Quando qualcuno mi domanda “Ma nel basket americano esiste il tifo, così come lo intendiamo qui da noi?”, mi viene sempre da rispondere con un’altra domanda: “Esistono forme di vita al di fuori della Terra?”.

Questo perché, a mio avviso, ad entrambe le domande si potrebbe rispondere nello stesso modo: “Sicuramente sì. Ma non saranno mai identiche a noi”.

A dire il vero è una questione alla quale non ho mai dato peso più di tanto, visto che non seguo il basket USA, che finora avevo sempre identificato (sbagliando!) esclusivamente con la NBA, ossia il massimo campionato professionistico americano (ed il top a livello mondiale).

Qualche tempo fa però mi è capitato di scambiare due chiacchiere con un vecchio amico, ex giocatore di pallacanestro di buon livello, che da anni vive e lavora negli USA e per hobby si occupa anche di “scouting” (che corrisponde a quella che nel calcio è la figura dell’osservatore), segnalando ad alcuni club cestistici italiani i prospetti più interessanti del panorama del college basket, tra tutti quei giovani talenti che pur essendo molto promettenti, per vari motivi non ce la fanno ad entrare nel paradiso della NBA. In pratica, uno che di palasport in cui si gioca a basket, a livello di college, ne gira e ne ha girati davvero tanti.

Il quadro che mi ha descritto, rispetto alla “atmosfera” dei palasport universitari, mi ha incuriosito parecchio e mi ha spinto a documentarmi su tutto ciò che mi aveva così dettagliatamente ed entusiasticamente raccontato.

Dopo aver passato un po’ di pomeriggi a raccogliere informazioni, mi sono fatto un’idea abbastanza precisa sul mondo delle cosiddette “student sections”, ossia i gruppi di tifosi organizzati che negli USA sostengono le squadre di basket universitario.

Per inciso, va pure detto che il fenomeno delle “student sections” lo si riscontra sempre più spesso anche in occasione delle partite di basket tra high school (scuole superiori americane), praticamente l’anticamera del college basket.

 

Attenzione! Premessa doverosa per chi intende continuare a leggere:

Nei palasport universitari non esistono gruppi ultras, così come li intendiamo noi in Italia, né altro che si avvicini alla nostra cosiddetta mentalità ultras, contrariamente a quanto invece si può vedere nei palazzetti greci, serbi, croati, turchi, israeliani, etc., dove esistono realtà di tifo molto assimilabili al nostro modo di concepire il sostegno ad una squadra.

Tuttavia, quando si parla di “student sections”, si può tranquillamente parlare di sostenitori, nel vero senso della parola, ossia di ragazzi e ragazze che non si limitano a guardare la partita ma che sostengono con ogni mezzo (voce, mani, etc.) la squadra del proprio college, cioè del posto in cui trascorrono i quattro anni della loro vita da studenti universitari.

Lo scopo di tanto dannarsi, anche per loro, è quello di dare la carica ai propri giocatori/compagni di college e spingerli alla vittoria, creando nel contempo una “atmosfera” di calore e passione sugli spalti che non ha paragoni con ciò che invece (NON) avviene nella quasi totalità delle grandi arene al coperto in cui si giocano le partite del campionato professionistico NBA.

 

Ma chi sono, quindi, i tifosi delle squadre di college?

Una squadra di college basket rappresenta allo stesso tempo sia il college stesso, sia la comunità locale entro la quale le strutture universitarie sono inserite. Ragion per cui, a sostenere una squadra di basket universitario, ci si può incontrare il giovane studente che frequenta i corsi, così come l’ex-studente che ha terminato il suo percorso di studi ma anche, spesso, lo stesso abitante della cittadina che ospita le sedi universitarie e che, il più delle volte, grazie a queste strutture ed agli studenti che ci vivono, trae sostentamento per sé e per la sua famiglia.

