Ci risiamo. È successo ancora, di nuovo: altra diffida, questa volta sono tre anni. Mi fermo, rifletto e provo a riorganizzare i mille pezzi di questo puzzle.

Partiamo dall’ultimissimo tassello, siamo all’ultima domenica di Marzo, la partita è di quelle che valgono una stagione, da dentro o fuori. A Chieti è di scena il “blasonato” Poggibonsi. Non starò qui a menarvela, è andata come non doveva andare, con uno scialbo zero a zero in un match in cui si è vista meno grinta che occasioni da gol. La Curva Volpi, che per tutto l’anno ha sostenuto gli undici in campo (seppur tante volte non lo meritassero), invita la squadra sotto il settore per un chiarimento, chiede loro di togliere le divise. Già, quegli storici e unici colori: “non siete degni!”, “via le maglie” grida la gente dagli spalti. La rabbia è forte, lo spettro di una retrocessione in D è concreto, mentre l’ottavo posto si allontana. La voglia, e la necessità, di gridare il proprio sdegno e la propria disapprovazione, come è giusto che sia concesso a chi paga un biglietto, è tanta.

Nessuna violenza, nessun contatto, nessun superamento delle “barriere”, tutti sanno che siamo in uno degli stadi più “sicuri” d’Italia. Ogni domenica in questo stadio-bunker vengono predisposti i cosiddetti Betafence, tutto l’impianto è circondato da queste recinzioni entrate ormai a far parte dell’immaginario di chiunque frequenti lo stadio nell’era del 2.0; barriere che obbligano i locali ad un giro di 2 km per passare dalla tribuna alla curva. L’Angelini è inoltre tra gli stadi più video-sorvegliati della nazione, per non parlare degli oltre 500 metri di parcheggio ospiti, recintati e lasciati a cuscinetto anche in situazioni in cui ad arrivare sono i tifosi del Tuttocuoio.

Le tessere di questo strano mosaico continuano a ricomporsi nella mia mente e penso a quando qualche settimana fa, in occasione di un altro match, Chieti-Teramo, è stata comminata una diffida ad un signore di 60 anni, reo di incredibili “acrobazie” degne di un ventenne. Ovviamente la notizia ha avuto risalto nazionale, suscitando incredulità tra i più. Nello stesso match la Curva Volpi venne “ammonita”: chiusura per un turno con sospensiva. L’incredibile reato? Aver cantato “Teramo merda”. In un derby tanto basta per incappare nella morsa dell’ormai temutissima “discriminazione territoriale”.

E cosi i pensieri iniziano a correre velocemente, a ritroso di questa bizzarra stagione, di questo strano campionato in cui otto squadre sopravvivono e tutte le altre retrocedono, una stagione in cui i tifosi neroverdi hanno deciso di non viaggiare pur di non piegarsi alle logiche di tesseramenti o mezzucci vari come 1+1 o l’Away card.

Ecco, questo il punto: l’essere scomodi, il non essersi voluti adeguare, il non voler chiedere autorizzazioni, il seguire a tutti costi una linea che si ritiene coerente, senza mediazioni, senza compromessi, nessun dialogo. Tutto questo è costato un prezzo alto, in una città omologata.

Diffide elargite come caramelle ai bambini, accadde così anche in Chieti-Messina, quando diversi ragazzi vennero diffidati pescando nel mucchio. Polizia che bussa a casa la mattina, case a soqquadro, lavoro e famiglia rovinati. Una spettacolarizzazione dell’evento incredibile, conferenze stampa e facce sbattute in prima pagina per sanzioni come un DASPO che, è bene ricordarlo, è solo ed esclusivamente un provvedimento amministrativo. Come se sbattessero come mostri sui giornali tutti quelli che prendono una multa per divieto di sosta.

Situazioni queste che, grazie alla connivenza acritica delle “penne” locali, danno voce a chi davvero intimidisce. Così si ritrovano sui quotidiani della zona, ogni lunedì, puntuali come l’oroscopo, minacce di chiusura settori, ventilati Daspo di gruppo e altre maniere forti ad ogni voce fuori dal coro.

E torniamo a quest’ultima domenica di Marzo, a quei tre anni dati per aver espresso il proprio dissenso, il proprio sdegno verso chi umilia il nome e i colori della propria città: “daspo al tifoso che intimidisce” titola il giornale, ma non basta, la dose va rincarata e quindi giù ancora con ultimatum verso tutta la tifoseria, “perché Chieti non sarà come Nocera”.

Nella stessa pagina, dello stesso giornale, leggo la notizia di una donna anziana malmenata in pieno giorno per 350 euro, e mi chiedo se non sia troppo difficile fare il proprio lavoro al netto di telecamere e barriere.  In una città con un tasso di disoccupazione in crescita vertiginosa, dove si moltiplicano furti e reati con l’aggravarsi della situazione sociale, l’unico problema sembrano gli ultras, quei ragazzi che in una città qualsiasi di questa Italia della crisi, rappresentano l’ultimo grido di libertà, l’ultimo veicolo di aggregazione giovanile e di condivisione dei valori, l’ultimo sinonimo di amicizia disinteressata, eppure molto utili alle carriere di alcuni personaggi.

Decine di diffide in una stagione in cui non si è viaggiato (causa TdT) e in cui non si sono verificati scontri. Ebbene sì, perché analizzando ognuno di questi casi, la cosa bizzarra che ne emerge è che nessuno di essi è dovuto a scontri tra opposte fazioni. Nella stagione 2013/14 a Chieti non si sono verificati incidenti, e nella maggior parte dei casi non si è riscontrata presenza di tifoseria ospite.

Sorge così, spontaneo, il dubbio, la domanda, quella che si fanno tutti: ne vale ancora la pena? Una domanda lecita quando si ha così tanto da perdere per così poco. La risposta che si avrà da chi è ultras sarà sicuramente sì, per tanti motivi: perché seppur non si è andati in trasferta, le domeniche di questa stagione per i ragazzi della curva non sono state inutili. I murales sotto il proprio settore, i banchetti per la promozione della raccolta di indumenti usati per le famiglie indigenti, i regali natalizi portati in ospedale ai bambini della pediatria e tanto altro ancora.

Ultras è tutto questo e molto di più, è socialità, è coesione e condivisione di un ideale che va oltre la squadra di calcio o il campionato disputato. Ultras è identità, e fin quando chi continua a condurre questa assurda guerra verso l’essenza stessa del gioco del pallone non capirà che non c’è maniera di tornare indietro dal proprio modo di essere, non vi sarà possibilità di vittoria per questi sceriffi.

ASC80, Sport People.