Malgrado sia fine maggio il campionato di Promozione laziale deve dare ancora alcuni dei suoi responsi, tra cui il vincitore della Coppa Italia. A contendersi il trofeo sono il club romano del Grifone Gialloverde (sezione calcistica della Guardia di Finanza) e il Ceccano, storico sodalizio ciociaro impelagato ormai da oltre venti anni nei bassifondi del dilettantismo regionale. Se per i primi la sfida rappresenta l’occasione per bissare la recente vittoria del campionato e portare in bacheca una memorabile doppietta, per i rossoblù assume un significato molto più importante e delicato. Un’affermazione permetterebbe loro di conquistare la promozione in Eccellenza, mentre in caso di sconfitta sarebbero costretti a ricorrere agli spareggi con le altre seconde classificate degli altri gironi. A ospitare la finale è lo stadio “Rocchi” di Viterbo, con i supporter indirizzati su un’unica tribuna, anche grazie all’assenza di una tifoseria organizzata su fronte gialloverde. Discorso diverso per i fabraterni, che riempiranno tutto il loro settore, strabordando anche in quello degli avversari. Numeri che testimoniamo l’importanza della sfida ma anche l’entusiasmo riaccesosi in riva al Sacco.
Quando manca poco meno di un’oretta al fischio d’inizio, all’esterno dello stadio sono in molti a bere le ultime birre e gli ultimi Borghetti per fare il loro ingresso sulle gradinate e aiutare gli altri ragazzi a preparare la scenografia da esibire all’ingresso delle formazioni. I controlli dei biglietti e le perquisizioni sono fin troppo asfissianti per essere una partita senza due tifoserie, per giunta di sesta divisione, ma l’equiparazione tra tifosi e terroristi è ormai all’ordine del giorno e non conosce categoria, quindi ci si può (ci si deve!) infastidire ma non ci si può sorprendere. Se poi di mezzo ci sono i fluorescentissimi steward, allora il tutto assume quel tocco di tragicomico di cui l’Italia ha costante bisogno per ridicolizzarsi in queste situazioni. Conquistato il terreno di gioco e lasciati i timpani in balia delle consuete musichette del pre gara, mi soffermo a osservare la meticolosità con cui i ragazzi dei gruppi rossoblù sistemano striscioni, materiale, stendardi e bandiere. Nel frattempo le squadre stanno effettuando il riscaldamento e i collaboratori della Lega organizzano tutto per la premiazione di fine partita. Un tempo queste gare erano sinonimo di tensione, vero, ma anche di festa. Occasione di mettersi in mostra per leghe e categorie minori. Oggi spesso sembrano voler a tutti i costi scimmiottare ciò che avviene in Serie A o nelle competizioni europee, inventando improbabili protocolli da seguire prima, durante e dopo e spingendo su limitazioni e paletti nella trasmissione di cronaca e immagini. Ma tant’è, questo è il favoloso mondo del calcio: un ambiente dove spesso si vogliono fare le nozze con i fichi secchi.
Quando tutto è pronto per accogliere i ventidue giocatori e il tifo organizzato fabraterno ha già ampiamente scaldato i propri motori, ecco la scenografia calare sul settore: un telone centrale raffigura due crociati in primo piano e Ceccano sullo sfondo. Si tratta di un omaggio al pittore ceccanese Marco Gizzi (nonché della riproposizione di un suo dipinto). Decine di cartoncini con i colori sociali si stagliano ai lati e sulla balaustra viene affisso lo striscione “Per la città, per la maglia…conquistiamola!”. Vengono accesi anche diversi fumogeni rossi e blu, producendo un bell’effetto e fungendo da propulsione per il tifo che comincia a levarsi potente, vedendo la partecipazione di tutto il settore. Per i ceccanesi è l’occasione, dopo tanti anni, di poter coinvolgere appassionati e semplici sportivi in qualcosa che aiuta sempre a cementare i rapporti tra ultras e resto della tifoseria e, soprattutto nel primo tempo, non si fanno pregare: bandieroni sempre al vento, belle manate e cori a rispondere che rimbombano sotto la copertura della tribuna. Malgrado in campo la partita sia scialba, la loro performance è convincente e, dopo l’intervallo, riparte con la seconda scenografia della giornata: una serie di stendardi – alcuni davvero ben fatti e originali – vengono issati, mentre sotto lo striscione di carta “Appartenenza” ne sottolinea il significato. Bello, semplice e diretto. Poco da dire. Ennesima dimostrazione di come, la maggior parte delle volte, non occorra ingegnarsi in chissà quale spettacolo da kolossal, ma basti ricorrere alla nostra cara, vecchia e mai sopita tradizione.