Per quanto concerne gli ex-studenti, va detto che negli USA il legame tra un’università ed i suoi ex-studenti è molto forte e dura per tutta la vita, tanto che sono proprio gli ex-studenti, una volta acquisita una buona posizione socio-economica, a diventare a loro volta sponsor e finanziatori delle attività del proprio college di provenienza. Questo perché si pensa che chi ha avuto la possibilità di laurearsi grazie ad una borsa di studio, nel momento in cui è riuscito a raggiungere traguardi economici e sociali buoni se non addirittura ottimi, ha l’obbligo morale di restituire il favore, rendendo a sua volta possibile il raggiungimento di una istruzione universitaria ad altri studenti meritevoli, ma privi di possibilità economiche.

 

A questo punto è bene fare una seconda, doverosa, premessa.

Per gli americani della classe media, che sono la maggioranza della popolazione, l’aspirazione a frequentare un college universitario al termine delle scuole superiori (le cosiddette high school) è molto radicata, in quanto l’istruzione universitaria garantisce, nella quasi totalità dei casi, la possibilità futura di svolgere lavori ben retribuiti. Inoltre, per chi ha la possibilità e la fortuna di frequentare un college, questo periodo della vita, che di solito dura quattro anni, rappresenta una sorta di rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, spesso il primo vero momento di vita autonoma per i tanti ragazzi e ragazze che, andando al college, abbandonano per la prima volta la casa in cui sono cresciuti.

Solitamente la retta annua di un college di media importanza si aggira sui 20.000 $, e comprende le spese di iscrizione per poter frequentare i corsi di studio più tutte le altre attività extra-scolastiche, oltre alle spese per alloggiare all’interno delle strutture del campus e consumare i pasti nelle mense universitarie. Ecco perché milioni di coppie americane, pur di assicurarsi la possibilità di mandare al college i propri figli, cominciano a risparmiare fin dal giorno in cui si sposano. Ed allo stesso tempo, ecco perché milioni di giovani americani le cui famiglie non hanno le possibilità economiche di mantenerli all’università, in tutto o in parte, iniziano a lavorare part-time fin dai tempi della scuola e durante le vacanze estive. Per non parlare, infine, degli sforzi che tanti studenti compiono per riuscire ad eccellere nello sport o in tutte quelle altre attività, scolastiche ed extra-scolastiche, per le quali vengono stanziate le migliaia di borse di studio grazie alle quali ci si potrà pagare i costi di iscrizione e le spese per vitto e alloggio.

 

Che rapporto c’è tra i giocatori ed i tifosi nel college basket?

Uno degli aspetti più caratteristici di questo mondo, è dato dal rapporto che intercorre tra i tifosi delle squadre di college basket e i giocatori che ne difendono i colori.

Tanto per cominciare si tratta di ragazzi che sono a loro volta studenti dello stesso college, frequentano gli stessi corsi assieme a tutti gli altri e che, se rimangono lì a giocare per tutta la durata del loro corso di studi (i fatidici quattro anni), hanno la possibilità di terminare questa fase della loro vita con una laurea da poter spendere in futuro nel mondo del lavoro (ma non sempre tutti ce la fanno). Non si tratta di giocatori professionisti, anche se alcuni di loro sono destinati a diventarlo, in NBA piuttosto che in qualche lega semiprofessionistica americana oppure nei tanti campionati sparsi in Europa e nel mondo, ma il far parte di una rappresentativa sportiva del college fa sì che possano percepire una borsa di studio per tutta la durata del loro corso di studi, con la quale pagarsi la retta universitaria e contare su qualche dollaro extra con cui riuscire a mantenersi decorosamente durante i quattro anni di vita al college.

Spesso, ma questo dipende dalla politica del college stesso e dal modo di impostare il “programma” di formazione da parte del “coach” della squadra (molti allenatori ci tengono particolarmente a curare la crescita umana dei propri giocatori, oltre che quella prettamente tecnico-sportiva), può capitare che i membri della squadra vivano all’interno del campus assieme ad altri studenti “non giocatori” e perciò può capitare che qualcuno si ritrovi alla sera, nel palasport del college, a sgolarsi e tifare per il proprio compagno di stanza! Perchè a questi livelli, qualunque giocatore, anche il più promettente, acclamato e seguito dai media nazionali, rimane pur sempre uno studente, al pari dei suoi stessi compagni di corso, con i quali condivide spazi e momenti della giornata, durante le lezioni, in biblioteca, in mensa e alle feste.

