Una delle poche “regole” che osservo fedelmente girando per i campi è quella di non assistere a partite con divieti di trasferta. Non ne faccio tanto un discorso di coerenza, quanto di noia. Una sfida (soprattutto un derby) senza avversario è monca, priva di mordente. Per questo Chieti-Vastese, tuttavia, decido di fare un’eccezione e le motivazioni sono molteplici: contestualmente ai cento anni del club neroverde la Curva Volpi (assieme al Comitato per il Centenario) ha deciso di organizzare una coreografia, invitando la città a riempire dopo anni il settore e riportando allo stadio tutte le vecchie insegne del tifo teatino.

Può sembrare strano (e non lo dico con presunzione ovviamente) ma fra i tanti stadi visitati nella mia vita il Guido Angelini manca clamorosamente. Così come per svariate ragioni non ho mai avuto modo di vedere dal vivo alcuni striscioni storici degli ultras abruzzesi, Irriducibili e Achaean Generation su tutti, ma anche l’originale 330 SLM, per dirne un altro. E allora malgrado l’ennesimo – vergognoso e anacronistico – divieto di trasferta ai tifosi vastesi (questa volta motivato dalla chiusura del settore ospiti stabilita dal sindaco fino al termine del campionato per l’inagibilità dei bagni, sic!) prendo armi e bagagli e mi incammino alla volta di Chieti.

Un cielo blu riscaldato da un sole primaverile mi accompagna per tutto il viaggio, con le innevate montagne d’Abruzzo che fanno sempre il loro suggestivo effetto. Quando mancano quaranta minuti al fischio d’inizio attorno allo stadio c’è una discreta ressa, segno che l’invito della Volpi è stato raccolto. Mentre in lontananza intravedo il cuore del tifo teatino già imbandierato e completamente coperto da decine di pezze e striscioni. Entrare non è propriamente facile dato che il mio accredito apparentemente non c’è, tuttavia un po’ di sana diplomazia da parte dello steward locale risolve le cose e mi permette di mettere piede sul manto verde.

Il vecchio stadio Angelini mi rimanda alle foto di inizio anni duemila, quando nel suo settore ospiti si avvicendavano calde e battagliere tifoserie del centro-sud, oltre ai sentiti derby con Pescara, Teramo, Lanciano e Giulianova. E, ovviamente, a quello con gli allora gemellati di L’Aquila. Rivedere la Volpi con tutti gli striscioni storici – alcuni ritirati fuori davvero dopo decenni – riavvolge ulteriormente il nastro del tempo e, senza voler fare del becero patriottismo, mi fa capire ancor di più perché per il resto d’Europa (e non solo) l’Italia abbia rappresentato (e continui a rappresentare) un modello. Non dimentichiamo mai tutto l’excursus repressivo e i cambiamenti sociali che hanno fortemente rimodellato la geografia e il modo di vivere delle nostre curve. Il crollo dei numeri è una piaga con cui tutte le piazze devono fare i conti, così come la difficoltà nell’aggregare e nel favorire il ricambio generazionale. Quindi oggigiorno mi fa sempre un po’ sorridere la disputa “algebrica”. Personalmente ho imparato più a guardare la costanza e la sostanza nelle curve. Poi se i numeri vengono è meglio ed è tanto di guadagnato.

Prima del match vengono premiati tre storici capi ultras teatini, tra gli applausi di tutti i presenti. Sulle gradinate si nota anche molta gente “stagionata” e in generale l’impressione che ho è che in città il movimento ultras abbia ben affondato le proprie radici. Del resto dei teatini si è sempre parlato bene in termini di stile e originalità e la cosa non può essere casuale. Evidentemente chi si è avvicendato in Curva ha saputo trasmettere il seme. Parliamo pur sempre di una piccola realtà che calcisticamente non è mai andata oltre la C1.

Che poi sarò sincero: da adolescente non vedevo di buon occhio le tifoserie che stavano troppo dietro allo stile, al modo di vestirsi e all’immagine. In maniera molto superficiale (adolescenziale, per l’appunto) me le figuravo prive di un’anima, più impegnate ad apparire. A distanza di anni e con qualche partita in più sul groppone posso solo ammettere la stupidità di tale pensiero. Curve come quelle del Chieti non solo un’anima e dei contenuti li hanno, ma è proprio attraverso la cura delle pezze, del materiale e del proprio modo di vivere la Curva che ancora oggi restano in piedi e rappresentano un solido punto di riferimento. Peraltro ai neroverdi va riconosciuta pure una certa coerenza su determinate tematiche (vedasi tessera finché sono stati tra i professionisti) e comunque una linea di pensiero ben precisa. Magari non possono piacere perché filosoficamente “puristi”? Può darsi, ma quanto meno questo cela un modo autonomo e costrutto di pensare ed agire.

