Vorrei fare una premessa: vivo in Romania da qualche anno, quanto basta per poter dire di aver assistito al canto del cigno di uno sport che, nonostante sia anche da queste parti quello più seguito a livello nazionale, è gestito purtroppo da una struttura di dinosauri e giovani incompetenti che hanno portato alla sua totale disintegrazione. Tutto ciò con la complicità dei mass media, totalmente asserviti ai padroni, o, sarebbe il caso di dire, al padrone, visto che fondamentalmente si tratta di uno “one man show”, a beneficio di uno di quelli che, solitamente, quando parla lo fa a reti unificate e a cui l’intervista la chiedono anche per dubbi sulle sue preferenze culinarie. Chi conosce un minimo questo paese, ha già capito a chi mi riferisco.

Dei media totalmente asserviti non potevano che partorire una classe giornalistica dalle dubbissime qualità. Il giornalismo sportivo rumeno si basa sulle traduzioni in rumeno degli articoli delle più note testate spagnole, italiane e inglesi; sull’esaltazione e sul paragone insensato di calciatori rumeni che giocano nel campionato locale a talenti già affermati e alla ribalta mondiale o sulla citazione di antiche imprese compiute dalla Steaua Bucarest. Per farvi un esempio, per la stampa rumena Miroslav Klose è “l’ex compagno di Stefan Radu”, la Fiorentina è “l’ex squadra di Ianis Hagi” e addirittura Paolo Maldini potrebbe diventare “l’ex compagno di Cosmin Contra”.

So che tutto ciò non ha nulla a che vedere con la partita che mi appresto a commentare, ma quest’introduzione per me è obbligatoria, visto che questo approccio giornalistico ha contribuito alla distruzione del calcio a livello nazionale. In questo paese è facile vedere un ragazzino di 20 anni che, dopo essere stato prelevato da Becali da una qualsiasi squadra di provincia, viene osannato dai media dopo aver messo a segno la prima doppietta, tanto da sentirsi già realizzato, da mandare tutto a quel paese e godersi la notorietà già ottenuta nei bar del centro storico di Bucarest. Di solito in quel momento finisce la carriera calcistica ad alti livelli e inizia quella ad altissimi livelli accanto a bottiglie e donne. In questo, una potenziale nazionale rumena potrebbe eccellere ai livelli del Brasile del 1970 e dell’Ajax di Rinus Michels (e Stefan Kovacs, per rimanere in tema provincialismo rumeno).

In questo nulla più totale, da un paio di anni si è riaffacciata alle vette del calcio rumeno il CFR Cluj, club che fino al 2012 era un habitué dei salotti europei. Il CFR ha una storia molto curiosa, essendo nato nel 1907 con il nome di Kolozsvári Vasutas Sport Club, che come potrete ben intuire non suona tanto rumeno. Sì, perché nel 1907 la città di Cluj non faceva parte ancora della Romania: l’unione della Transilvania (di cui Cluj è attualmente la città più importante) con il resto delle regioni rumene avvenne solo nel 1918, fino ad allora la città fece parte del Regno d’Ungheria, di cui tornerà a far parte dal 1940 al 1944, per poi ritornare sotto l’egida della neonata Repubblica Socialista Rumena in seguito all’occupazione sovietica.

Ora, considerate che l’Universitatea Cluj, l’altra squadra della città, a mio avviso la più amata (che nessuno me ne voglia), è nata nel 1919 con la forma di una sorta di polisportiva degli studenti rumeni, e potrete ben intuire com’è diviso il tifo in città. Anche se, ripeto, nessuno me ne voglia, in città il legame con “gli studenti” è ben più marcato. Se dovessi paragonare la situazione di Cluj a una situazione italiana, la paragonerei a quella di Verona, dove naturalmente l’Universitatea fa le parti dell’Hellas. L’unica differenza è che negli ultimi anni il CFR, viste le sue presenze in Europa, ha ottenuto una fetta di pubblico in proporzione più vasta rispetto a quella che segue il Chievo nella città della Scala.