In conseguenza di tutto ciò esistono gruppi di tifosi, costituiti da giovani studenti (ma non solo) della locale università, che in alcuni casi sono organizzati e strutturati come Club di sostenitori, alcuni anche riconosciuti ufficialmente dalla stessa università, anche se la maggior parte operano in modo del tutto spontaneo ed autonomo, seppure strutturati ed organizzati al loro interno.

Questi gruppi di giovani tifosi, di cui fanno parte mediamente diverse centinaia (a volte addirittura qualche migliaio!) di ragazzi e ragazze solitamente di età compresa tra i 18 e i 23 anni (ma esistono anche “sections” composte dagli ex-studenti), hanno comunque modi di tifare che a volte sono simili, se non addirittura assimilabili, a quanto avviene nei palasport italiani ed europei.

Una delle principali differenze rispetto a ciò che avviene nelle curve dei palasport italiani, è la presenza di ragazzi e ragazze in percentuale pressoché simile, contrariamente a quanto avviene da noi, dove la presenza maschile è prevalente (anche se il numero di fanciulle presenti nelle curve dei palasport italiani è già più elevato rispetto a quanto avviene, ad esempio, nei nostri stadi di calcio).

Mentre i punti di contatto tra il loro modo di tifare e quello europeo, non mancano di certo. A cominciare dal modo in cui seguono lo svolgimento della partita, rigorosamente in piedi, dall’inizio alla fine, riuniti in un apposito settore del palasport riservato esclusivamente ai ragazzi della “student sections” (ma in certe università vengono destinati anche due o tre settori, di solito quelli più vicini al campo di gioco).

Inoltre, il prezzo del biglietto per questi settori “popolari” è solitamente molto basso ed a volte addirittura gratuito per gli iscritti alle student sections ufficialmente riconosciute dal college.

Peccato solo che i posti a disposizione siano sempre inferiori rispetto alle richieste e ciò dia luogo a code interminabili ai botteghini che, in occasione delle gare più importanti e sentite, cominciano addirittura già dal giorno prima della messa in vendita, con ragazzi e ragazze che passano la notte all’addiaccio in attesa di potersi accaparrare il fatidico biglietto di ingresso.

Per quel che riguarda il tifo vero e proprio a favore della squadra, solitamente le “student sections” accompagnano le azioni di gioco con cori di sostegno, sia nelle fasi di attacco che in quelle di difesa. Spesso si tratta di slogan scanditi e ritmati, sul genere di quelli che noi chiamiamo “cori secchi all’inglese”, come ci dimostrano i ragazzi della Ohio University:

 

O i Cameron Crazies della Duke University, considerati da molti come la migliore “student section” del college basket americano:

 

Ma sarà vero?

 

O i rumorosi ed incisivi Colonel Crazies della Covington Catholic High School (e già, perché esistono “student sections” molto agguerrite anche a livello di basket scolastico):

 

O, addirittura meglio, come nel caso dei ragazzi della Temple University, che in queste immagini incitano la loro squadra durante un’azione di gioco con uno dei cori che va per la maggiore, il massiccio e coinvoilgente boato “I believe that we will win!” (traducibile con un “io sono certo che vinceremo!”):

 

Certo, nulla a che vedere con la versione dello stesso coro che qui vediamo eseguito magistralmente e massicciamente dai ragazzi della Utah State University:

 

Da rivedere anche da varie angolazioni, per farci un’idea più precisa di quanta gente, all’interno del palasport, partecipi a questo coro-tormentone:

 

Ed anche i ragazzi della San Diego State University, nel loro piccolo, non sono male:

 

Tanto da aver ribattezzato la loro “student sectionsThe Show (Lo Spettacolo), malgrado i costumini indossati da alcuni dei loro leader:


A proposito del coro-tormentone “I believe that we will win!”, non deve essere passato inosservato nemmeno qui da noi in Europa, se è vero che a Nantes, in Francia, gli ultras della Brigade Loire…:

 

 

