È un altro Cesena rispetto a quello della scorsa stagione. Di partita in partita sempre più consapevole delle proprie forze. Anche il girone sembra molto meno equilibrato e combattuto rispetto all’anno scorso, quando lo stesso Cesena si è lungamente conteso la testa della classifica con Reggiana e Virtus Entella, con Vicenza e Ancona persisi durante il cammino. Stavolta e per quanto la strada sia ancora lunga da qui alla fine del campionato, sembra ormai una questione a due fra i bianconeri romagnoli e la Torres.
Certo il calcio resta il più imprevedibile degli sport ma almeno sulla carta, una Lucchese da media classifica non dovrebbe comportare un ostacolo insormontabile, se affrontata con rispetto e pragmatismo come la squadra di mister Toscano sa fare. In ogni caso non è questo che mi riporta al “Dino Manuzzi”, spinto anche dal calcio d’inizio alla domenica pomeriggio, quanto la curiosità di vedere all’opera i lucchesi, tifoseria di lungo corso che non vedevo da un vecchio Spal-Lucchese di non ricordo nemmeno quante ere geologiche fa.
Guadagnato l’ingresso trovo in realtà il settore semivuoto, anche se la cosa non mi preoccupa granché visto che prima di entrare, alla rotonda che divide la strada degli ospiti dalla tribuna, ho visto passare tre pullman. Salutati da ampie indicazioni dei locali che, a due braccia, invitavano a prendere il percorso inverso che finiva in mezzo alle loro gambe. Tutto ovviamente e amorevolmente ricambiato dalla controparte. Il folto codazzo di auto e blindati blu non lasciava però troppo spazio al passaggio dalla teoria alla pratica, così come la successiva esplosione di bombe carta dal loro parcheggio non dava adito a troppi dubbi sulla natura degli occupanti dei mezzi o sul fatto che di lì a poco il confronto si sarebbe spostato sugli spalti.
L’inizio è dunque tutto ad appannaggio dei padroni di casa che partono, come da consolidata tradizione, con una sciarpata sulle note di “Romagna capitale” che però – son gusti personali – non riesco a farmi piacere fino in fondo a causa della seconda voce degli altoparlanti che si accavalla a quella più emozionante e calda del pubblico. Meglio, molto meglio quando viene sparata a tutto volume “L’amour tojours” di Gigi D’Agostino, tormentone rivisitato in tutte le salse e da tutte le curve italiane, che però non riesce ad adescare i tifosi, i quali non solo continuano a cantare il proprio coro ma scavalcano anche in potenza l’impianto di amplificazione dello stadio.
Riposte le sciarpe dopo il prepartita, quando le squadre scendono in campo non c’è niente di trascendentale in Curva Mare, se non il già di suo importante armamentario di bandiere e due aste che colora sempre il settore ogni qual volta il Cesena scende in campo. Bella macchia di colore in zona Sconvolts dove il loro materiale verde-giallo-rosso spicca nettamente sul bianco e nero dominante.
Molto potente è la partenza dei padroni di casa in termini canori, ulteriormente enfatizzata dall’assenza di una voce avversaria che vi si oppone. Il positivo abbrivio che accompagna l’ingresso e i primi minuti in campo dei propri beniamini, viene aiutato nella sua estensione dall’ingresso al decimo minuto dei lucchesi, evento che aggiunge decibel e pepe al loro tifo. Leggera flessione verso il ventesimo minuto ma che riescono a invertire ricorrendo con astuzia a qualche coro ripetuto, sempre utile per serrare i ranghi e scaldare gli animi. Di una certa potenza anche il ripetuto che riservano ai lucchesi appena entrati e a tutta la razza toscana, meno potente ma molto efficace la rivendicazione, o se vogliamo il ribaltamento semantico degli ospiti che, a loro volta, riprendono il coro per vantarsi di essere parte di quella stessa razza di figli di putt*na.
Degli oltre diecimila presenti (10.101 secondo i dati ufficiali forniti dalla società a fine primo tempo), sono 286 quelli giunti da Lucca (secondo il dato che qui proviene invece dall’encomiabile lavoro di Stadiapostcard). Numeri buoni quelli dei rossoneri, resi ancora migliori dall’ottima compattezza con cui si posizionano nel settore loro riservato. Peccato scelgano (o gli viene imposto? Non lo capirò mai…) l’anello inferiore, in cui inevitabilmente finiscono per schiacciarsi, perdendo in impatto visivo, oltre che, in parte, schermare la loro voce.
Tolte le tifoserie più piccole per storia o bacino d’utenza, difficile comunque ricordare una trasferta indegna in termini numerici da queste parti: il “Manuzzi” è uno di quegli stadi che invoglia a seguire la partita dal vivo, si respira storia calcistica, c’è sempre una bell’atmosfera, spalti pieni, una tifoseria importante con cui confrontarsi, nessuna odiosa pista d’atletica o diciottomila anelli in cui, nella piccionaia in cui cacciano gli ospiti, ci si arriva con gli sherpa al posto degli steward. Settore ospiti e parcheggio annesso ben separati dai locali, anche a prova del tifoso medio più timoroso e un impianto completamente coperto a fare il resto, a riprova che si possono avere strutture moderne e funzionali senza dover per forza vomitare altro cemento in città, o per meglio dire nelle sue più remote periferie.
