Partiamo dal principio: 16 giugno 2013, il Latina supera 3-1 il Pisa al Francioni in occasione della gara ritorno per la finale Playoff di Lega Pro e vola in Serie B. È la prima volta in sessantotto anni di storia. La città esplode in una festa spontanea con i palazzi imbandierati di nerazzurro e Piazza del Popolo presa d’assalto dai tifosi. È l’epilogo di un campionato da consegnare agli annali per il club e la città. Un torneo a cui ne seguirà un altro ancor più incredibile. La Serie B 2013/2014, infatti, porta il Latina a un soffio dalla Serie A; la semifinale Playoff col Bari e la finalissima col Cesena di Bisoli rimarranno per sempre scolpite nella mente dei tifosi pontini.

Un vero e proprio fiume nerazzurro si sposta prima alla volta del San Nicola e poi verso il Manuzzi. In Romagna è Cisotti a rimettere i ragazzi di Breda in corsa, dimezzando lo svantaggio di 2-0 e rimandando il discorso all’epilogo di quel torneo.

Il 19 giugno 2014 il cielo è torbido sul Basso Lazio e un’ora prima del fischio d’inizio scarica tutta la sua violenza con un acquazzone che non lascia scampo a persone e cose. I rubinetti si chiudono proprio a ridosso della partita e pochi minuti dopo l’inizio Bruno sembra illuminare il cielo sopra ai propri tifosi portando in vantaggio i laziali con un gran gol dal limite. Il sogno finirà nella ripresa con i romagnoli che ribalteranno il risultato conquistando la massima categoria. Ma gli applausi ricoprono ovviamente il Latina sconfitto. È il punto più alto del calcio cittadino, oltre a un altro tassello importante che va ad incastrarsi in quel mosaico che sta dando sempre più risalto a un calcio regionale che fino a quel momento ha visto primeggiare soltanto le due squadre della Capitale.

Perché questo revival? Avrei voluto scrivere questo articolo in un’altra chiave, prettamente ultras, ma le festività e gli impegni intercorsi tra la partita e la stesura del pezzo sono coincise con un altro momento storico per il calcio latinense, anche se in negativo.

Proprio quest’oggi il Tribunale Nazionale Federale ha inflitto altri cinque punti di penalizzazione al Latina, deferendo per sei mesi gli ex presidenti Ferullo e Weinstein e per undici Benedetto Mancini (che faceva parte del CdA della vecchia società), in procinto di riacquistare il club, fallito lo scorso 9 marzo in seguito alla gestione Maietta. Attualmente Mancini ha versato il 10% delle quote in occasione dell’asta tenutasi il 18 marzo ed entro l’11 maggio è obbligato a depositare il resto.

“Come previsto – si legge su Latina Oggi – i punti sono arrivati in numero di 3 per via del mancato pagamento degli stipendi del 16 febbraio scorso sotto la gestione di Benedetto Mancini (1 per mancato pagamento stipendi, 1 per i contributi e l’altro per la recidività). Gli altri due sono per la fideiussione non rinnovata, che andava fatta entro il 31 gennaio”.

Ciò vuol dire retrocessione aritmetica. Un retrocessione che non avviene del tutto sul campo. Solo questo basterebbe per parlare dell’ennesima sconfitta di un calcio – quello italiano – sempre più governato e mosso da personaggi di passaggio, in gradi di rendere grandi i club e lasciarli in mutande qualche anno dopo. “Ci sarà un ricorso – si legge sempre su Latina Oggi – perché quanto accaduto è avvenuto nel corso dei giorni in cui era arrivata l’istanza di fallimento per il club, gravato da una molte di debiti non più sanabile”

E in tutto ciò chi ci rimette? Facile: i tifosi. Sono questi i casi in cui persino un tipo scettico e poco avvezzo agli slogan come me si rende conto quanto sia vero l’assunto che vuole il pubblico l’unico depositario morale della storia e delle tradizioni di una squadra.

In questi anni abbiamo spesso parlato di Latina, del suo tifo e della sua realtà. Una città sicuramente particolare, con la sua giovane storia e la sua identità in continua in via di consolidamento. Eppure con un realtà ultras che ha sempre timbrato il cartellino, magari con i suoi limiti e i suoi difetti, ma con una continuità che troppo spesso non è riscontrabile il altre piazze più decantate e storicamente rispettate. Personalmente credo che questa sia una retrocessione che va a colpire, nei modi, soprattutto chi ha sempre professato la propria fede in un determinato modo.

