Se il precampionato è il momento dell’anno in cui si covano più sogni, i primi riscontri restituiti dalla squadra in campo portano inevitabilmente il tifoso a interrogarsi su quanto ancora sia lecito sognare e dove, invece, fare a pugni con la realtà per evitare dolorosi risvegli postumi. Qual è il vero Cesena di questo 2024-25? quello che s’è imposto anche in casa dell’Hellas Verona in Coppa Italia? oppure quello che a Sassuolo ha dovuto subire già il primo stop stagionale? Più della mera questione calcistica, che a noi interessa poco, è interessante capire l’approccio e le reazioni della tifoseria a questo stato di cose.
Al Manuzzi arriva un Catanzaro già rodato dal suo precedente campionato in B, in cui, tra l’altro, era arrivato fino alla semifinale dei playoff, fermandosi a un passo e mezzo da quella Serie A che ha visto i calabresi già protagonisti, con alterne fortune, fra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso. La storia della sua tifoseria, invece, che s’è cementata in quegli anni grazie all’imprescindibile contributo proveniente dal campo, è altresì rimasta in vita grazie anche alla caparbietà con cui, nei periodi più bui, UC e soci hanno mantenuto dritta la barra. Avevo visto per l’ultima volta i catanzaresi proprio in uno di questi momenti infausti, all’ultima giornata del torneo cadetto del 2006, in cui, dopo la sconfitta per 3-0 a Bologna, i giallorossi non solo salutarono mestamente la categoria, ma conobbero anche l’onta del fallimento con successiva ripartenza dalla C2 grazie al Lodo Petrucci.
C’erano quella volta i catanzaresi, orgogliosi seppur non numerosissimi e li ritrovo ovviamente anche oggi; già schierati all’interno del loro settore quando guadagno l’ingresso. Non so se per il mio pessimo tempismo o se effettivamente per una loro precisa scelta, ma il fatto di vederli già là, senza l’ormai abusato arrivo scenico in gruppo che si ripete dalla A fino alle categorie minori, mi predispone sicuramente di buon umore. A livello numerico sono 631 i tifosi giallorossi giunti in Romagna: non un esodo biblico che nell’immaginario si associa solitamente alle tifoserie meridionali, ma tutt’altro che disprezzabili considerando che si gioca in infrasettimanale e per di più ancora in periodo vacanziero.
Come all’esterno dello stadio, il prepartita è molto disteso, ma c’è evidente voglia, in entrambi gli schieramenti, di farsi valere sull’avversario per potenza o, in alternativa, per continuità e originalità. I primi cori della Ovest formato trasferta sono parecchio potenti: già al cospetto dei carraresi nell’esordio interno, pensavo di aver assistito ad una buona prestazione, ma i catanzaresi fin da subito mi impressionano molto, dandomi la perfetta misura di quanto si sia alzata l’asticella del tifo in Serie B. Ottimo l’impatto visivo per il buon quadrato che si forma al centro del settore superiore, ulteriormente enfatizzato dalla scelta dei più di seguire la gara a torso nudo. Contribuisce all’effetto cromatico sia la presenza degli striscioni e delle pezze dei principali gruppi calabresi, sia le tante bandiere e i due aste, tutti di fattura molto piacevole. Il saluto alla squadra che si avvia verso il centro del campo per l’inizio delle ostilità, si completa con un po’ di pirotecnica occultata fra le gambe dei presenti, che mette in risalto le bandiere e chiude nel solco dello stampo italico questo momento topico della serata.
Da sempre fortemente improntato sulla tradizione ultras nostrana è anche l’approccio cesenate al tifo. Nei minuti che precedono la gara si rinnova il rito del “Romagna capitale” cantato a squarciagola da tutti i presenti, in tutto lo stadio, ultras o tifosi che siano e che accompagnano non solo con la voce, ma anche con una bella sciarpata. Al fischio d’inizio poi, il colore si rinforza con tutto l’armamentario di bandiere, bandierine e due aste, oltre, clandestinamente anche in questo caso, a un po’ di pirotecnica. Dall’attesa del via fino ai momenti successivi, la Curva Mare è su livelli molto alti dal punto di vista della potenza vocale e della partecipazione, e questa non è una novità, ma rispetto al passato più recente, si legge in filigrana una maggiore convinzione, una rabbia agonistica che forse negli anni di D e C era andata man mano annacquandosi, sostituita da una sorta di senso del dovere: in buona sostanza il tifo c’è sempre stato, ma se nelle categorie inferiori era un minimo sindacale in un contesto che si sapeva essere troppo stretto per il loro valore e le loro ambizioni, in Serie B invece i cesenati vogliono dimostrare di essere all’altezza della situazione e di poter anzi anche sognare e meritare qualcosa di più.