Tornando alla giornata odierna, quando le squadre stanno per fare il loro ingresso in campo la Volpi (il cui nome, va ricordato, è dedicato allo storico allenatore che condusse gli abruzzesi in C1 a inizio anni ’90) srotola la coreografia. Una sciarpata fa da contorno al telone che cala nella zona centrale ed in cui è stampigliata l’immagine di una delle prime formazioni del Chieti con la città sullo sfondo. Una scenografia semplice ma ben riuscita, che apre le danze a una giornata ovviamente quasi perfetta dal punto di vista del sostegno canoro. Sebbene la presenza dei tanti striscioni vecchi e, di conseguenza, il ritorno all’Angelini di molta gente “datata” possa far pensare a un nostalgico revival, devo dire che i 90 minuti vengono vissuti in maniera accorata e con la mente al presente. Il che rende il tutto molto sobrio e piacevole, cosa tutt’altro che scontata quando si organizzano giornate che come leitmotiv hanno un forte richiamo al passato.

A inizio ripresa vengono accesi diversi fumogeni verdi, dando un bel colpo d’occhio e facendo inebriare i presenti con il loro acre e romantico profumo. Tra le fila teatine spicca la presenza dei ragazzi di Termoli, senza pezze ma ben riconoscibili dal materiale giallorosso indossato.

La partita in campo non è di quelle che fanno palpitare il cuore e alla fine le due squadre non vanno oltre lo 0-0, cosa che gli ultras di casa prendono con ironia ricordando come, in un secolo di vita, la loro amata abbia saputo difficilmente dargli gioie. Il tutto è sintetizzato da un coro che non posso riportare per iscritto, ma che ha come prerogativa quella di rivolgersi a una mamma e un figlio alquanto famosi!

I circa duemila presenti cominciano lentamente a sfollare, mentre il grosso degli ultras rimane ancora per un po’ in curva a cantare. Ovviamente non mancano le imbeccate contro Pescara e altre rivali storiche. Mi allontano, portandomi sotto il settore ospiti e osservando con attenzione lo stadio. Il Distinto, inagibile da tempo, sembra voler raccontare il suo passato glorioso, in cui parte delle 11.000 presenze che furono ai bei tempi si concentravano su di lui. Ora si avverte un po’ di nostalgia, creata dal mix tra il colpo d’occhio della Curva e un settore ospiti chiuso, a testimonianza degli infimi e proibizionistici tempi che corrono.

È vero, dalla prossima partita con tutta probabilità gli ultras teatini ritorneranno ai loro classici numeri. Ed è anche vero che se il club abruzzese non riuscirà a dare una svolta da un punto di vista sportivo, sarà difficile tornare a coinvolgere costantemente l’intera città. Ma il Chieti Football Club 1922 è patrimonio della città e di un’intera provincia, a prescindere dalle sue alterne sorti sportive. La festa di oggi è stata possibile per questo e va ben oltre la genesi del movimento ultras locale. Basti pensare ai tanti teatini che vivono e lavorano fuori città e che oggi sono tornati appositamente, per porgere i personali auguri a un’entità che evidentemente ancora riesce a fargli battere il cuore.

Tra l’altro – ultima nota di colore – tra aumento dei carburanti e prezzi vertiginosi dell’autostrada A24, sembra che un po’ tutti abbiano scelto il pullman tra Chieti e Roma. E questo inizialmente mi costringe ad optare per il treno con l’obbligo di andar via a partita ancora in corso e tempi di percorrenza che raddoppiano. Fortunatamente proprio quando mi sto per preparare riesco a trovare posto libero sui pullman, potendomi godere fino all’ultimo questa giornata.

Lascio Chieti con la colonnina di mercurio che è scesa ben oltre una soglia sopportabile. Un vento gelido spira dalle montagne e mi avverte che è ora di tornare a casa. Me ne vado che c’è ancora tanta gente con la sciarpa neroverde in giro. Sarà pur vero che in cento anni il Chieti non ha regalato neanche una gioia ai suoi tifosi, ma ci hanno pensato loro a rendere il calcio cittadino immortale e identitario!

Simone Meloni