La leggenda narra che, alla metà degli anni novanta, un imprenditore di origine ungherese chiese all’allora sindaco di Cluj-Napoca, un fervente nazionalista rumeno, la possibilità di comprare la sezione calcistica del club e investire in essa per portarla alla ribalta nazionale. Potrete ben immaginare che la risposta non fu positiva: come dare il simbolo della rumenità di questa città in mano a un etnico ungherese? Quell’uomo, un certo Paszkany, nell’inverno del 2001 fu convinto ad acquistare un piccolo club di terza serie, che però già vantava un piccolo stadio di proprietà, che all’epoca poteva contenere fino a 10mila spettatori, ora 23mila. Naturalmente stiamo parlando del CFR Cluj. In 3 anni portò il club in massima serie, nel 2008 arrivò il primo titolo e l’esordio in Champions (il noto Roma-CFR Cluj 1-2) e fino al 2012, anno in cui probabilmente il padrone si stancò del suo giocattolo, arrivarono altri due titoli, tre coppe nazionali e diverse presenze (non comparse) in Champions ed Europa League. Insomma il CFR fu la prima provinciale a rompere definitivamente il dominio dei club di Bucarest.

Poi arrivò un periodo di oblio in cui il club addirittura entrò in insolvenza e non partecipò per diversi anni alle coppe europee. Tutto ciò fin quando un nuovo proprietario non decise di rilevarlo. Non si sa se il proprietario è realmente nuovo, oppure è un semplice prestanome del vecchio, non si sa quale sia il progetto, ma soprattutto non si sa letteralmente il nome del proprietario.

Sta di fatto che i conti del club sono da diversi anni in minus, anzi, se vogliamo dirla tutta, dal 2005 ad oggi sarà capitato massimo in un paio di occasioni che il club abbia chiuso l’anno finanziario in plus. In un campionato rumeno disastrato, dove Becali non vince più un campionato nemmeno per sbaglio e vi è mancanza totale di concorrenza, i Ferroviari di Cluj hanno trovato la giusta alchimia per portare a casa gli ultimi due titoli nazionali e probabilmente porteranno anche il terzo, ma soprattutto sono riusciti a riportare un club rumeno nei gironi delle coppe europee, cosa che non avrei mai pensato potesse succedere in questi anni.

Ora vi regalo una chicca per farvi capire di cosa stiamo parlando: lo scorso anno il CFR Cluj che ha portato a casa il campionato, ha cambiato ben CINQUE allenatori dall’inizio della stagione sportiva. L’unico denominatore comune di queste ultime tre stagioni è stato Dan Petrescu, vecchia conoscenza del campionato italiano e di quello inglese. Un allenatore fortemente pragmatico, un amante degli uno a zero (nonostante sia stato un allievo di Zeman), un allenatore che quando c’è da preparare la partita perfetta lo fa, possiamo dire che sia uno dei pochi intenditori di calcio del paese. In questa stagione stava riuscendo addirittura nell’impresa di portare i Ferrovieri in Champions League partendo dal primo turno preliminare. Soprattutto, partendo da sfavorito in ogni turno, ha fatto fuori i kazaki dell’Astana, il Maccabi Tel Aviv e addirittura il Celtic, che ora ritroveranno nei gironi di Europa League, arrendendosi solo davanti a un troppo forte Slavia Praga.

L’ottima cornice di pubblico vista nel playoff con lo stesso Slavia Praga (18mila spettatori, sold out con capienza limitata) mi ha lasciato ben sperare che anche l’incontro con la Lazio, caduto perfettamente alla prima giornata, non avrebbe deluso le aspettative e avrebbe visto uno stadio pieno.

Ma ecco che in questi momenti viene a galla l’incompetenza dei dirigenti sportivi rumeni, i quali hanno fatto in maniera tale che la partita più importante del girone, dopo 7 anni dall’ultima presenza, si giocasse con ampissimi spazi vuoti. Nello specifico il problema è che se si ha un pubblico di 2/3mila aficionados, mentre il resto sono occasionali, quegli occasionali vanno invogliati a venire. Se tu durante il campionato vendi una curva a 2 euro e una tribuna a 4 euro, non puoi presentarti alla partita di Europa League con 18 euro di curva e 35 di tribuna!