Notevole la prima parte con un botta e risposta molto più neutro rispetto alle piccanti provocazioni con i toscani nella precedente uscita, ma non per questo meno intenso, anzi. C’è persino molta più potenza, da una parte e dall’altra, con un’atmosfera che fuor di retorica sembra davvero di altra categoria. Aggiunge nuovo ed ulteriore abbrivio ai padroni di casa la rete di Kargbo al diciasettesimo minuto, la cui sbornia di gioia aiuta a superare la fisiologica fase di stanca che segue all’acme del fischio iniziale; poi sono molto bravi i coristi a indovinare un paio di “classiconi” ripetuti, che tirano in ballo i rivali bolognesi o rinverdiscono la nostalgia dei tempi di Magdeburgo, tutti temi che fanno molta presa sui presenti e che garantiscono un periodo ulteriore di ottimo sostegno.
I catanzaresi, che dopo il brillante inizio riescono anche ad assorbire bene il contraccolpo della rete subita, infoltiscono nel frattempo le loro file grazie all’arrivo dei gemellati fiorentini, presenti con tanto di pezze e ai quali dedicano una serie di immancabili cori di gratitudine e amicizia. Insistono su motivi di supporto alla maglia i giallorossi, i quali propongono soprattutto un “Siamo gli UC vogliamo vincere…” e risvegliano e rinserrano la schiera, per un finale di frazione – in cui costante è lo sventolio dei bandieroni – davvero molto molto positivo.
Il secondo tempo inizia subito con il botto per il Cesena, che raddoppia dopo soli due minuti grazie ad un Adamo in spolvero, evento che inevitabilmente influisce sugli umori delle rispettive tifoserie, entrambe sì sempre continue ma con il volume che inevitabilmente è tutt’appannaggio dei padroni di casa, che sembrano aver recuperato quel ruggito dei tempi migliori in A e B già di tanto in tanto avevano rievocato in questi anni, ma che qui si ripropone a gole spiegate e con una maggiore costanza.
In questo frangente, i bianconeri replicano la sciarpata iniziale, questa volta su “Romagna e Sangiovese”, altro grande classico del repertorio del liscio, che dalle balere locali è divenuto patrimonio pop grazie al successo dell’Orchestra Casadei. I dirimpettai perdono qualche effettivo ma non la voglia di tenere vivo il tifo per le Aquile, venendo premiati dalla fiaccola tenuta da loro accesa che divampa in fiammate quando la loro squadra prova a rimettere in discussione il risultato. Se nella fase centrale di questi secondi quarantacinque, l’attenzione agli eventi in campo e una certa tensione prevalgono anche sul tifo, decisamente in crescendo è la parte finale, in cui provano a spingere alla ricerca di quel goal che riscriverebbe tutto. Sventolano sempre le bandiere, mani costantemente al cielo, qualche coro secco (fra i quali nuovi attestati di stima per Firenze) di gran livello fino all’apoteosi al goal di Bonini, poi annullato al VAR e su cui virtualmente cala il sipario sulle velleità di squadra e tifosi. Resta vivo l’orgoglio ma ormai la contesa è virtualmente chiusa; gli ultras continuano a cantare anche se i semplici tifosi vengono sopraffatti dai montanti sentimenti negativi della sconfitta. È comunque ancora l’inizio di stagione e non è il caso di far drammi, per cui la tifoseria calabrese tutta, abbraccia comunque idealmente la propria compagine dopo il triplice fischio dell’arbitro, rinnovando quell’alleanza fra campo e spalti che tutti sperano possa portare ad un nuovo assalto alle porte di quel paradiso chiamato Serie A.
Stessa comunione di spiriti è possibile vederla nei settori bianconeri, con WSB e compagnia che offrono l’ultima sciarpata di giornata su “Romagna mia”, cantata anche dai calciatori stretti fra loro sotto il settore. Tutto si è incastrato alla perfezione in un circolo virtuoso che si è auto-alimentato e in cui la squadra che si è espressa al meglio, resistendo al ritorno avversario, ha tratto linfa dalla tifoseria che non ha mai smesso di farsi sentire e viceversa. Prima di arrivare all’epilogo, cori a rispondere fra curva e distinti, altri sfottò ai rivali storici, manate a profusione, altri cori più secchi, bandiere, torce che di tanto in tanto brillano nascoste fra i presenti. Inappuntabile, insomma, anche la Cesena sugli spalti. Null’altro da chiedere se non che questa formula possa essere riproposta nel tempo ed esportata con più veemenza fuori casa dove, per mille ragioni, compresa l’imposizione dell’odiosa tessera del tifoso che i tifosi organizzati per lo più ancora rifiutano, non hanno visto ugualmente o sempre protagoniste le due anime del calcio romagnolo.
Matteo Falcone