Un altro coro di sicuro effetto, assai diffuso nei palasport e negli stadi delle università americane, ce lo mostrano questa volta i ragazzi del Kennel Club di Gonzaga University, che saltano e cantano all’unisono sulle note di Zombie Nation:

 

Nel repertorio di alcune “student sections” non mancano nemmeno i grandi classici del tifo, resi celebri da eventi sportivi su scala mondiale. Ad esempio il classico Po… popopopopopo… sulle note di Seven Nation Army, che dopo i mondiali del 2006 è diventato un tormentone anche in molte delle nostre curve ed è, a quanto pare, ancora di gran moda nei palasport studenteschi nord-americani, come ci mostrano i ragazzi della Central Catholic High School:

 

Altrettanto in voga lo sono anche certi grandi classici di provenienza britannica, come il classico coro sulle note di “And when the saints go marchin’ in cantato dai fans della St. Joseph’s University, che imitano lo stile dei fans del Manchester United (e non solo):

 

Ad inizio gara, rigorosamente, viene cantato a squarciagola l’inno della propria squadra (che altro non è se non quello del college!) ed in questo, così come in alcuni altri cori, i giovani supporters sono accompagnati dal sottofondo dei fiati e delle percussioni della loro “banda”; un po’ come avveniva da noi nel recente passato con il rullare dei tamburi (che in qualche palasport ancora sopravvivono), o come ancora oggi avviene, ad esempio, negli stadi e nei palasport argentini, dove i cori delle “barras bravas” sono accompagnati dal sottofondo degli strumenti a fiato e dei tamburi di una banda musicale che è parte integrante della “barra brava “ stessa.

Sempre a proposito di cori, va detto anche che le “student sections” non disdegnano quelli offensivi, in aggiunta ad altre azioni di disturbo di vario genere nei confronti della squadra avversaria e, spesso, anche nei confronti dei sostenitori della squadra ospite, come ci mostrano i ragazzi della Temple University, rivolgendosi ai loro rivali della St. Joseph’s University (una sorta di derby), qui di seguito:

 

Anche qui (da notare, in questo video ripreso da più vicino, l’utilizzo di striscioni offensivi tenuti in mano da chi è in prima fila):


Per la cronaca, quel the Hawk (il falco) che i ragazzi della Temple vogliono morto, altro non è che il nickname ed il simbolo dei rivali della St. Joseph’s.

Dopo aver visto un po’ di filmati in cui si vede chiaramente che a lanciare i cori sono alcuni membri delle “student sections”, uno per volta o anche più persone contemporaneamente, è giunto il momento di sfatare una volta per tutte il falso mito secondo il quale l’organizzazione del tifo a quelle latitudini è affidata alle ragazzotte in minigonna e pompon che si vedono sculettare a bordo campo, le cosiddette “cheerleaders”. Infatti, né queste fanciulle né tantomeno i loro amichetti in tutina attillata, che si vedono spesso impugnare dei grossi imbuti simili a dei megafoni o lanciare in aria le suddette ragazze, sono in alcun modo coinvolti nell’organizzazione e nel coordinamento del tifo, ma rappresentano soltanto una nota di colore a margine e nulla più.

Il tifo vero e proprio è invece organizzato e coordinato dai responsabili delle “student sections”, una sorta di “direttivo” che è costantemente all’opera per organizzare tutte le attività, dentro e fuori il palasport.

Una caratteristica che li distingue nettamente dai sostenitori italiani ed europei, anche se di fatto tocca l’aspetto coreografico del tifo, è l’organizzazione di veri e propri spettacoli sugli spalti che da quelle parti chiamano “flash mob” e si basano perlopiù sull’utilizzo coordinato del movimento delle braccia e del corpo (ed infatti, talvolta, si tratta di veri e propri balli di gruppo realizzati sugli spalti, ma del resto che possiamo farci? Siamo pur sempre in America…), come ci mostrano di seguito i ragazzi della University of Maryland, qui:

 

Ed anche qui:

 

Insomma, la classica “americanata”, anche se bisogna ammettere che, in questo caso, i tifosi sono stati senza dubbio parte integrante dello spettacolo.

