Molto spesso quando si parla di ultras si associa questo termine alla presunta “mentalità” di cui essi si farebbero portavoce. Si tratta di un’espressione che, a parer mio, dice tutto e niente. Ho sempre pensato infatti che, a differenza di quanto si può constatare nelle categorie maggiori e per le squadre più blasonate, la vera essenza del mondo ultras la si ritrovi nei campionati minori dove cittadine o più spesso paesi di poche decine di migliaia di abitanti, sfoggiano tifoserie di tutto rispetto che seguono costantemente la propria realtà locale. Risultati, posizioni in classifica, partite in casa e in trasferta per costoro sono solo una cornice ininfluente poiché ciò che conta veramente è solo ed esclusivamente la presenza. L’essere lì domenica dopo domenica, portare avanti un ideale spesso simboleggiato da uno striscione, da una pezza o anche da una sciarpa è quello che veramente conta, soprattutto nel 2022.
La nostra epoca ci ha insegnato che ormai il calcio è in tutto e per tutto un’azienda e per questo motivo il pubblico, o meglio i clienti, devono alimentare questo lucroso sistema il più possibile. Gli ultimi anni ci dicono anche che gli stadi, a prescindere dalla pandemia nella quale ci troviamo coinvolti, si stanno svuotando sempre di più e se anche tifoserie di grandi città fanno registrare un drastico calo di presenze controbilanciato da una tendenza ormai consolidata di usufruire delle pay-tv, come potrebbe sopravvivere la speranza di ritrovare passione e amore in una modesta serie D? Eppure, la partita di oggi sembra ribaltare tutto quello che ho appena scritto, dimostrando che se da un lato vi è una sempre più grossa fetta di “clienti” che la domenica predilige rilassarsi sul divano fagocitando partite di ogni genere e su ogni piattaforma a disposizione, dall’altro lato sopravvive in alcuni l’appartenenza, il sostegno e l’attaccamento alla propria squadra. E allora non c’è niente di più bello per rompere la monotonia domenicale che godersi un bel Cavese – Sancataldese.
La sfida di oggi vede infatti due realtà calcistiche diverse ma per certi aspetti simili che si affrontano sul terreno di gioco del “Simonetta Lamberti”. La Cavese, reduce da un filotto di vittorie in trasferta e che aspira alla vittoria del campionato, e la Sancataldese che prova ad allontanarsi dai bassifondi della classifica e rimanere in una categoria che è comunque di tutto rispetto. La cornice di pubblico non è quella delle grandi occasioni anche perché, soprattutto per la squadra metelliana, le grandi occasioni mancano da parecchi anni seppur l’amore, quello vero della sua gente, è sempre vivo e la “Curva sud Catello Mari” sebbene non piena, non ha mai smesso di pulsare oggi come ieri.
Di fronte, in curva nord, fanno capolino circa cinquanta irriducibili sostenitori siciliani. Vedere la loro entrata, il loro splendido striscione “Commando Neuropatico”, ma soprattutto rendersi conto che per essere presenti si sono sobbarcati ore e ore di strada, fa capire quanto questa gente tenga alla propria maglia. Non sono migliaia ma è come se lo fossero. Il loro tifo è certamente eccellente, non smettono mai di incitare nonostante un pesantissimo quattro a zero e si esibiscono in due sciarpate e in una prestazione canora d’alto livello. La loro performance sembra ribadire, se mai ce ne fosse bisogno, che la Sancataldese potrà sempre contare su quel pazzo manipolo, a prescindere dalle vicende di gioco e dall’avversario di turno.
D’altro canto, volgere lo sguardo verso la sud di casa regala le stesse emozioni. Dietro l’ormai celebre striscione “Più forti di chi vuole morti” vi sono gli ultras biancoblu che non hanno bisogno di tante presentazioni e che portano avanti una tradizione di tifo conosciuta in tutta Italia. Vedere la curva colorata di fumoni e torce, striscioni alzati (tra cui uno per “Spagna”) ed esultanze sulla recinzione rende palese, per chi fosse estraneo alle vicende locali, che essere ultras qui non è un gioco ma una ragione e un modo di vita.
Il risultato in campo, come già anticipato, si risolve in favore dei metelliani nettamente superiori, ma per chi, come me, concepisce il calcio come un’altalena di emozioni i cui veri protagonisti non calcano l’erbetta ma saltellano su dei vecchi gradoni, è l’ultima cosa che conta.
Al triplice fischio, dopo il saluto dei ventidue giocatori ai rispettivi sostenitori, abbandono l’impianto del “Lamberti” con la convinzione e la consapevolezza che oggi la vera protagonista sia stata l’essenza ultras: cantare, sostenere, superare km e restrizioni è la linfa vitale di quel movimento che appare sempre più decadente e che, anche le tifoserie più importanti, dovrebbero riscoprire ispirandosi alle realtà più piccole ma forse più genuine e vere.
Vincenzo Amore