Se sugli spalti lo spettacolo continua a essere notevole e suggella il ritorno su ottimi livelli del movimento ultras ceccanese, in campo le squadre annaspano trascinandosi ai supplementari e, successivamente, ai rigori. Durante l’extratime sulla balaustra salgono anche i “più vecchi”, nel tentativo di caricare ancor più l’ambiente e trasmettere l’importanza che il successo potrebbe avere. Ma come spesso succede in queste situazioni, alla fine è la squadra meno blasonata e che ne ha meno bisogno a vincere, spuntandola dal dischetto per 3-1 e festeggiando il trofeo che significa “double”, come dicono gli inglesi. Lo sconforto è grande tra le fila ciociare, con il contingente giunto fin qui che dapprima si dispera, osservando qualche minuto di interdetto silenzio, per poi applaudire e richiamare sotto al settore la propria squadra, ricordandole come non sia finita qui e ci siano ancora gli spareggi dove tentare di salire in Eccellenza. Durante le fasi di premiazione si registra anche qualche tensione a causa delle inutili e puerili provocazioni di “qualcuno” che non solo con gli ultras non ha nulla a che fare, ma non appartiene neanche alle fila degli sconfitti (che a logica potrebbero avere più veleno in corpo). Situazioni gratuite, create da un’intelligenza che definire dubbia è un complimento, che tuttavia mettono sempre a repentaglio il tifo organizzato in quest’epoca dove ormai non si ricorre neanche più a contraddittori o all’analisi seria e onesta di fatti accaduti, ma si procede direttamente a colpire nel mucchio, basta che nel raggio di cinque chilometri ci sia la parola ultras o qualcuno provi anche, solamente, a pensarla!
La tribuna è ormai deserta quando i giocatori del Grifone Gialloverde alzano la coppa al cielo, accendendo persino dei fumogeni in campo. Pure qua avrei tante, troppe, domande da fare: se lo fanno i tifosi rischiano di prendere denunce, diffide e dover affrontare esosi processi, se lo fanno i giocatori si tratta di un simpatico atto di folklore. Che per carità, a me va benissimo e sono del tutto favorevole. Però si dica chiaramente che esistono due pesi e due misure e che certi provvedimenti vengono presi in modo pretestuoso. Perché, effettivamente, torce e fumogeni fanno talmente parte della cultura calcistica del nostro Paese, che pure ai Cristiano Ronaldo dei poveri viene naturale accenderli! Terminata l’ultima polemica della giornata (sic!) non mi resta altro che riprendere l’attrezzatura, il documento e riguadagnare la strada di casa. Il caldo primaverile della Tuscia si fa sentire prepotente, malgrado si avvicini la sera. Gli ultimi pullman di tifosi ceccanesi stanno andando via, lasciandosi dietro il tipico scenario di uno stadio dove lo spettacolo si è appena consumato e la vita si avverte passata ma frenetica. Per loro la strada – sia quella verso casa che quella sportiva – sarà ancora lunga. Per me sarà tortuosa, considerato che una volta arrivato a Roma dovrò aspettare lungamente i comodi dell’autobus per casa… ma questa è normale routine!
Simone Meloni































