In tanti giustificavano questo prezzo dicendo: “Eh ma a Roma non costa lo stesso?”. No, non costa lo stesso per una partita del genere, ma soprattutto tu per quanto ti voglia erigere a capitale economica rumena non sarai mai Roma. Peccato, in tanti sarebbero venuti ad un prezzo più onesto, e invece abbiamo dovuto assistere a un evento importante per il club con voragini vuote e con una tribuna piena di persone che avevano avuto inviti ufficiali (e gratuiti).

Arriviamo così al giorno della partita, ero curioso di vedere i laziali in giro per la città in cui vivo e ho organizzato il mio programma in maniera tale che in quel giovedì avessi da trascorrere tutta la giornata in centro. Volevo rendermi conto di quanti potessero essere, se la Jandarmeria avesse militarizzato la città e in più se avessero socializzato con i sostenitori locali. Mai vista una città così tranquilla! Al festival del cinema c’è solitamente più agitazione: giusto due ore prima della partita sono apparse un paio di camionette per il centro, per il resto una quindicina di italiani che bevevano nel solito pub che viene occupato dalle tifoserie straniere che vengono in quel di Cluj, più qualche famiglia. Per il resto il nulla, se non i circa cinquanta ragazzi del Lazio Club Romania che hanno occupato un altro pub più nascosto in centro e ogni tanto li vedevi scendere a turno per andare dal kebabbaro di sotto.

Lì ho capito che dal punto di vista del tifo non sarebbe stata una serata memorabile.

E così è stato: i locali all’entrata in campo delle squadre hanno fatto la solita coreografia 3D (già scrissi a riguardo), anche se devo ammettere che la pezza mi è piaciuta molto. Per il resto che dire: né troppi, né troppo pochi, considerando l’evento. Hanno cantato per buona parte della partita raggiungendo nelle fasi topiche del match anche qualche picco alto. Si è visto che erano molto dipendenti dalle situazioni del terreno di gioco. Il repertorio è il classico in voga nelle curve rumene. Nonostante nella curva del CFR ci siano gruppi che mantengono amicizie con curve ungheresi e in teoria vi è una forte presenza ungherese al suo interno, non cantano mai in lingua magiara (o per lo meno così mi sembra) e anche stilisticamente ricordano le curve rumene. Hanno anche un tricolore rumeno che se non sbaglio è quasi sempre esposto, ma allo stesso tempo sono gli unici ultras in Romania a portare la bandiera transilvana in curva. Prendete comunque quello che scrivo con le pinze, visto che negli ultimi anni non è che abbia cercato ogni lunedì le foto dei ragazzi del CFR.

Capitolo ospiti: dopo la morte di Diabolik non credo che stiano passando un bel momento, a livello emotivo penso che la botta incassata sia stata molto dura, ma permettetemi di dire che un po’ deluso ci sono rimasto. Fui presente anche a Bucarest due anni fa, quando il numero fu ben diverso da quello di Cluj, e anche allora non rimasi contento. Cantarono potentemente prima della partita, ma poi durante i 90 minuti si sentirono molto sporadicamente. Addirittura i locali con una curva improvvisata fecero la loro onesta figura in confronto. Qui a Cluj, dopo essersi posizionati in quadrato dietro la pezza che raffigura il volto di Gabriele Sandri, avranno cantato per cinque minuti in totale sui 90 di gioco. Peccato, in tanti sono venuti allo stadio semplicemente per vedere i laziali, soprattutto nel settore vicino al loro e immagino che non siano tornati contenti a casa.

Sul campo, quella volpe di Petrescu è riuscito di nuovo a combinarla grossa, battendo una Lazio che, seppur rimaneggiata, vantava diversi titolari nei primi undici. Dopo aver siglato il primo gol e aver visto che i locali non si erano resi pericolosi per tutti i primi 45 minuti, gli ospiti hanno commesso l’errore di sottovalutare l’avversario, che nel secondo tempo ha colpito in contropiede. Due a uno per il Cluj il risultato finale, ma sono sicuro che a Roma la storia sarà completamente diversa. E spero che anche la prossima volta in cui vedrò i laziali in Romania la storia sarà ugualmente e completamente diversa.

Testo di Alessandro Piccioni.
Foto di Mihai Medan.