E penso anche si tratti di un qualcosa che debba far lungamente riflettere. Ogni anno in Italia abbiamo decine di casi similari, in alcune circostanze addirittura c’è chi sale ai massimi onori delle cronache calcistiche per poi sparire a causa di tremendi fallimenti. Non sembra essere il caso dei nerazzurri, che a quanto sembra daranno seguito alla propria attività grazie a una nuova proprietà, ma il filo gestionale rimane sempre quello. E a prescindere da chi sia non è mai bello vedere una squadra o una tifoseria cancellate dalla mappa dello sport italiano o declassate preventivamente per decisioni prese da tribunali o federazioni anziché per gare disputate sul terreno di gioco.

Senza parlare di quanto ormai tutti i campionati vengano regolarmente falsati in corso d’opera. Questo tanto per ricordare il motto coniato dai signori del calcio: “Gli ultras sono la rovina di questo sport”.

Così è difficile parlare di Latina-Ascoli come se nulla sia successo. A differenza di quella giornata di tre anni fa c’è un sole caldo e splendente in questo sabato di fine aprile. Ci sono ragazzi e ragazze che girano per le strade della città proprio mentre scendo dall’autobus che viene dallo Scalo e mi avvio verso l’impianto di Piazzale Prampolini. C’è la voglia – da parte della Nord già radunata nei pressi del Francioni – di non lasciare nulla al caso e giocarsela fino in fondo. Anche a livello di curva. Del resto di fronte c’è un avversario storico, sia in campo che sugli spalti.

Qualcuno degli anziani tifosi che con la sciarpetta al collo si approssima alla Gradinata sembra rassegnato, altri ci credono e tentano di rincuorare anche i compagni di stadio. È un susseguirsi di stati d’animo contrapposti, che ovviamente troveranno la massima rappresentazione nel settore popolare, dove gli ultras daranno comunque voce a un fede che – come recita lo striscione apposto sulla vetrata – non conosce retrocessione.

La condizione precaria del Latina sembra esser rappresentata dal settore ospiti ancora malinconicamente sigillato. Chiuso e solo ormai da tempo immemore. Il che – a mio avviso – è stata una delle grandi fortune per i tifosi ospiti al Francioni. Sebbene lo spicchio di tribuna coperta dedicato ai supporter provenienti da fuori offra una capienza limitata, è una manna dal cielo per fare il tifo grazie alla copertura e alla conformazione che tende a compattare i tifosi.

E gli ascolani in questo sono maestri. I tifosi marchigiani hanno esaurito i tagliandi a disposizione e si presentano in Agro Pontino esponendo tutte le loro pezze in maniera ordinata, dando un bel colpo d’occhio al proprio settore. Devo dirlo: rispetto alla prestazione tutt’altro che maiuscola registrata lo scorso anno a queste latitudini e a quella discreta ma migliorabile vista a Frosinone quest’anno, oggi i bianconeri hanno davvero una marcia in più. Massicci, costanti e con buonissimi picchi d’intensità. Belle le manate e potenti i cori a rispondere, ma soprattutto ammirabile come in un settore composto in maniera eterogenea da ultras e semplici tifosi tutti seguano i lanciacori, dando una piacevole idea di unità d’intenti. Da segnalare la presenza degli ultras del Monaco, gemellati con i piceni.

La classifica drammatica non ha favorito un afflusso massiccio tra i supporter nerazzurri. Ci sono quelli che davvero ci tengono e hanno seguito sempre i colori nerazzurri. Nella buona e nella cattiva sorte. E da questa base dovrà ripartire la società dalla prossima stagione. Gli anni di Serie B possono essere determinanti sotto diversi aspetti: oltre al prestigio sportivo che giocoforza il club pontino ha acquisito grazie alla cadetteria, c’è un discorso di fidelizzazione che marcia di pari passo con i risultati. Se la vediamo da un punto di vista prettamente ultras possiamo storcere il naso, ma per il tifoso normale funziona così. E fondamentalmente è anche normale.

La Nord si presenta come sempre compatta nel suo blocco centrale e si prodiga nel solito, costante, sostegno a una squadra che non riesce in ogni maniera a sbloccare il risultato. Tanti battimani e cori a rispondere; l’attaccamento degli ultras nerazzurri è una delle poche cose da salvare in una stagione a dir poco infausta da amante di un certo tipo di situazioni “impossibile” mi piace credere che per loro viaggiare metà campionato con una squadra che lentamente cadeva verso il baratro sia stata sì una sofferenza, ma anche un orgoglio un più. Quell’orgoglio di portare ovunque il nome della propria città e il proprio senso di appartenenza anche quando si è spacciati e non si vedono vie d’uscita.

In campo finisce 0-0. Uno scialbo 0-0, si sarebbe detto un tempo.

Simone Meloni