di cui sopra, al caso di Ancona dove il fallimento sportivo (e si spera solo quello, visto che persino la D sembra sempre più difficile per il club dorico) della Lega Pro 2016-17 ha più volte visto gli ultras aspramente contrapposti al trust “Sosteniamolancona”, in particolare nella persona di David Miani che, da rappresentante del trust è finito a ricoprire il ruolo di ad in società, incarnando le vesti di principale indiziato del disastro. Striscioni, contestazioni, cori, persino un’aggressione ai suoi danni, l’esperienza di “Sosteniamolancona” ha rappresentato lo zenit e il nadir dell’azionariato popolare in Italia. Resta da capire, al netto delle sue duplici estremizzazioni, qual è il vero volto e il vero apporto che l’azionariato popolare può esprimere in Italia, di sicuro, dopo l’ultima stagione, ne esce con le ossa rotte per quella che è la sua percezione agli occhi del mondo del tifo. Anche se, e questo bisogna dirlo, anche i trust e affini finiscono per rappresentare una sorta di delega di potere e l’unica via reale che resta ai tifosi per risultare decisivi, è quella dell’impegno diretto senza delega alcuna. Ma qui si va incontro alla spirale della “istituzionalizzazione” e al pericolo di perdere la propria naturale carica antagonista: discorso lunghissimo ed infinito, ne parleremo ancora, ora come ora non resta che fare i migliori auguri a Cava e anche ad Ancona.

Matteo Falcone.