Chieti è una di quelle città che mi catapulta indietro nel tempo, precisamente agli anni della scuola media. Proprio in quel periodo è nata la passione che ancora oggi, nonostante l’età adulta, rappresenta una componente fondamentale della mia vita: quella per il calcio e le tifoserie dalla B in giù; la “piccola Italia” per alcuni, la vera Italia per chi scrive. Erano anni in cui collezionavo le figurine Panini e sfogliavo continuamente libri di geografia. Le pagine dell’album dei calciatori che preferivo erano sempre le ultime, quelle dedicate alla C1 e alla C2. Mi soffermavo, in particolare, sulle note con i nomi delle città, degli stadi e le loro capienze. Poi, quasi meccanicamente, cerchiavo quei posti nell’atlante stradale e, infine, aprivo il primo libro di geografia che mi capitava per approfondirne la storia. All’epoca, i manuali dedicavano ampio spazio ai capoluoghi di provincia. Così, ho sviluppato un forte interesse per queste realtà, e ancora oggi i miei campi preferiti sono quelli della C o della D.

Rifletto su tutto questo mentre, in una domenica grigia di gennaio, passeggio ai piedi della magnifica Cattedrale nel centro storico, un edificio di antichissima origine, con vari rifacimenti nel corso dei secoli. Sono in attesa di scendere all’“Angelini” per un bellissimo Chieti-Ancona, terza giornata di ritorno del girone F di Serie D. Sto unendo la passione per la storia e la geografia al calcio e al tifo, vivendo quel sogno di conoscere stadi e città che da bambino potevo solo immaginare. A Chieti, tutto questo si respira in ogni vicolo della parte alta, dove le pietre degli edifici si mescolano agli adesivi che tappezzano quasi tutti gli angoli del centro storico.

Ho sempre associato due parole a questo capoluogo: cultura e stile. Stile, perché Chieti ha sempre dato sfoggio di grande creatività e cura del materiale; cultura, perché parliamo di una delle città più antiche d’Italia e di uno dei centri più ricchi della regione dal punto di vista artistico e archeologico. Una leggenda, di origine seicentesca, attribuisce la fondazione di Chieti ad Achille, il più forte condottiero greco della guerra di Troia. Secondo la tradizione, il capo dei Mirmidoni avrebbe fondato la città nel 1181 a.C., chiamandola Teate in onore di sua madre Teti, una divinità del mare. Non poche città italiane, in particolare quelle adriatiche, legano la propria origine ai protagonisti della saga mitica troiana, come Diomede; si pensi anche alla tesi dell’origine troiana di Roma, celebrata nell’Eneide di Virgilio. Lo stemma di Chieti rappresenta proprio Achille con lancia e scudo, insieme a quattro chiavi che simboleggiano le porte della città. Si tratta, ovviamente, solo di una leggenda, per quanto suggestiva, ma che riflette la grande antichità di questo centro.

La vera storia di Chieti, tuttavia, inizia con i Marrucini, uno dei popoli italici dell’Abruzzo preromano. Strabone, geografo greco, ci racconta che Teate era la capitale di questa popolazione. Il Museo archeologico nazionale d’Abruzzo, a Villa Frigerj, conserva straordinari reperti dell’Abruzzo osco, tra cui il simbolo della regione, il Guerriero di Capestrano, che rappresenta la prima tappa della mia giornata teatina. La successiva romanizzazione lasciò un’impronta profonda da queste parti. Teate, in epoca romana, ebbe grande rilievo, soprattutto dopo l’arrivo della via Valeria, che collegava Roma con l’Adriatico. Chieti fu un municipio e fu urbanisticamente organizzata con uno schema ortogonale, con il suo asse principale che coincideva con l’attuale Corso Marrucino, arteria principale della città, oggi abbellita da splendidi portici. Tracce di basolati romani si trovano sotto il Teatro Marrucino, l’ottocentesco teatro lirico d’Abruzzo, o nell’area delle antiche Terme, ma è nella zona della Civitella, l’acropoli di Teate Marrucinorum, che il passato romano è più evidente. Qui, infatti, è ancora possibile vedere l’anfiteatro del I secolo d.C., mentre a pochi metri si trova l’antico teatro. Su questo colle il Chieti ha giocato dagli anni Venti fino al 1970, prima di trasferirsi al “Guido Angelini”, che fu inaugurato con un’amichevole contro il Milan, di fronte a 10.000 spettatori. Del vecchio stadio si possono ancora notare i botteghini, mentre un’epigrafe, affissa in occasione del centenario del 2022, celebra quello che è stato il tempio neroverde per cinquant’anni.