La differenza vera tra tutti i vari attori che si sono avvicendati in Curva Ferrovia è puramente qualitativa e la prova dei lucchesi è senza dubbio di buon livello da questo punto di vista. Arrivano come detto in ritardo di dieci minuti, irrompendo in massa e scenograficamente nel settore. Dopo lo scambio di convenevoli con i cesenati, si compattano dietro le proprie pezze tenute a mano, tutte di pregevole fattura fra le quali colpisce sicuramente per originalità “GB Company”, rivisitazione del noto marchio di abbigliamento.
Un secco “Vaff*anculo a tutto lo stadio” mette una sorta di punto sull’iniziale querelle fra le parti e dà il via al primo coro, tenuto su per una buona decina di minuti. Generalmente il loro tifo appare molto positivo, asciutto e lineare, aiutato anche dalla compattezza e dall’ampia partecipazione dei presenti. Ad una buona prima frazione, segue una seconda che parte un po’ più in sordina e servono quasi dieci minuti per azzeccare il coro giusto, fino a quando il vecchio “…boato che farà tremar la terra e il mar…” fa finalmente breccia, risultando molto bello da sentire.
Al minuto sessantadue il Cesena trova la via del goal con Pieraccini, ennesima stellina del floridissimo vivaio romagnolo, marcatura dopo la quale alla massima esplosione di gioia dei tifosi di casa, corrisponde una Lucca che sugli spalti non sparisce e non si sfilaccia. Diventato più difficile pareggiare i decibel dei padroni di casa, cercano di innervosirli e spezzettare il loro ritmo ributtandola sullo sfottò, inserendosi poi nelle pause che i dirimpettai osservano fra un coro e l’altro.
Più che sentirsi però, gli ospiti riescono meglio a farsi vedere con bandieroni e battimani, restando sempre vivi e attivi fino allo scorcio finale di gara, quando restano giustamente mortificati dalla propria squadra che si fa infilare altre due volte, in entrambi i casi da Cristian Shpendi, giovane attaccante anche lui proveniente dalla Primavera bianconera. Una chiusura in tono minore che però non delegittima la loro prestazione che può complessivamente dirsi positiva.
Senza dubbio positiva anche la prova dei padroni di casa che non sarà uno dei suoi picchi massimi in termini di tifo, ma conferma altresì – parallelamente alla propria squadra – un momento di buona salute, in cui gli standard canori sono sicuramente più consoni ai loro numeri, che sono invece indiscutibilmente di categoria superiore. A far la differenza quest’oggi è la partecipazione, con non solo il gruppo centrale più folto e attivo del solito, ma anche il resto della Curva Mare e anche dello stadio sugli scudi, tanto che per l’occasione viene rispolverato anche il coro a rispondere fra Curva e Distinti, anche se il tentativo di bissarlo cade un po’ a vuoto.
C’è voce, c’è colore, le bandiere sono costantemente al vento, tante anche le manate, compresa una molto scenografica che si muove avanti, indietro, a destra, a sinistra. Ciclicamente e sempre ben occultata agli sguardi indiscreti, si vede anche un po’ di pirotecnica. Anche loro dopo un ottimo primo tempo, ci mettono un po’ a carburare nel secondo ma una volta partiti non si fermano più, aiutati anche dal vantaggio poco dopo un quarto d’ora dalla ripresa.
Bellissimo a fine gara quando parte un’invasione spontanea ma corposa di bambini. Una scena bellissima nella sua imprevedibilità, che nel suo impeto di partecipazione diffusa sembra risvegliare l’istinto primordiale del calcio come rito collettivo, con buona pace dello speaker che lamenta possibili multe. Come per la pirotecnica, se non c’è alcun abuso, se tutto resta ascrivibile al puro folklore, le società dovrebbero ribaltare i tavoli della Lega (di cui fanno parte) e rifiutarsi di pagare multe stupide che sono mere estorsioni di denaro. Va punito l’eventuale reato, non allestire reparti o osservatori di psicopolizia per punire persino il pre-crimine come in un romanzo di fantascienza distopica.
Di tutt’altro avviso ovviamente gli ultras che chiamano “Tutti i bambini sotto la curva” e dedicano l’ultima sciarpata di giornata a loro e alla squadra stretti in un unico grande abbraccio. Una boccata d’ossigeno in un mondo del calcio che puzza di naftalina, collusioni, astrusi esperimenti di marketing e controllo sociale. Come se a guardarlo e seguirlo fossero solo vacche da mungitura.
Matteo Falcone