In tempo di Covid, andare allo stadio è diventato sempre più difficile per chi si è appassionato a questo sport. Non sono da meno i gruppi Ultras, posti davanti a strade comunque sempre complicate.

Ognuno effettua la sua libera scelta, che è figlia di una tale quantità di fattori da rendersi diversa addirittura all’interno dello stesso gruppo. Figuriamoci fra un paese arroccato ai piedi delle Alpi e uno bagnato dal mar Mediterraneo.

La situazione, allo stato attuale, è questa. Non mi permetto nemmeno lontanamente di entrare nel merito delle decisioni prese dal governo e se queste decisioni siano giuste o meno.

Farei eventualmente notare, a tutta la congregazione che riempie il carro dei benpensanti e politicamente corretti quando si tratta di puntare il dito contro gli Ultras, che nessuna tifoseria calcistica si è permessa di protestare contro le decisioni a cui è dovuta sottostare.

Nessun fan, supporter, fedelissimo o come li si voglia chiamare, è sceso in piazza reclamando il diritto di riempire in ogni ordine di posto il proprio stadio. Nessuno striscione di protesta è stato attaccato alle cancellate dei settori per reclamarne la totale riapertura quando tutto e dappertutto era chiuso.

Il mondo Ultras si è semplicemente messo alla finestra, cercando di capire come meglio poter sopravvivere a questo momento, senza sradicare la propria storia, le proprie tradizioni, come dicevo prima troppo diverse già a pochi chilometri di distanza.

Da sempre al centro del pensiero Ultras c’è il proprio gruppo, ed è questo che, in un momento storico delicato dal punto di vista sanitario, si sta cercando di salvaguardare.

Ed ognuno cerca di farlo a modo suo, nel miglior modo che ritiene possibile: entrando comunque anche a capienza ridotta oppure rimanendo fedele al “O tutti o nessuno” e sostando fuori dal settore durante la partita. Altri lo fanno muovendosi solamente per andare in trasferta. Alcuni solo in trasferta ma se il numero di biglietti risulta sufficiente. Altri ancora rimandano la decisione di settimana in settimana.

Quello che veramente dispiace è vedere come, sempre più numerosi, gruppi Ultras storici stiano prendendo la decisione di sciogliersi, non riuscendo a pianare le differenze di pensiero su questo argomento che non ha nemmeno, purtroppo, un capro espiatorio contro cui potersi rivoltare, se non un nemico maledetto, subdolo e invisibile.

La questione sulla quale si può invece porre l’attenzione, ed è giusto farlo, è l’ennesima mancanza di rispetto verso i propri tifosi, da parte della maggioranza delle società.

Ancora una volta, invece di tutelare il proprio patrimonio, queste mere società per azioni rivoltano le loro fallimentari politiche economiche (e non si sta parlando di questioni sportive), andando ad attingere nelle tasche dei propri sostenitori.

La riduzione delle capienze dei settori ha comportato, questo sì da Nord a Sud, uno sconsiderato incremento dei prezzi, soprattutto laddove, i tifosi più affezionati hanno deciso di rimanere fuori, non potendo quindi alzare la voce per far vergognare chi di dovere.

Partite in curva che, è bene ricordarlo, dovrebbe essere il settore popolare, sono schizzate a prezzi esorbitanti. Nemmeno il rame, aumentato del 21% da inizio anno, ha avuto un’escalation danarosa di questi livelli.

L’incremento, rispetto ai tempi pre-covid, è arrivato anche a più del 200%. Il più clamoroso quello del Milan per l’esordio in Champions che, persino nel lontanissimo terzo anello, si arrivava alla non proprio economicissima cifra di 70 €.

Inutile ricordare che, molte di queste società, si sono pure tenute i soldi degli abbonamenti per quasi due anni.

Finché l’obiettivo rimarrà quello di portare lo stadio ad assomigliare ad un teatro e i tifosi non più tali, ma semplicemente clienti, il futuro non può che essere addensato di nuvole nere.

Ma ricordate, care società e dirigenti, anche il “cliente” deve rimanere soddisfatto….

Luigi Cantini