Ma l’aspetto coreografico del tifo nei palasport del college basket non si ferma qui. Altre tipologie di coreografie vengono realizzate attraverso l’utilizzo di materiali vari come magliette colorate, pettorine, cartoncini, bandierine, lettere di cartone/polistirolo per comporre scritte, oppure tramite il lancio di rotoli di carta, come ci mostrano i bravi ragazzi della John Brown University:

 

Sempre a proposito di “colore” sugli spalti, rispetto a quanto avviene nei palasport del vecchio continente è del tutto assente l’utilizzo di striscioni o “pezze” riportanti il nome della “student sections” (anche se mi è giunta voce che i Cameron Crazies della Duke University qualcosa in passato hanno esposto), mentre sono spesso esposti stendardi di stoffa, cartelloni e anche striscioni di carta (come abbiamo già visto dai ragazzi di Temple) con frasi e slogan di incoraggiamento alla squadra oppure ad un giocatore, piuttosto che per prendere in giro o, addirittura, offendere gli avversari, gli arbitri o i vertici della “Conference” (che, lo ricordo, è la Lega di appartenenza), oppure bandieroni copricurva, come nel caso dei ragazzi della Virginia Commonwealth University:

 

Come avrete notato dai filmati mostrati finora, un’altra caratteristica comune a molte “student sections” sta nel fatto che i ragazzi e le ragazze che assistono alle partite, in alcune particolari occasioni lo fanno con il viso ed il corpo dipinti coi colori sociali, piuttosto che indossando cappelli e copricapo tra i più assurdi e appariscenti o addirittura mascherandosi in stile carnevalesco.

A tal proposito, abbiamo già visto all’opera i Cameron Crazies della Duke University, vediamo ora cosa ci mostrano i ragazzi della Taylor University in occasione della Silent Night (che si celebra in occasione dell’ultima partita giocata prima di Natale con gli studenti della Taylor che si presentano al palazzetto in maschera ed il 10° punto segnato dai Trojans è accolto con un boato degno di un canestro vincente all’ultima frazione di secondo, per poi accompagnare gli ultimi secondi di gioco con un coro natalizio cantato a squarciagola da tutti i presenti):

 

In generale, il modo di affrontare il tifo da parte delle “student sections” dei college americani è incentrato perlopiù all’insegna della goliardia, del “casino” e del divertimento puro e semplice, rivolti a sostenere la propria squadra del cuore e a creare un’atmosfera tale da far divenire il tifo sugli spalti un vero e proprio spettacolo nello spettacolo. Ed è anche attraverso la promessa di queste “atmosfere” speciali intorno al campo di gioco che molti college, soprattutto quelli statali (che di solito non sono in grado di offrire cospicue borse di studio), riescono a reclutare giovani promesse della pallacanestro, affinché decidano di trascorrere gli anni dell’università presso di loro.

Un’attrattiva non da poco, tanto per i prospetti migliori del basket americano, quelli che puntano su una università con un progetto sportivo ambizioso, che gli dia visibilità e li proietti nel paradiso della NBA, quanto per tutte quelle migliaia di giovani giocatori che al termine degli studi non intraprenderanno una carriera da professionisti e perciò, a maggior ragione, non potranno che essere attratti dalla prospettiva di poter vivere momenti di gloria da ricordare per sempre, circondati dal calore e dalla passione di una moltitudine di sostenitori urlanti.

 

E in trasferta? I tifosi delle squadre di college basket, ci vanno in trasferta?

Sì, anche le “student sections” ogni tanto si recano in trasferta al seguito dei propri colori, con mezzi privati ma anche in maniera organizzata (bus, pullmini e carovane di auto al seguito), anche se ciò avviene di rado durante la stagione regolare della propria “conference”, a causa del quasi perenne “tutto esaurito” che fanno registrare i palasport dei college, oltre al costo elevato dei pochi biglietti a disposizione.

