Lo scrittore Domenico Mungo sta portando avanti da almeno un decennio un discorso importante: una incursione letteraria nelle controculture, dotata di grandi strumenti di analisi e conoscenza, ma fondamentalmente e prevalentemente votata all’attacco, all’annotazione (ora in presa diretta, ora in forma distonica) della ribellione e della predisposizione d’animo che richiede. A differenza di qualche aspirante cattivo maestro, sia più giovane sia più vecchio, Mungo non ha mai avuto toni didascalici, non ha mai voluto edificarsi la sua rendita di posizione basata sulle appartenenze. E si che molte ne avrebbe da poter rivendicare: la rovente scena punk dell’algida Torino, tra fine Ottanta e inizio Novanta; l’esperienza del mediattivismo nei movimenti antagonisti; più di tutti, la fede viola fatta discorso sulla città e nella città, contro ogni conformismo e mercificazione. Negli ultimi tempi, il “Nostro” ha valorosamente ripreso in mano le storie e le scorie del G8 di Genova e bisogna dire che anche lì è riuscito ad essere all’altezza delle grandi narrazioni underground che si nutrono di cinema, musica e poesia metropolitana. Non ha fatto ideologismi, non ha tessuto trattatelli sulla istituzione o sulla non istituzione di una commissione di inchiesta. Non è entrato nel merito sulla storia dei tanti leader e leaderini che sono stati spazzati via dalla percezione collettiva ben prima che trascorressero questi inquietanti quindici anni di storia italiana.

Ci pare, però, che la sua cifra stilistica più azzeccata sia sempre quell’inquietudine che parte dallo stadio e dalle sue storie, dando vita a violenti blues metanfetaminici. Di recente, ci è ricapitato tra le mani, in una ormai difficilmente rintracciabile prima edizione (bissata, nel 2010, dai tenaci ribelli di Boogaloo Publishing), “SENSOMUTANTI. L’amore ai tempi del DASPO”. Cosa sia il DASPO lo abbia imparato tutti, chi lo ha contrastato e subito, chi lo ha subito ancor prima di poter contrastarlo. Ora la misura si è allargata dagli stadi alle città, come proprio il tifo organizzato aveva previsto (il DASPO urbano era la logica conseguenza di un laboratorio di controllo delle esperienze sociali non conformi). E “SENSOMUTANTI” conferma benissimo quella vena sperimentale che Mungo saprà mettere ancor meglio a fuoco nelle fortunate pagine successive: non c’è un canovaccio già scritto, né un solo piano narrativo. Piuttosto, più voci che si incontrano, incastrano e scontrano, sul proscenio di un io narrante che ripercorre davvero tutto quello che valga la pena percorrere: l’insubordinazione, l’identificazione nei luoghi, nelle radici e nelle strade, l’amore, il nichilismo di una generazione (ormai, due) consapevolmente massacrate dal potere, perché private di accesso al reddito, di speranze, di aspettative di vita, di garanzie di libertà.

La mutazione di orizzonti semantici, per come la fotografa Mungo in sequenze sincopate quasi in stile Russ Meyer, è compiuta, a quasi tre lustri di distanza. Ma è proprio dalla brace di quei giorni che può risollevarsi l’interesse per esperienze altre, dotate di pienezza, di crisma letterario – sicuramente – ma soprattutto fatte di tamburi che rullano, di battimani che rimbombano, di drappi e pezze che si attaccano per gli stadi d’Italia. Ultras sette giorni su sette. Sì, qualcosa del genere.

Domenico Bilotti