L’umidità si appiccica alla pelle e ai vestiti come fosse colla fluttuante nell’aria. Dopo il pomeriggio afoso, sulla città è calata la cappa di freddo bagnaticcio, richiamando sullo stadio uno stuolo di insetti che sembrano far a gara per infrangersi sulla tribuna coperta del Matusa e poi ricadere storditi. Che il clima sia quanto meno bizzarro me ne accorgo in autostrada, quando tra Colleferro ed Anagni devo rallentare in maniera significativa a causa di intensi banchi di nebbia, più consoni alla Bassa Padana che al Basso Lazio. Ma tant’è.

Di anomalo ci sarebbe anche il giorno in cui questa partita viene disputata. Il turno infrasettimanale di un campionato che, già da qualche anno, ha smesso di giocarsi alla domenica, è quanto di più astruso possa esserci per le esigenze dei tifosi. Ma in Italia abbiamo ormai somatizzato anche questo, e del resto sarebbe anche impossibile pensare di fare il contrario con campionati formati da innumerevoli squadre e un calendario lungo e difficile da smaltire.

Attorno al Matusa il traffico circola tutto sommato snello, anche grazie all’assenza di sbarramenti e deviazioni del traffico, come in occasione delle sfide più calde. Il vecchio stadio Comunale si adagia sempre con una certa autorevolezza tra quei palazzi che l’hanno reso così caratteristico e retrò. Una bandierina giallazzurra appesa in cima alla Curva Nord spicca dalla rotatoria dove convogliano Via Aldo Moro e Via Marittima. È là sempre e comunque, di mercoledì come di domenica, con la pioggia e sotto al solleone. Simbolo estremo e fedele di quanto questo stadio sia parte integrante della vita cittadina.

Frosinone-Spal è una sfida inedita, un’ex matricola terribile diventata ormai una delle squadre più temute della categoria, contro una neopromossa. E che neopromossa. Non sono certo io a dover raccontare la storia della Spal. un club che ha scritto pagine memorabili del nostro pallone e che è riuscito a riassaporare il campionato cadetto dopo oltre un ventennio. La Ovest di Ferrara ne ha viste di tutti i colori, dalle retrocessioni alle sfide contro centri di pochi abitanti, lontani qualche chilometro dal capoluogo estense. Quelle maglie biancazzurre a striscioline strette e fitte, rimandano giocoforza indietro di tanti anni ed è innegabile che rivedere questo genere di club ad alti livelli non possa che far bene al calcio italiano. Manca spesso la tradizione, mancano i costumi tramandati e raccontati. Il tifoso medio (chiaramente non parliamo di pazzi scatenati come noi, che sappiamo anche chi gioca nell’ultimo paesino dell’ultima valle prima del confine con la Slovenia) è uno dalla memoria corta e finirà con l’apprezzare sempre più società artefatte e senza anima, rispetto a quelle che hanno fatto sognare intere generazioni. Prendiamo solo un dato, ad esempio: stadio Matusa contro stadio Mazza. Avete tempo e voglia di scriverci un libro sopra?

Faccio il mio ingresso sulle gradinate quando manca poco al fischio d’inizio. Le prime occhiate vanno sempre ai settori. In primis quello ospiti. Sono una manciata i supporter spallini che hanno raggiunto la Ciociaria. Su di loro vorrei approfondire il giudizio: si vede che è tutta gente di curva. Lo si intuisce da prima del fischio d’inizio e ne ho conferma durante il match. Un manipolo che si destreggia bene, esibendosi in belle manate, mettendo in mostra sciarpe e stendardi (dovevano esserci anche dei bandieroni, ma agli ingressi le forze dell’ordine hanno pensato bene di sequestrare le aste. Poco importa poi se tra le due fazioni non ci fossero rapporti e, soprattutto, se i tifosi ospiti fossero una vera e propria manciata, facilmente controllabile) ma soprattutto tanta voce, a discapito del numero.

Ecco, al pari dell’aver sostenuto sempre la squadra, va detto che la pecca numerica incide sul giudizio complessivo. Se le attenuanti del giorno e della distanza sono ineluttabili, c’è anche da dire che si vede nettamente come i campionati di bassa levatura e i tanti anni trascorsi in Serie C vivacchiando abbiamo tramortito il tifoso medio. È lecito aspettarsi qualcosina in più da una città da 130.000 abitanti con una storia pallonara grande e gloriosa alle spalle, ma sicuramente il rilancio del calcio ferrarese aiuterà il lavoro di una curva che in questi anni ha saputo rialzarsi e mostrare grande dignità. Oltre che ottime idee e un attaccamento incrollabile. E quest’ultimo aspetto va veramente elogiato, a prescindere da qualsiasi considerazione. Nel 2016 sapere tener vivo un movimento aggregativo, riuscire ad avvicinare giovani e forgiarli in nome della città e di un qualcosa ostacolato e combattuto quasi sempre in maniera cieca e subdola non è facile per nessuno.

Su fronte giallazzurro, la Nord è in ottima forma. Gli ultras ciociari, infatti, riscattano qualche prestazione al di sotto dell media nelle precedenti sfide, e sfoderano una performance di alto livello. Bello rivedere un paio di torce accese nel settore e meritevole di menzione il tifo che non ha davvero mai abbandonato l’undici di Marino. Battimani, cori a rispondere e cori tenuti per parecchi minuti sono stati il leitmotiv della serata, con l’incessante sventolio dei bandieroni e un paio di sciarpate giunte come ciliegine su una gustosa torta. Molto belle le esultanze ai gol di Paganini e Ciofani, inframezzate dal momentaneo pareggio di Giani, realizzato con una staffilata dalla lunghissima distanza.

I cinque minuti di recupero sono una vera e propria palpitazione per tutto il pubblico di fede canarina, che alla fine esplode conscio dell’importanza di questo successo. Non esce certo abbattuta la Spal, che in queste prime giornate ha messo in mostra un’ottima intelaiatura, dimostrando di essere squadra tosta e rognosa. Ci sono quindi applausi per tutti, prima che i giocatori abbandonino il campo e la forze dell’ordine scortino i tifosi provenienti dall’Emilia fuori dalla città.

L’ultima istantanea, prima di fare ritorno a casa, è quella del campanile illuminato che dalla città vecchia domina il Matusa. È doloroso sapere che con tutta probabilità al termine di questa stagione smetterà di vegliare il campo come fa abitualmente dal 1932. Proprio perché la storia e la tradizione sono il sale di questo sport. Vi siete mai chiesti cosa sarebbe senza? Provateci.

Simone Meloni.