Ecco qui, ad esempio, ancora i Colonel Crazies della Covington Catholic High School, in trasferta in occasione di un torneo regionale tra squadre della stessa categoria:

 

Tuttavia, gruppi di sostenitori che si muovono in trasferta ci sono anche laggiù e, malgrado il modo di tifare prevalentemente goliardico e scanzonato, non passa anno in cui non si segnalino episodi di intolleranza e in qualche caso anche di autentica violenza, verbale e fisica, in occasione soprattutto dei derby più sentiti (ad esempio, in occasione delle sfide tra Duke e North Carolina, piuttosto che tra Miami University e Florida State), o in occasione delle sfide decisive per la conquista del titolo di “Conference” (una sorta di “scudetto” della propria Lega di appartenenza, che dà accesso alla successiva fase nazionale per l’assegnazione del titolo di campione NCAA).

 

La differenza rispetto a quanto avviene da noi, nei casi di violenza, è che gli episodi in questione, oltre che stigmatizzati e condannati, vengono trattati come reati comuni in quanto tali (spesso si tratta di risse e scazzottate) e assoggettati alle relative pene previste normalmente dalla legge, a cui fanno seguito condanne di solito molto severe, senza che vi sia il bisogno di ricorrere a “leggi speciali”.

Sta di fatto che, ad esempio, qualche anno fa i Cameron Crazies di Duke (ancora loro!) stavano diventano un problema di ordine pubblico, con la loro esuberanza che aveva ricominciato a riversarsi sui tifosi avversari, oltre che sui giocatori dell’altra squadra, fino a quando una serie di provvedimenti del Rettore stesso, unitamente alle minacce del capo della polizia locale e agli appelli dello storico coach “K”, hanno portato ad un ridimensionamento nei modi di tifare “contro” della frangia più calorosa di sostenitori dei Blue Devils.

Episodi analoghi, nel tempo, sono avvenuti anche in altri college ed hanno portato in qualche caso addirittura allo scioglimento forzato della “student section” incriminata.

Malgrado la mia analisi verta prevalentemente sul tifo da parte delle “student sections” in occasione delle partite di basket, va aggiunto anche che spesso, ma non sempre, questi gruppi di studenti-tifosi sostengono anche altre compagini sportive della stessa università, soprattutto se si tratta della locale squadra di football americano, ma anche di quella di basket femminile, di hockey su ghiaccio, di pallavolo, calcio, etc., così come può capitare che, all’interno dello stesso college, vi siano differenti “student sections” a seguire e sostenere le squadre di diverse discipline sportive.

Infine, potenza del web che avvicina i continenti, le culture e gli stili di vita, presso la University of Michigan è nata da qualche anno a questa parte una “student section” che segue la locale squadra di “soccer” (!) e che sostiene di avere all’attivo circa 900 iscritti. Indovinate un po’ come hanno deciso di chiamarsi? Ultras, naturalmente…

 

Malgrado le inevitabili storture e qualche goffo tentativo di imitare lo stile del tifo europeo e sudamericano, il mondo delle “student sections” è un universo ancora tutto da scoprire, considerato il fatto che nel campionato di basket universitario targato NCAA esistono circa 300 (!) squadre suddivise in 32 gironi (chiamati “conference”) nella sola Division 1 (una sorta di serie A dello sport universitario americano; in totale le Divisions sono 3), e si può tranquillamente dire che per ogni università ci sia almeno una “student section” al seguito di una o più squadre che la rappresentano, con un numero di appartenenti che può variare da qualche dozzina di sostenitori fino a qualche migliaio, a seconda del numero di studenti iscritti in quel college e sulla base dell’importanza e della tradizione sportiva del college stesso, a prescindere dai risultati recenti conseguiti.

Perciò potrà capitare di trovarsi di fronte a “student sections” numerose ed agguerrite che sostengono con passione squadre mediocri, che a malapena arrivano a piazzarsi a metà classifica nella propria “conference”, oppure altre, con numeri e qualità del tifo che fanno tenerezza, al seguito di vere e proprie “principesse” del basket, che malgrado tutto riusciranno ad arrivare a giocarsi il titolo nazionale.

È successo, succede e succederà ancora.

Le “student sections”, un universo tutto da esplorare, al di là della Terra da noi conosciuta.

 

Giangiuseppe Gassi.