Anche dopo la fine del periodo romano, Chieti continuò a essere uno dei maggiori centri culturali dell’Italia centro-meridionale, diventando sede vescovile al tempo dei Longobardi e mantenendo una certa importanza anche sotto i successivi dominatori del Regno di Napoli, come gli Aragonesi. Nel 1873 arrivò la linea ferroviaria Roma-Pescara, che favorì lo sviluppo industriale del fondovalle e la sua conseguente urbanizzazione, tanto che oggi Chieti Scalo è una parte importante della città, dove si trova proprio lo stadio neroverde. Insomma, Chieti è un centro culturale di primo piano, con teatri, musei e, dal 1956, anche un’università. Una città che merita una visita approfondita, riservando sorprese in ogni angolo.

Ma, come dicevo prima, a Chieti non associo solo la cultura. Quando penso a questa città, inevitabilmente penso alle maglie neroverdi e alla “Volpi”. La squadra locale da un secolo unisce i teatini intorno ai propri colori. Popolo orgoglioso, ben consapevole dell’importanza delle proprie radici e del proprio passato, capace di creare una tradizione ultras che dura dal 1974. Un movimento alimentato dal susseguirsi di tanti gruppi dal nome importante, con il comune denominatore della presenza anche nei momenti bui del calcio locale e, come dicevo prima, dello stile, sempre ben espresso nel materiale e nelle coreografie.

Proprio in occasione di questa sfida contro una tifoseria storica come quella anconetana vedo tutto ciò dal vivo. I sogni di promozione sembrano ormai svaniti anche quest’anno, ma il Chieti è guidato da una proprietà ambiziosa, che sembra godere della fiducia della città e coltivare progetti promettenti. Per questa partita, dunque, in curva c’è una grande atmosfera, a dimostrazione dell’ottimismo che si vive a Chieti. La “Volpi”, all’ingresso delle squadre in campo, realizza così una bellissima coreografia, con stendardi a due aste e lo striscione “We are the black & green”, accompagnato da un coro in inglese. Un’altra perla nel repertorio delle coreografie che hanno sempre contraddistinto questa curva che, come dicevo, ho sempre associato al colore e allo stile.

Sul campo, l’Ancona si porta subito in doppio vantaggio, ma la “Volpi” non molla: il tifo è assordante dal primo al novantesimo, con picchi di intensità e tanti cori originali. La sciarpata finale, realizzata dopo il triplice fischio per celebrare un 2-2 pirotecnico, è la ciliegina. Anche se ha ottenuto un solo punto, la curva applaude comunque la squadra per l’impegno profuso. Insomma, i teatini sono autori di una prestazione maiuscola, che conferma quanto questa piazza meriti prima o poi il ritorno in Serie C.

Come ho scritto sopra, infine, oggi si presenta a Chieti una tifoseria storica, quella dell’Ancona, tornata in D dopo l’ennesima delusione, ma che, come sempre, ha saputo rialzarsi. Dopo averli visti a Isernia qualche settimana fa, ritrovo gli anconetani all’“Angelini”, e la prima cosa che noto è il loro ottimo numero, ennesima dimostrazione di grande attaccamento. Anche loro si mettono in mostra visivamente con il materiale biancorosso e i bandieroni al vento, mentre dal punto di vista vocale scelgono cori lunghi e costanti. È stato bello vedere nel settore ospiti gli ultras del Cavaliere, che, come detto, non hanno mollato dopo l’ennesima delusione, ma continuano a cantare ogni domenica per i propri colori in attesa di vedere l’antica città marinara di Ancona dove merita.

Insomma, la partita dell’“Angelini” è stata l’ennesimo spot di questo girone, universalmente riconosciuto come uno dei più avvincenti della categoria, e mi ha lasciato questa sensazione: più che a una gara di Serie D, mi sembra di aver assistito a un incontro della vecchia e nobile C1.

Testo e foto di Andrea Calabrese